Lasciamo libero il passaggio, passa la grande Arte!!!
'Van Gogh e il viaggio di Gauguin' 
12 novembre 2011 - 15 aprile 2012
Palazzo Ducale
Piazza Matteotti 9
16123 Genova
Piazza Matteotti 9
16123 Genova
Nell’aprile del 1897 Paul Gauguin è tornato a Tahiti da quasi due anni.  Le sue condizioni di salute non sono buone e dipinge poco nella natura  lussureggiante e davanti all’oceano, e invece molto di più nel suo  studio. In quel mese riceve dalla moglie Mette la notizia che la figlia  Aline, a poco più di vent’anni, è morta a Copenaghen in gennaio per le  complicazioni derivanti da una malattia polmonare. Gauguin è straziato  da questa notizia e poco per volta, nei mesi successivi, matura in lui  l’idea di togliersi la vita. La malattia e la lontananza pesano in  maniera insopportabile. Ma decide che lascerà il mondo dopo avere  dipinto il suo capolavoro, un ultimo grande quadro che riassuma il senso  del suo viaggio nel mondo e dentro le luci della pittura. Ordina così a  Parigi molti nuovi colori e molti pennelli, anche di ampie dimensioni. A  Tahiti si fa cucire una tela enorme, quattro metri di lunghezza e uno e  mezzo di altezza. Ricoverato per dei problemi cardiaci nell’ospedale  francese di Tahiti il secondo giorno di dicembre del 1897, ne esce  subito e pone mano al quadro epocale, uno dei dipinti più celebri  dell’intera storia dell’arte. Alla fine di dicembre è terminato e il  giorno prima della conclusione dell’anno sale sulle montagne con un vaso  di arsenico deciso a suicidarsi. La quantità ingurgitata è talmente  alta che immediatamente rigetta il veleno e in preda alle convulsioni e a  dolori atroci resta tra le montagne per un’intera giornata, fino a che  barcollando scende verso il suo villaggio per essere curato. Rimane di  tutta questa esperienza il quadro celeberrimo, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?,  che come prestito altrettanto epocale sarà a Genova quale gemma  assoluta di una mostra peraltro già straordinaria. Il museo di Boston,  presso il quale è conservato, lo concede in prestito per la quarta volta  soltanto nella sua storia, e solo per la seconda volta in Europa, dopo  Parigi una decina di anni fa. La visita alla mostra Van Gogh e il viaggio di Gauguin  assumerà pertanto i connotati di una assoluta straordinarietà,  potendovi fare l’esperienza di questo quadro che è una delle rarità a  livello mondiale e immaginando che l’incredibile di vederlo in Italia  adesso accada. Nessun’altra opera potrebbe tra l’altro significare  meglio il senso che del viaggio la mostra genovese intende dare: viaggio  come esplorazione geografica, viaggio come spostamento fisico e viaggio  nella propria interiorità. Verrebbe da dire che senza questo quadro la  mostra non si sarebbe potuta fare e che con quest’unico quadro tutta la  mostra si potrebbe fare.
Ma poi l’idea di questa mostra favolosa, composta da 80 capolavori della  pittura europea e americana del XIX e del XX secolo provenienti dai  musei di tutto il mondo, origina dal riconoscere la centralità della  figura di Vincent van Gogh nell’arte dei due secoli considerati. Attorno  a questo fuoco che continua a bruciare, si è venuta appunto sviluppando  quella straordinaria avventura del viaggio che è il senso vero e  profondo dell’esposizione.
Il viaggio da un luogo  verso un altro luogo – dunque gli spazi evocati nel sottotitolo – e il  viaggio dentro se stessi. Van Gogh li esprime benissimo entrambi,  unendoli così nella sua opera. Ed è per questo che addirittura  trentacinque sue opere fondamentali (venticinque dipinti e dieci  disegni) quasi interamente prestate dal Van Gogh Museum di Amsterdam e  dal Kröller-Müller Museum di Otterlo, saranno il cuore e il nucleo di  questa eccezionale esposizione genovese, nel passaggio dal buio degli  interni olandesi alla lucentezza quasi insopportabile del sole del Sud. E  se è vero che Van Gogh ha cercato in nessun’altra immagine più che in  quella di se stesso questa fusione tra ciò che è dentro e ciò che è  fuori, non poteva che essere il celeberrimo Autoritratto al cavalletto,  dipinto nel 1888 ed eccezionalmente prestato per questa occasione dal  Van Gogh Museum, la sintesi estrema e perfetta di questa tensione  irrisolta tra il viaggio che conduce e il viaggio che sigilla. Non a  caso questo quadro, da solo ed emergente dal buio, sarà collocato nella  penultima sala della mostra, la cappella dogale, come sigillo prima che  giunga l'immagine finale di un covone sorvolato dai corvi, il volo verso  i territori di un viaggio apparentemente senza ritorno. Il Covone sotto un cielo nuvoloso,  dipinto ad Auvers solo tre settimane prima di morire, sarà per la prima  volta esposto al pubblico dopo oltre quaranta anni ed è un altro dei  frutti straordinari che nascono nel giardino di questa mostra. Cui si  aggiungono, per esempio, alcune delle lettere originali scritte da Van  Gogh al fratello Theo e collegate ai quadri esposti a Palazzo Ducale.  Brandelli di carta, quasi santini devozionali, che esposti in una sala  immersa nel buio non mancheranno di suscitare la più grande emozione.
Dunque  al centro starà Van Gogh con tanti veri capolavori, tra i quali è  impossibile non ricordare anche la più celebre versione del Seminatore  dipinta ad Arles nel giugno del 1888. Ma anche quell’altro quadro  famoso, e simbolico quant’altri mai in questa mostra dedicata al tema  del viaggio, con le Scarpe di Van Gogh.
E prima e poi si svilupperanno due sezioni, l’una dedicata alla pittura americana e l’altra alla pittura europea.
Dapprima  dunque la pittura americana del XIX secolo, pittura che è anche vera e  propria esplorazione di territori sconosciuti, enunciazione di uno  spazio che si identifica con una nazione nuova. Due pittori soltanto a  rappresentare questo anelito, questo pathos, questa forza  primordiale che autorizza il viaggio verso l’ignoto di un luogo che si  desidera incontrare e quasi abbracciare. Se questo abbraccio non fosse  quasi esagerato per la sua dimensione. Edwin Church, il pittore  dell’Est, della valle del Hudson, della costa del Maine, e poi Albert  Bierstadt, il pittore dell’Ovest, della scoperta di Yellowstone e di  Yosemite.
E con un salto di qualche anno, il  viaggio sulle rive dell’Oceano Atlantico, e precisamente a Prout’s Neck  lungo la stessa costa del Maine, di Winslow Homer. A cavallo dei due  secoli, Homer conclude il suo viaggio nella solitudine di acque  tempestose, nel buio di un gorgo che si specchia contro la nera  nuvolaglia del cielo. Quella stessa costa del Maine che anche uno  straordinario pittore come Andrew Wyeth racconterà per tutta la seconda  metà del XX secolo raccogliendo la tradizione figurativa oltre che di  Homer anche di Edward Hopper, colui che ha saputo isolare il senso del  viaggio nella provincia americana all’interno di una muta sillaba, di un  impressionante silenzio. Che ha saputo altresì isolare il senso del  viaggio interiore in alcune sue celeberrime figure pensose e mute.
Da  certe anse di buio e notte di Hopper, la mostra ripartirà per indicare  le superfici quasi monocrome di Mark Rothko, per uno dei viaggi  nell’interiorità più straordinari che la storia della pittura ricordi.  Viaggio che sente le profondità del territorio e delle acque e tutto  trasforma in lividi accenni d’onda. Ma che vivrà anche nell’esaltante  confronto, fianco a fianco sulla parete, tra i neri e le terre di Rothko  stesso e le marine quasi identiche di Turner un secolo e mezzo prima. E  poi mareggiate che Richard Diebenkorn rovescia nei suoi fulminanti Ocean Parks, guardando da una finestra alta sul Pacifico il trafficato scorrere dei fili dell’elettricità.
E  se qui si chiuderà la sezione americana, quella dedicata alla pittura  europea partirà dal viaggio della mente davanti all’infinito di Caspar  David Friedrich, una piccola barca che va nella nebbia e si dirige.  Mentre William Turner si confonde – materia nella materia, colore nel  colore, cenere nella cenere, acqua nell’acqua, fuoco nel fuoco, pittura  nella pittura – nel gorgo di un viaggio che sposa la potenza degli  elementi.
Il viaggio di Paul Gauguin sarà agli  antipodi, e il grande quadro lo rappresenterà tutto, isolato nella  penombra di una vasta sala dove avrà tutta l'attenzione, sola luce,  concentrata su di sé, mentre immagini proiettate sulle pareti, e  musiche, diranno di quel sentimento pieno e caldo, nostalgico e forte.  Poi il viaggio di Claude Monet sarà nel recinto protetto del giardino di  Giverny, nella fioritura delle ninfee come ghirlande. Il viaggio di  Monet è dentro la luce che tocca l’occhio e rivela i colori, ne  autorizza la dissolvenza.
Poi ancora il viaggio  mentale di Wassily Kandinsky, quel viaggio che ha a che fare  quotidianamente con la visione accidentata, talvolta persino malata, che  si costruisce nella forma che genera sogni e incanti, tremori e  memorie. Viaggio che è cosa prettamente legata alla cultura europea  della prima metà del XX secolo. E che a metà di quel secolo, in una  sorta di epico, e anche tragico, parallelo con Rothko, vede sulla scena  il percorso straziato di Nicolas de Staël, dai muri calcinati di  Agrigento, alle figure davanti al mare fino agli strapiombi di Antibes,  alti sul cielo violato dai gabbiani.
Ma nel  mezzo, monumentale e tragico, accidentato e splendente, Van Gogh  continua a giganteggiare, con i suoi campi di grano sorvolati dai corvi o  con le fioriture gentili nei parchi. Van Gogh che è il cuore e l’anima  di questa mostra straordinaria, che per questo ne allinea tanti e  motivati dipinti.
Genova incredibilmente avrà una sublime mostra dei capolavori di Van Gogh. L'epocale prestito del Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? di Gauguin. E accanto a essi tanti altri capolavori da Hopper a Kandinsky.

 
 
Nessun commento:
Posta un commento