'Quelli che restano - stati d'animo del paesaggio contemporaneo'
a cura di Mimmo di Marzio - direzione artistica Nicoletta Castellaneta
Spazio Oberdan 
Viale Vittorio Veneto 2, Milano
23 novembre 2011 - 29 gennaio 2012
| Pancrazi - tetti | 
Allo Spazio Oberdan un’importante mostra che mette a fuoco le indagini  sul paesaggio contemporaneo da parte di alcuni tra gli artisti del  nostro territorio ormai riconosciuti sulla scena internazionale, dal  titolo “Quelli che restano”, promossa da Provincia di  Milano/Assessorato alla Cultura e Fondazione Club Lombardia in  collaborazione con Polyedra, ALT, Ciaccio Broker, a cura di Mimmo Di Marzio, direzione artistica e organizzativa di Nicoletta Castellaneta.
Il titolo boccioniano intende rilevare i nomi più rappresentativi anche a  livello internazionale che hanno iniziato in Lombardia la loro carriera  artistica e al contempo si sono confrontati, attraverso differenti  linguaggi artistici, con le molteplici accezioni dei concetti di spazio,  tempo e luogo. 
Il paesaggio, in questa mostra, è interpretato e vissuto come sguardo  sui mutamenti urbano-ambientali ma soprattutto nelle sue relazioni  emozionali tra luogo e artista-osservatore. Uno sguardo che si manifesta  oltre il carattere meramente rappresentativo ma sempre lungo il confine  tra arte e architettura, creatività e progetto. Gli artisti esprimono  la loro concezione di spazio fisico e mentale con tutti i media che oggi  l’arte contemporanea mette a disposizione, tra installazioni  ambientali, scultura, fotografia, pittura e video. Paesaggio come sfondo  o come attraversamento, come territorio in divenire o come contenitore  di flussi, ma anche come riflessione. Un’indagine che gli artisti  svolgono allo Spazio Oberdan all’interno di spazi autonomi e che appare  quanto mai consona a una realtà come quella che sta affrontando in  questi anni la città di Milano, tra nuove politiche territoriali e  trasformazioni ambientali in vista dell’Expo.
Gli artisti in mostra
Nell’installazione di Loris Cecchini -  in dialogo con le opere su carta di Giovanni Frangi, un labirinto  composto di sabbie e pigmento puro all’interno di pannelli alveolari  pone l'idea di una stratificazione geologica che al tempo stesso fa  riferimento alla storia della pittura. 
L’intervento di Frangi risponde con un’installazione pittorica su  carta che riproduce un paesaggio immaginario attraverso cromatismi che  all’interno dello spazio paiono liberare le texture geometriche e  minimali. 
In una stanza buia l’installazione luminosa e sonora di Mario Airò –  il flash che illumina un ramo d’albero trasformandolo in lampo e il  rumore di un tuono – riproduce artificialmente la forza della Natura che  nello spazio chiuso dà luogo a uno spiazzamento percettivo.
Salvatore Falci riveste  lo spazio con cinque gradini d’erba cresciuta secondo la configurazione  del camminamento dei fedeli su un sagrato lombardo,
Marco Petrus, sulle orme di Alighiero Boetti, fa realizzare in  Nepal un tappeto a mano su cui è raffigurato uno dei suoi celebri scorci  architettonici. 
Andrea Mastrovito realizza appositamente per la mostra che sulle  pareti dello Spazio Oberdan riproduce un grande paesaggio boschivo che,  attraverso effetti materici e luminosi, muta seguendo un ritmo  circadiano.
“Milano a strappo” è il titolo dell’installazione che Stefano Arienti dedica  alla percezione di una città rappresentata attraverso immagini  ritagliate dalle pagine di quotidiani, poetiche ‘assenze’ su fotografie  ingiallite che lasciano appena intravedere scorci urbani riconoscibili. 
Un paesaggio interiore e in costante divenire quello costruito da Pierluigi Calignano:  una serie di pannelli ridisegnano ritmicamente e cromaticamente lo  spazio, attraverso colore e assenza di colore, alternanza di pieni e di  vuoti. 
L’installazione di Luca Pancrazzi si compone di semplici  materiali di uso quotidiano – libri o rotoli di scontrini fiscali - con  cui l’artista compone orizzonti immaginari e sculture-paesaggio dove  microcosmo e macrocosmo dialogano e si interfacciano. 
“Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora”, è l’iscrizione che Alberto Garutti ha  composto su una pietra collocata al suolo in diversi punti della città  di Milano dall’aeroporto di Malpensa. Nella sua opera è racchiuso il  concetto di un paesaggio inteso come geografia antropologica ed  esistenziale, flusso consapevole di vissuti individuali. 
Una ‘strip’ fotografica di Paola Di Bello lungo circa trenta  metri che percorre le stanze della mostra è il paesaggio“ in velocità “  nella geografia urbana, dove la manipolazione di scatti singoli crea una  mappa metaforica tra il tempo e lo spazio.
Anche Alessandro Papetti, attraverso il medium pittorico,  fuoriesce dalla tela e compone un’installazione ‘neofuturista’ che  immerge lo spettatore in un tunnel cromatico dove le immagini della  città si scompongono e ricompongono, come nella ripresa fotografica da  un’auto in corsa. 
Il video di Debora Hirsch è ambientato in un paesaggio carico di  significati biografici ed emozionali, la piazza centrale di Salvador de  Bahia dove venivano puniti a frustate gli schiavi. Semplici passanti  salgono e scendono in ‘slow motion’ secondo una dinamica impossibile e  surreale. 
Poetica e evocativa è l’installazione di Vedovamazzei che attraverso il calco di un muro deteriorato dal tempo disegnano la geografia di una nostalgica intimità. 
Nell’opera fotografica di Adrian Paci, un gruppo di  extracomunitari fermi nella sala d’attesa di un aeroporto rappresenta  metaforicamente la geografia del mondo contemporaneo, una geografia in  divenire e in costante relazione con il movimento dei flussi migratori.

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