Il prossimo 4 febbraio, allo Spazio Tadini - Milano, succede di tutto! 
Ben tre mostre inaugurano in contemporanea... 
Claudio Lucatelli presenta a Spazio Tadini dal 4 al 26 febbraio 2014 Il vento nel mio giardino
Inaugurazione 4 febbraio  2014 dalle ore 18.30 alle 21
Spazio Tadini via Niccolò Jommelli, 24 Milano 
Apertura da martedì a sabato dalle 15.30 alle 19
Un artista materico che raccoglie sulla tela stralci di giornali, 
fotografie, pagine di libri, cellophane e parole, modificando i 
riferimenti visivi e giocando con la semantica, le forme e i colori. Un 
modo di fare pittura che focalizza l’attenzione sulla complessità, la 
confusione e la precarietà di cui soffre l’uomo contemporaneo. Il titolo
 della mostra prende spunto dal titolo di un suo lavoro: “Il vento nel 
mio giardino”. Un elemento naturale che più di chiunque altro 
esemplifica la possibilità di cambiamento casuale delle cose e 
dell’eventualità di distruggerle.
“E venne il giorno in cui le parole non furono abbastanza e neppure 
le forme riuscirono a essere e solo i colori sopravvissero, senza 
coprire le tracce di ciò che accade e fu raccontato”. Se visitare una 
mostra è come entrare in un racconto questa sarebbe la giusta premessa 
alla visita nel mondo pittorico di Claudio Lucatelli.
L’uomo entra nelle tele di Lucatelli prevalentemente con la parola o 
solo in frammenti di immagine, quasi mai dipinti ma ripresi da 
fotografie o ritagli. In molti degli ultimi lavori l’ambientazione è 
prevalentemente esterna e in questo spazio, che allude al contesto 
naturale, le immagini, le forme, le parole e i segni si relazionano. 
Casualità o destino, muovono, agitano, modificano, alterano, scompongono
 e ricompongono, calmano. Le forze non agiscono mai sull’oggetto, 
sull’uomo o sul suo prodotto, ma sul costrutto mentale delle cose, sul 
concetto, sulla categorizzazione delle idee.
La ricerca espressiva dell’artista è in pieno fermento, ma gli 
elementi compositivi del suo linguaggio pittorico sono ben chiari: si 
stanno evolvendo verso una pittura sempre più informale in cui è ormai 
consolidata la scelta del collage e del dialogo tra semantica, semiotica
 e pittura.
Biografia di Claudio Lucatelli
Nato a Specchia (LE), architetto laureato in indirizzo Tutela e Recupero dei Beni Storici e Architettonici è cresciuto artisticamente nella Libera Accademia di Pittura di Vittorio Viviani (esponente del chiarismo lombardo) di Nova Milanese agli inizi degli anni 80. Coltivando da sempre la passione per la pittura espone la prima volta (una collettiva) nel 1999 nell’ambito della rassegna “Arte e Movimento” curata dall’artista Pasqualino Colacitti. Sono seguite altre collettive invitato dalla Famiglia Artistica Desiana. Alla Galleria SARGADELOS di Milano nel 2000, al Circolo Culturale “il Pettirosso” sempre a Milano nel 2001, allo spazio espositivo Cento Firme di Lissone nello stesso anno. Alla Galleria E. Mariani di Seregno nell’ambito della rassegna “il linguaggio figurativo nelle scuole medie” nel 2002 e ancora nello Spazio Cento Firme a Lissone. I lavori più recenti risentono dell’influsso dell’amico ed artista Giovan Battista Pastorelli esponente del Decostruzionismo Italiano. Nel 2003 realizza una personale nel Palazzo Arese Borromeo di Cesano Maderno in occasione della rassegna” Echi del Salento” e nello stesso anno una personale a Como in S. Pietro in Atrio. Nel 2012 personale a Specchia (Le) nel Castello Risolo in occasione della manifestazione “Coincidentia Oppositorum”. A Marzo 2013 ospite nel Bianco Art Cafè di Seregno con la rassegna Grida Quieti. A Dicembre 2013 partecipa alla Collettiva Pro Lampedusa SAVE MY DREAM allo Spazio Tadini di Milano Alcune testate giornalistiche hanno pubblicato e descritto il suo lavoro, tra queste Il Cittadino, L’Esagono, Nuova Rassegna di Studi Meridionali, il Corriere di Como, la Gazzetta del Mezzogiorno, Qui Salento, Il Quotidiano di Lecce e il Giornale di Seregno.
Il vento nel mio giardino
“E venne il giorno in cui le parole non furono abbastanza e neppure 
le forme riuscirono a essere e solo i colori sopravvissero, senza 
coprire le tracce di ciò che accade e fu raccontato”. Se visitare una 
mostra è come entrare in un racconto questa sarebbe la giusta premessa 
alla visita nel mondo pittorico di Claudio Lucatelli. L’artista ci offre
 una pittura materica dove sulla tela troviamo fogli di carta, libri, 
cellophane, frammenti di quotidiani, pagine di libri, parole evidenziate
 o testi o segni scritti sulla tela. Una serie di frammenti e tracce che
 appartengono come ad un racconto interrotto. A irrompere c’è la 
gestualità del colore che copre, che schiaccia, che scarabocchia e segna
 l’inizio di un nuovo percorso semantico e segnico. Il giallo, il rosso,
 il blu, il verde, il nero e il viola sono tra i colori ricorrenti. 
Insieme segnano il cambiamento emotivo, concorrono alla demolizione e 
alla costruzione dell’immagine non mantenendo alcuna appartenenza alle 
cose. Nelle tele di Lucatelli possiamo trovare un cielo verde, una 
nuvola rossa tanto quanto un cielo nero come la pece. Se nei primi 
lavori la tecnica del collage portava l’artista ad una raffigurazione 
senza chiari riferimenti contestuali, nell’ultimo ciclo prevale 
l’ambientazione esterna. Titoli come “ il vento nel mio giardino”, 
“nuvola nera”, “quel che rimane della casa”, portano la modalità 
espressiva pittorica di Lucatelli fuori dalle “mura mentali” o 
domestiche (si è dedicato anche alla raffigurazione di diverse nature 
morte con piatti di frutta). L’ambientazione è spesso chiaramente 
esterna e la pittura si confronta con la forza espressiva degli elementi
 naturali volutamente trasfigurati. L’uomo entra in questo spazio con il
 verbo, la parola, i frammenti di immagine e, in questa collocazione, si
 confronta con gli elementi naturali dove avversità temporali, casualità
 o destino, muovono, agitano, modificano, alterano, scompongono e 
ricompongono, calmano. Le loro forze non agiscono mai sull’oggetto, 
sull’uomo o sul suo prodotto, ma sul costrutto mentale delle cose, sul 
concetto, sulla categorizzazione delle idee. Per esempio nell’opera 
“quel che rimane della casa”  non vediamo una casa, ma il segno che la 
rappresenta. Potrebbe essere la casa di chiunque, potrebbe avere 
qualsiasi forma o rilevanza architettonica, ma poco importa. Per 
Lucatelli è “la casa” ad entrare nel paesaggio, le cui fondamenta 
sembrano appena trattenute da un segno orizzontale a matita. Il prato è 
altrove, è sopra le teste: nel cielo. E’ lì che esiste il vero oggetto, 
la “vera casa” che è data da un groviglio spesso informe, più o meno 
materico in cui nulla vi si riconosce se non il senso della complessità,
 del groviglio, della massa filamentosa e geneticamente preordinata 
della nostra essenza. Forse l’Io. Queste forme aggrovigliate di segni 
sono ricorrenti negli ultimi lavori di Claudio Lucatelli. Sono tratti a 
matita che intervengono come uno scarabocchio al centro della 
composizione e si insinuano, con le loro forme spesso allungate, altre 
volte simil sferiche nella storia. Quando sono scomposte o allungate 
sembrano sprigionare un’energia edificante tale da alimentare 
costruzioni di forme e immagini volte verso l’alto come vediamo in 
“fiori di Roma” o sempre nella serie “Il vento nel mio giardino”. Quando
 l’ammasso segnico si raggomitola in se stesso i suoi lavori entrano in 
una sorta di calma energetica con una dominanza di linee orizzontali 
come nel caso dell’opera “quel che rimane della casa”. La ricerca 
espressiva dell’artista è in pieno fermento, ma gli elementi compositivi
 del  suo linguaggio pittorico sono ben chiari: si stanno evolvendo 
verso una pittura più informale in cui è ormai consolidata la scelta del
 collage e del dialogo tra semantica, semiotica e pittura. Le tele di 
Lucatelli rappresentano bene l’insieme delle fonti d’informazione e 
stimolo a cui l’uomo contemporaneo è soggetto, tanto quanto l’insieme 
delle forze generate dal contesto ambientale in cui vive e il senso di 
confusione e precarietà di cui soffre.
Melina Scalise
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L’artista Franco Scepi presenta #CANCELLATO Emilio Tadini
Ospita la 23° tappa nazionale dell’evento # CANCELLATO di
FRANCO SCEPI :
# CANCELLATO/EMILIO TADINI
martedì 4 al 26 Febbraio 2014 
inaugurazione 4 febbraio ore 18,30 Spazio Tadini via Niccolò Jommelli, 24 Milano
Con la  partecipazione dello scrittore Andrea Pinketts, dell’attrice Xena Zupanic e con “l’intervista impossibile” a cura del meta-critico Nicola Gentile e la proiezione della presentazione di Gillo Dorfles a Franco Scepi presso la Galleria Marconi.
Un evento, una performance, ma soprattutto
 una provocazione per restituire attenzione e visibilità al nostro 
patrimonio artistico e culturale. Dalla Statua di Marco Aurelio a Roma a
 Emilio Tadini a Milano è così che Franco Scepi, vuole puntare il dito 
sulla trascuratezza in cui versano i nostri beni culturali. L’artista 
rifocalizza l’attenzione sull’uomo, sulla bellezza e sull’arte 
ritenendoli valori da cui ripartire per un rilancio sociale e uno 
sviluppo più consapevole. Finora sono 22 i monumenti # CANCELLATO e 
l’intervento a Spazio Tadini si sposta all’intellettuale Emilio Tadini, 
figura eclettica e rappresentativa della cultura e dell’arte milanese e 
non solo.
L’esposizione a Spazio Tadini accoglierà la perfomance di Franco 
Scepi su alcune opere di Emilio Tadini selezionate per l’evento. 
Inoltre, nel salone, verranno riproposti alcuni elementi dell’atelier di
 Tadini che faranno da scenografia anche ai lavori che hanno 
contraddistinto le tappe decisive dell’artista Franco Scepi 
dall’ideazione e realizzazione del “Man’s for peace”, sottoscritto da 
Gorbačëv a dei pezzi di Over Ad’Art per cui fu premiato a New York nel 
1987 con l’oscar per la pubblicità.
“Etichetto con gli Hashtag # CANCELLATO” il lavoro di Emilio 
Tadini .-dichiara Franco Scepi-  perché  è stato grande protagonista 
della cultura italiana, uomo  eclettico, innovatore dei linguaggi; 
 pittore, scultore, scrittore, poeta e molto altro ancora – spiega l’artista Scepi – “Cancello”
 Emilio Tadini del quale fui frequentatore dagli anni cinquanta, in 
quella Milano nebbiosa e prodigiosa, dove al Bar Jamaica della signora 
Lina a Brera, insieme a Manzoni, Recalcati, Fontana, Morlotti, Mulas, 
Alfa Castaldi e tanti altri artisti, fotografi, scrittori, si stanziava e
 si inventava  il futuro.  Etichetto con l’hashtag  # CANCELLATO 
rifacendomi alle mie origini di arte Fluxus, alle utopie che 
sintetizzavamo nel concetto “arte e vita”, alle mie azioni  “OVER, 
sovrapposizioni/cancellazioni,  che operavo da gli anni 60 sulle  mie 
stesse creazioni “reclame” per De Rica, Cirio, Deborah ecc….# CANCELLATO
 ( azione Over Ad’ Art ) è una etichetta che marchia “ i prodotti della 
storia”  a cui diamo scadenza per il diffuso disinteresse alla cultura, 
come un prodotto della storia che non serva più.
Con questa azione voglio colpire l’indifferenza, il disinteresse, 
la superficialità, la negligenza, verso i valori dello spirito ed 
indurre alla riflessione per il ritorno ad un nuovo rinascimento, ad una
 comunicazione,  più etica,  per riscoprire il valore dell’arte per la 
vita”. 
Franco Scepi nel mese di ottobre 2013 ha istallato fisicamente nella 
realtà  il suo  hashtag # Cancellato su i monumenti della storia 
dell’arte italiana in 22 città, per indurre alla riflessione verso il 
valore della cultura per gli uomini e la vita di tante vittime del 
lavoro che sono state cancellate. Scepi ha dedicato la sua opera 
all’associazione  “Anmil”  con la testimonianza critica dello storico 
dell’arte Enrico Mascelloni.
L’azione dell’artista Franco Scepi è  iniziata dalla statua di Marco 
Aurelio in Campidoglio a Roma, con il supporto della Soprintendenza ai 
Beni Culturali e dei Comuni dove è stata creata l’azione avvenuta 
contemporaneamente: ad Asti, Brescia, Caltanisetta, Campobasso, Caserta,
 Catanzaro, Cuneo, Fermo, Grosseto, Formia, Macerata, Mantova, Piacenza,
 Reggio Emilia, Siracusa, Torino, Rovereto (Trento), Varese, Vibo 
Valentia .
Biografia Franco Scepi
Franco Scepi è figlio d’arte, madre pittrice, padre con vena poetica, zia musicista. Gillo Dorfles lo gli ha conferito l’appellativo di Inventore polivalente e ne ha ben ragione dal momento che Scepi ha sperimentato tutti i media e linguaggi: pittura, pubblicità teatro, cinema, pubblicità.
Franco Scepi infatti fu architetto scenografo al Teatro alla Scala di Milano (allievo di Nicola Benois) e in televisione (L’amico del giaguaro) e regista di film d’autore, Can Cannes e Packaging, presentati alla Biennale di Venezia nel 1980 e 1982, ha realizzato short-film, video-performance, video musicali e spot pubblicitari.
Nei primi anni 60 filma e fotografa eventi straordinari. È affascinato dal fuoco, dall’acqua, dalle conflittualità della natura, segue gli interventi dei pompieri e crea documenti visivi che definisce “effetti fuoco”, anticipando le correnti dell’arte concettuale.
Quando Andy Warhol rappresentò le sue Campbell’s Soup, ed i prodotti furono considerati segni d’arte contemporanea, Franco Scepi ne seguì l’esempio tanto da condividere con l’artista anche dei momenti creativi per Campari. Negli anni 70 e 80 ha lavorato per importanti aziende e prodotti: Cirio, Arrigoni, Ramazzotti, BIC, Deborah, Ovomaltina, San Pellegrino, Antonini, Castelli, Fiorucci, Autogril, Gaggia, GS, Euromercato.
Con Lino Casa e Claudio De Micheli fonda a Milano nel 1967 l’agenzia CDS dove nel 1977 entra come socio Gianni Sias, e nel 1977 è co-fondatore e promotore della casa di produzione Mercurio Cinematografica con i soci. Negli anni 80 con il gruppo dei soci fonda le agenzie Eurocom ed Azzurra.
Per oltre 10 anni, erede di Fortunato Depero in Casa Campari si è occupato dell’immagine dei prodotti dell’azienda, creando, producendo e dirigendo personalmente anche gli spot televisivi.
Frequentatore di Andy Warhol, ha definito il suo lavoro Over Ad’Art ed è stato premiato nel 1987 a New York con l’Oscar per la Pubblicità. Tra gli eventi Over Ad’Art “Caffè ad Arte”, creato e realizzato con Mario Schifano e con la partecipazione dell’attrice Brooke Shields. Over Ad’Art sintetizza una forma di espressione successiva alla Pop art. L’artista non utilizza più le immagini create da altri, ma rielabora le immagini pubblicitarie da lui stesso prodotte in un’opera successiva recuperandone i segni estetici ed usufruendo dei materiali originali in suo possesso. Over Ad’Art simboleggia e propone l’estetica nella comunicazione di massa per elevare l’immaginario collettivo.
Ha inventato la prima auto elettrica d’artista, riproposta da un suo spot. Ha disegnato manifesti per registi internazionali tra i quali Brian De Palma, Werner Fassbinder e ha progettato, dal 1980, eventi per costruire l’immagine della Città di Milano: Panoramica dei film di Venezia, Carnevale Ambrosiano, Festa dei Navigli, Topix: video scultura in Piazza Duomo.
Nel 1999 Michail Sergeevič Gorbačëv ed i Nobel della Pace hanno sottoscritto l’immagine Man for Peace, creata da Scepi nel 1977 per il manifesto del film L’uomo di marmo di Wajda, ispirata da Karol Woitjla e definita simbolo anticipatore del crollo del muro di Berlino. Differenti copie del monumento, con il sostegno del Museo MAGI, sono state acquisite da Città e Gallerie d’Arte. Con il simbolo Scepi’s Man for Peace sono stati premiati dai Nobel, personaggi dello spettacolo che si sono distintisi per il loro impegno etico, tra i quali Roberto Benigni nel 2002, Nazionale Cantanti nel 2003, Cat Stevens nel 2004, Bob Geldof, Dawn Engle e Ivan Suvanjieff nel 2005, Massimo Cacciari nel 2007, Claudio Baglioni nel 2008.
Fra le sue opere più recenti, si segnala il grande monumento “Goccia della Terra”, esposto alla Fondazione Dino Zoli di Forlì. Il monumento, pensile, è dedicato a tutte le madri della Terra, a partire da Jetsum Pema, sorella del Dalai Lama e Grande Madre del Tibet, alla quale Franco Scepi ha donato il progetto dell’opera. La scultura è alta 4 metri x 1,80, pesa 10 quintali ed è stata realizzata dall’autore in terracotta refrattaria, secondo i metodi dell’antica Tebe, dichiara Scepi, e dipinta con colori traspiranti.
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Gustavo Bonora dal 4 febbraio a cura di Francesco Tadini
Il lavoro di Gustavo Bonora è legato saldamente al corpo dell’arte del Novecento e a quei tessuti, organi e articolazioni che gli hanno dato vita e sconfinato le frontiere temporali del nuovo Millennio.
Un lavoro di Frontiera avviato in un dopoguerra milanese 
particolarmente ricco di cantieri culturali nei quali si costruivano 
anche le case che ancora oggi abitiamo. Un processo che vede 
interconnettersi  – ancora con inesauribile manualità – le discipline 
dell’arte e della conoscenza dell’uomo.
Sarà per questo che Gustavo Bonora intraprende, parallelamente 
all’attività artistica, quella di psicoanalista. Non si può preferire 
Bonora pittore a Bonora psicanalista se non per vizio. L’occhio vuole la
 sua parte e concede raramente un “pari” alla riflessione che ne maturi 
l’acutezza. Ma è sufficiente scavare un poco per sondare le radici della
 indiscutibile qualità pittorica di Bonora e recuperare il terreno che 
le nutre. Terreno delle più grandi conquiste etiche, oltre che 
estetiche, della generazione che precede chi oggi è nel mezzo del cammin
 di nostra vita.
Se l’arte informale – territorio di sperimentazione 
privilegiato da Bonora – è stata, consapevolmente o no, la risposta 
artistica che l’Europa ha dato alla crisi morale e politica conseguente 
agli orrori della seconda guerra mondiale, allora non si può che 
risalire ai progenitori e alla loro epoca (di quasi tutte le avanguardie
 artistiche successive oltre che dell’informale): i surrealisti e la 
prima guerra mondiale. Guerra nella quale, come racconta lo storico 
americano Eli Zaretsky (in I misteri dell’anima. Una storia sociale e culturale della psicoanalisi)
 “(…) uno studente francese di medicina, a nome André Breton, fece una 
suggestiva scoperta: mentre curava un soldato traumatizzato, il quale si
 era costruito la fantasia che la guerra fosse finita, le ferite dei 
soldati fossero solo dipinte e i morti cadaveri presi in prestito dalle 
facoltà di medicina, Breton cominciò a dare forma alle idee del 
movimento che chiamerà surrealismo…”
Va ricordato  che, in quel periodo tutti i più stretti collaboratori 
di Freud lavorarono con i soldati affetti da nevrosi traumatica. Abraham
 dirigeva un ospedale di smistamento sul fronte orientale. Ferenczi 
organizzò il reparto psichiatrico di un ospedale militare di Budapest. 
Ernst Simmel dirigeva un ospedale psichiatrico da campo a Posen.
E’ ancora Zaretsky a concludere, con le parole di W.H.R. Rivers, 
medico inglese convertito alla psicanalisi: “Si direbbe che il destino 
ci abbia offerto una straordinaria occasione per mettere alla prova la 
verità della teoria freudiana dell’inconscio.”
Gli orrori della Grande Guerra fornirono l’occasione del superamento 
di una concezione positivista e meccanicistica nella conoscenza 
dell’uomo (i soldati traumatizzati venivano “curati”, fino ad allora, 
con abbondanti terapie elettroconvulsivanti, comunemente note come 
elettroshock) in favore di un nuovo inizio.
“L’io non è più padrone nemmeno in casa propria”. E: “L’immaginazione è forse sul punto di riconquistare i propri diritti”. Due proposizioni che hanno segnato il Novecento. Freud e Breton.
Breton legge gli scritti di Freud e applica le teorie psicoanalitiche
 sui malati e anche sulla scrittura. Nel 1919 insieme a Soupault elabora
 la scrittura automatica, attraverso la quale il pensiero viene liberato
 dal controllo della ragione e fa emergere la dimensione inconscia.
Il Surrealismo viene definito dallo stesso Breton: “Surrealismo, Automatismo
psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia 
verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il 
funzionamento reale del pensiero…” .
E’ proprio questa fuga dal controllo della ragione, questa 
emersione dell’inconscio a disegnare una delle più nette linee di 
demarcazione nella storia dell’arte e delle Avanguardie del Novecento. 
Ed è l’immersione di un pittore / psicanalista del livello di Gustavo 
Bonora in un lavoro che lo ha posto al centro di un gruppo milanese ben 
nutrito (da Mino Ceretti, Bepi  Romagnoni, Giuseppe Guereschi, Floriano 
Bodini, Emilio Tadini, per citarne solo alcuni) ad attuare uno 
slittamento ulteriore del ruolo dell’artista nella società.
Gli anni dell’impegno sociale e politico di molti artisti, dopo la 
liberazione dal fascismo, erano forieri di scelte e divisioni 
importanti. Implicito, per una certa parte della intellettualità 
schierata, il richiamo ad un ordine – una forma – che potesse, in modo diretto, servire le istanze della classe operaia.
Bonora, non “organico” (gli intellettuali organici erano 
essenziali, per Antonio Gramsci nella costruzione dell’egemonia 
culturale) già intellettuale di vaste e articolatissime letture -  da 
Sarte a Husserl, oltre che a Freud e Lacan -  non poteva che darsi la 
libertà di esplorare un sapere non richiesto da un sistema delle arti che doveva – per necessità anche mercantili – inseguire, in definitiva, centri di potere.
La sintesi surrealista, matrice di qualunque arte informale, era e 
resta per Gustavo Bonora, origine di un fruttuosissimo e lungo lavoro a 
cavallo tra arte e psicanalisi che, lungi dal perdere attualità, 
permette alla pittura – quella particolare operazione manuale attuata 
con colori e pennelli – di essere ancora in vetta alla classifica delle 
molteplici vie della conoscenza chiamate arti.
Francesco Tadini
 Biografia Di Gustavo Bonora




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