RITENGO CHE SIA DOVERE DI CHIUNQUE E A MAGGIOR RAGIONE DI NOI ITALIANI, FARE DI TUTTO PER PROMUOVERE, SALVAGUARDARE E DIVULGARE L'ARTE IN TUTTE LE SUE ESPRESSIONI.
UNA SOCIETA' DISTRATTA SUI FATTI DELL'ARTE E' UNA SOCIETA' VOTATA ALL'IMPOVERIMENTO... E NOI, DA QUESTO PUNTO DI VISTA, LO SIAMO GIA' ABBASTANZA!






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sabato 10 settembre 2016

ITALIA POP. L’arte negli anni del boom - a cura di Walter Guadagnini e Stefano Roffi alla Magnani Rocca

Si inaugura oggi alla Fondazione Magnani Rocca...

 

ITALIA POP. L’arte negli anni del boom

a cura di Walter Guadagnini e Stefano Roffi

Invasione Pop alla Villa dei Capolavori! Dal 10 settembre all’11 dicembre 2016 la Fondazione Magnani Rocca, presso Parma, ospita una grande mostra sulla Pop Art italiana, composta da circa settanta opere provenienti da importanti istituzioni pubbliche e prestigiose collezioni private. 

La mostra intende fornire una lettura articolata e innovativa delle vicende che hanno portato alla nascita e alla diffusione di una “via italiana” alla Pop Art, pienamente in sintonia con le analoghe esperienze maturate in ambito internazionale e al tempo stesso linguisticamente autonoma rispetto ai modelli statunitensi ed europei del periodo.



Fondazione Magnani Rocca
via Fondazione Magnani Rocca 4
43029 Mamiano di Traversetolo, Parma

Tel. 0521 848327 / 848148
Fax 0521 848337

info@magnanirocca.it

sabato 28 marzo 2015

Roma 900 - alla Magnani Rocca

Fino al 7 Luglio alla Magnani Rocca....





De Chirico, Guttuso, Capogrossi, Balla,
Casorati, Sironi, Carrà, Mafai, Scipione e gli altri
nelle Collezioni della Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale

Simbolismo, Secessione, Futurismo, Nuovo Classicismo, Scuola Romana, Astrattismo:
il XX secolo nella città eterna.

Sontuose figure femminili, Ritratti di celebri personaggi, Vedute dell’Urbe e della campagna romana, Nature morte rigorose o vibranti, sono i principali soggetti affrontati dagli artisti protagonisti della nuova mostra della Fondazione Magnani Rocca, fra i quali:
Afro, Balla, Bocchi, Cambellotti, Capogrossi, Carena, Casorati, Conti, Crali, De Carolis, Depero, De Chirico, De Pisis, Discovolo, Donghi, Dottori, Fillia, Funi, Gentilini, Guttuso, Levi, Lionne, Mario Mafai, Antonietta Raphaël Mafai, Mancini, Manzù, Marini, Benedetta Marinetti, Melli, Monachesi, Pirandello, Prampolini, Sartorio, Savinio, Scipione, Severini, Sironi, Socrate, Spadini, Stradone, Tamburi, Tato, Turcato.
La mostra, promossa dalla Fondazione Magnani Rocca e da Roma Capitale, Assessorato Cultura e Turismo – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, è a cura di Maria Catalano, Federica Pirani, Stefano Roffi.
L’esposizione, attraverso oltre cento splendide opere, intende presentare il "Novecento romano", quindi il collezionismo pubblico e la cultura artistica a Roma nella prima metà del XX secolo, nella complessità dei linguaggi che si sono succeduti, con gli artisti e i movimenti di riferimento. Prosegue così presso la Villa dei Capolavori - sede della Fondazione a Mamiano di Traversetolo, vicino a Parma - l’indagine della grande arte italiana del Novecento.
Il percorso proposto dai curatori dell’esposizione permette una lettura aperta attraverso livelli intrecciati tra loro. Così la visita ai capolavori delle civiche collezioni romane è articolata in una sequenza di sezioni, coerenti al loro interno, in grado di condurre il visitatore dalle opere legate alle ricerche stilistiche tardo-naturaliste e simboliste di inizio Novecento - Sartorio, Mancini, Spadini, Bocchi, De Carolis, Balla - agli esiti più audaci e innovativi del Secondo Futurismo - Depero, Benedetta Marinetti, Prampolini, Tato - per proseguire con la ricca sezione sul valore della tradizione italiana e il dialogo con l’antico - Casorati, De Chirico, Savinio, De Pisis, Severini, Sironi, Carrà - e con quella altrettanto articolata della Scuola Romana - Mafai, Scipione, Afro, Tamburi, Funi; il percorso si conclude con la figurazione e l’astrazione degli anni cinquanta, da Guttuso a Turcato, Capogrossi e Pirandello.
Il progetto della mostra nasce dalla collaborazione tra la Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale e la Fondazione Magnani Rocca, che nella realizzazione dell’evento hanno avuto modo di confrontare la loro storia, il loro patrimonio e la loro attività di valorizzazione delle collezioni.
Proprio il dialogo tra le due collezioni permette anche di porre in rapporto opere di medesimi autori - come Guttuso, De Pisis, Carrà, Severini, Manzù, De Chirico, Mafai, Tamburi - eseguite in tempi e in situazioni diverse, mostrando così alcune tappe fondamentali della ricerca personale di alcuni dei più significativi artisti dell’arte italiana del Novecento.
La mostra propone anche un confronto tra la storia e la vocazione dei due musei. La Galleria d’Arte Moderna di Roma nata nel 1883 e aperta al pubblico nel 1925, rivela una forte intenzione celebrativa dell’Italia post-unitaria e fascista attraverso un programma di acquisizioni guidato dalle autorità civiche al fine di documentare l’ambiente artistico della capitale d’Italia nei suoi molteplici aspetti. La Fondazione Magnani Rocca, istituita nel 1978 e aperta al pubblico nel 1990, originata dal grande amore per l’arte di un singolo collezionista, quale Luigi Magnani, raccoglie le opere da lui scelte per accompagnare i suoi pensieri, le sue riflessioni, il suo esistere.
Il visitatore potrà ammirare e contemplare le singole opere già di per sé ricche di suggestioni o avventurarsi nei percorsi di relazioni e confronti che esse stesse suggeriscono.

Alla collezione della Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale appartengono oltre tremila opere, fra le quali le oltre cento “gemme” selezionate per la mostra: dipinti, sculture, lavori grafici che costituiscono un patrimonio prezioso per la storia del collezionismo e della cultura artistica a Roma e in Italia sullo scorcio dell’Ottocento e lungo la prima metà del Novecento.
Le opere provengono da successivi e continuativi acquisti operati dal Comune di Roma presso le più importanti rassegne espositive nazionali organizzate nella capitale, in particolare, dal 1931, le Quadriennali d’Arte Nazionale, e da donazioni private che in alcuni casi hanno incrementato la collezione con fondi consistenti di uno stesso artista. A opere emblematiche come Il Cardinal Decano di Scipione, del 1930, in mostra a Mamiano, si affiancano numerose testimonianze delle tendenze artistiche presenti nella complessa cultura figurativa della prima metà del XX secolo, dal movimento di Novecento al Realismo Magico, dal Secondo Futurismo all’articolato percorso della scultura italiana tra tradizione e modernità; l’arte italiana è così documentata in tutte le sue numerose sfaccettature e nel rapporto dialettico con le avanguardie europee. L’acquisizione negli anni novanta di un’opera come Comizio di Giulio Turcato (1949-1950), pure esposta a Mamiano, sembra concludere idealmente questo percorso segnando, nel delicato equilibrio tra figurazione e astrazione, il passaggio ai linguaggi della contemporaneità.

La mostra è corredata da un ricco catalogo (Silvana Editoriale) che, oltre a riprodurre le opere esposte, comprende saggi di Giovanna Bonasegale (“Dalla Scuola Romana a Turcato”), Marco Carminati (“Roberto Longhi e la Scuola Romana”), Maria Catalano (“Ascendenze simboliste” e “Nuovo classicismo a Roma”), Federica Pirani (“Futurismo e Aeropittura”), Gloria Raimondi (“Secessione e Divisionismo a Roma”), Maria Catalano e Federica Pirani (“La Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale: una collezione a Roma”), Stefano Roffi (“Luigi Magnani dalla Capitale alla Villa dei Capolavori”).


ROMA 900 De Chirico, Guttuso, Capogrossi, Balla, Casorati, Sironi, Carrà, Mafai, Scipione e gli altri
Fondazione Magnani Rocca, via Fondazione Magnani Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma).

Dal 21 marzo al 5 luglio 2015.
Aperto anche tutti i festivi.
Orario: dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17) – sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18). Lunedì chiuso, aperto il lunedì di Pasqua.

Ingresso: € 9,00 valido anche per le raccolte permanenti - € 5,00 per le scuole.

Informazioni e prenotazioni gruppi:
tel. 0521 848327 / 848148 Fax 0521 848337
info@magnanirocca.it
www.magnanirocca.it

Il martedì ore 15.30 e la domenica ore 16, visita alla mostra con guida specializzata; non occorre prenotare, basta presentarsi alla biglietteria; costo € 12,00 (ingresso e guida).

Ristorante e Caffetteria nella corte del museo tel. 0521 848135.

Mostra e Catalogo (Silvana Editoriale) a cura di Maria Catalano, Federica Pirani, Stefano Roffi.


La mostra è realizzata grazie a: FONDAZIONE CARIPARMA, CARIPARMA CRÉDIT AGRICOLE.
Media partners: Gazzetta di Parma, Kreativehouse.
Sponsor tecnici: Angeli Cornici, Hotel Palace Maria Luigia, SINA Fine Italian Hotels, TEP, Società per la Mobilità e il Trasporto Pubblico.

venerdì 29 agosto 2014

MANZÙ / MARINO. Gli ultimi moderni



MANZÙ / MARINO. Gli ultimi moderni
Fondazione Magnani Rocca
13 settembre - 8 dicembre
a cura di Laura D’Angelo e Stefano Roffi

La scultura nella Villa dei Capolavori

Per la prima volta la scultura è protagonista nella Villa dei Capolavori sede della Fondazione Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo, presso Parma. La Fondazione, che già ospita nella collezione permanente capolavori marmorei dei più grandi scultori italiani dell’Ottocento, Antonio Canova e Lorenzo Bartolini, espone ora la grande scultura del Novecento, rappresentata da Giacomo Manzù e Marino Marini che negli anni cinquanta e sessanta, dopo i riconoscimenti nazionali, diventano anche i campioni dell’arte italiana all’estero. Offrendo un’interpretazione della scultura figurativa classica in una chiave stilistica del tutto personale, dagli esiti affascinanti e sorprendenti, dimostrano come essa fosse ben lontana dall’obsolescenza e dalla chiusura alla storia, bensì perfettamente in grado di esprimere il dramma e il senso dell’uomo dopo le dissoluzioni del conflitto planetario. Le loro opere entrano così a far parte dei maggiori musei di tutto il mondo e i due artisti conquistano l’attenzione del collezionismo e del pubblico.

A cura di Laura D’Angelo e Stefano Roffi, la mostra, aperta dal 13 settembre all’8 dicembre 2014, intende approfondire questa vicenda, sinora poco indagata dagli studi, proponendosi di individuare gli elementi che favorirono il grande successo di Manzù e di Marino. Una selezione di circa novanta fra sculture, anche gigantesche, dipinti e lavori grafici realizzati dai due artisti negli anni tra il 1945 e il 1970 documenta la loro fiduciosa apertura verso le molteplici lingue della modernità e la capacità dimostrata nell’incontrare il gusto di un colto e sofisticato mercato internazionale.

In una successione che tiene conto dei temi maggiormente praticati da entrambi nei decenni presi in esame, oltre al tema della danza che li accomuna, oltre ai celeberrimi Cardinali di Manzù – presentati accanto ai lavori preparatori per la Porta della Morte per la Basilica di San Pietro in Vaticano - e ai Cavalli con Cavaliere di Marino – in una parabola che si apre con un gruppo equestre del 1945 e si conclude col Grido del 1962 - una speciale attenzione viene dedicata ai ritratti; non soltanto per sottolineare l’interesse che essi nutrirono nei confronti di questo genere artistico, ma anche per fornire una chiave di lettura della loro personalità attraverso i nomi degli artisti, dei galleristi, dei collezionisti e delle personalità che ne sostennero e accompagnarono l’attività lungo gli anni cinquanta e sessanta, fra i quali papa Giovanni XXIII, il compositore Igor Stravinskij, gli artisti Marc Chagall, Oskar Kokoschka e Jean Arp, l’architetto Ludwig Mies van der Rohe, il regista John Huston, il cardiochirurgo Christiaan Barnard, oltre alle mogli amatissime, Inge Manzù e Marina Marini.

La vita e l’originale percorso artistico di Manzù e Marino sembrano a tratti rincorrersi e scorrere paralleli. Marino Marini (Pistoia 1901 – Viareggio 1980) si iscrive nel 1917 all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove frequenta i corsi di pittura e di scultura. Giacomo Manzù (Bergamo 1908 – Roma 1991), al contrario, non può vantare un’educazione accademica; figlio di un calzolaio, egli si forma all’interno delle botteghe bergamasche specializzate nell’intaglio e nella doratura.
Tra la fine degli anni venti e l’inizio dei trenta Marino e Manzù si trasferiscono a Milano, dove ha inizio una stagione di riflessione e di ricerca che condurrà entrambi, nel giro di pochi anni, a imporsi nel contesto artistico nazionale. Nel 1935 Marino si aggiudica il premio di scultura alla II Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma; all’edizione successiva dell’esposizione, nel 1939, il premio di scultura è assegnato a Manzù. La carriera dei due artisti prosegue con intensità lungo gli anni quaranta e alle mostre si succedono nuovi riconoscimenti. Nel 1948 Manzù allestisce una sala personale alla Biennale di Venezia e si aggiudica il Premio Internazionale per la scultura, ex aequo con Henry Moore; nel 1952 il medesimo premio è assegnato a Marino.
È all’indomani di questi riconoscimenti che per i due scultori si inaugura la fase di maggior impegno sul fronte internazionale: le loro opere figurano nelle più importanti esposizioni allestite in Gran Bretagna, Francia, Germania e Stati Uniti e, mentre dagli anni cinquanta l’attività di Marino si sposta principalmente all’estero, Manzù inizia a lavorare alla realizzazione della Porta della Morte per la Basilica di San Pietro, la cui inaugurazione, nel 1964, segna il punto di massima popolarità raggiunto dall’artista.
La mostra presso la Fondazione Magnani Rocca riunisce opere altamente significative di Marino e di Manzù e si propone di rileggere l’attività di questi due scultori proprio in relazione agli stimoli derivanti dal dibattito critico nazionale, alle novità avanzate dalle Biennali di Venezia e alla conoscenza dei contesti artistici internazionali.

La collaborazione da parte della Fondazione Marino Marini di Pistoia, del Museo Marino Marini di Firenze, della Fondazione Giacomo Manzù e del Museo Manzù di Ardea, di altri musei e di importanti collezioni private, ha consentito lo spostamento di opere viste raramente al di fuori dei singoli contesti museali o di dimore riservate, permettendo un confronto diretto - visivo e critico - tra Marino e Manzù che rappresenta la decisiva novità dell’esposizione.

Il ricco catalogo della mostra riunisce contributi di Barbara Cinelli, Marcella Cossu, Laura D’Angelo, Flavio Fergonzi, Inge Manzù, Teresa Meucci, Stefano Roffi, Maria Teresa Tosi e affronta problemi nuovi secondo nuove prospettive di studio. All’approfondimento su questioni di contesto si aggiungono riflessioni sul genere del ritratto, sul significato della serialità in scultura, sulle fonti visive della scultura di Marino e di Manzù, sui modi in cui sono state fotografate le loro sculture e sulla ideologia scultorea che ne è sottesa.

MANZÙ / MARINO. Gli ultimi moderni.
Fondazione Magnani Rocca, via Fondazione Magnani Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma).
Dal 13 settembre all’8 dicembre 2014. Aperto anche tutti i festivi. Orario: dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17) – sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18). Lunedì chiuso, aperto lunedì 8 dicembre.
Ingresso: € 9,00 valido anche per le raccolte permanenti - € 5,00 per le scuole.
Informazioni e prenotazioni gruppi: tel. 0521 848327 / 848148 Fax 0521 848337 info@magnanirocca.it www.magnanirocca.it Il martedì ore 15.30 e la domenica ore 16, visita alla mostra con guida specializzata; non occorre prenotare, basta presentarsi alla biglietteria; costo € 12,00 (ingresso e guida).
Ristorante nella corte del museo tel. 0521 848135.
Mostra e Catalogo (Silvana Editoriale) a cura di Laura D’Angelo e Stefano Roffi.

Ufficio Stampa: Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
Stefania Bertelli gestione1@studioesseci.net tel. 049 663499

La mostra è realizzata grazie a: FONDAZIONE CARIPARMA, CARIPARMA CRÉDIT AGRICOLE.
Sponsor tecnici: Angeli Cornici, Aon Artscope Fine Art Insurance Brokers, Butterfly Transport,
Gazzetta di Parma, Kreativehouse, Hotel Palace Maria Luigia, SINA Fine Italian Hotels,
TEP, Società per la Mobilità e il Trasporto Pubblico.

mercoledì 5 marzo 2014

CAMPIGLI Il Novecento antico

Una mostra da non perdere!



CAMPIGLI
Il Novecento antico

Fondazione Magnani Rocca
Mamiano di Traversetolo - Parma
22 marzo – 29 giugno 2014

Campigli nella Villa dei Capolavori

 
Massimo Campigli, Il gioco del filo, 1946


Donne, infinite donne, elegantissime, ingioiellate, eppure prigioniere; il mistero che si cela nell’arte di Massimo Campigli viene indagato in oltre ottanta opere, concesse da celebri musei e raccolte private, a documentare l’intero percorso dell’artista, dagli anni venti agli anni sessanta, quando le sue iconografie tipiche, figure femminili racchiuse in sagome arcaiche di grande suggestione simbolica, divengono esplicite meditazioni sull’archetipo femminile, sempre in equilibrio fra ingenuità e cultura, con una stilizzazione geometrica che rende personalissima la sua maniera. 

In concomitanza con la pubblicazione del Catalogo generale dell’artista (realizzato dagli Archives Campigli) la mostra “Campigli. Il Novecento antico”, a cura di Stefano Roffi, presso la Villa dei Capolavori, sede della Fondazione Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo (Parma), dal 22 marzo al 29 giugno 2014, richiama così l’attenzione su uno dei pittori più significativi del Novecento italiano, presente nei maggiori musei del mondo ma pressoché assente dalla grande scena espositiva dopo la memorabile mostra che la Germania gli dedicò nel 2003. 
 
Cinque le sezioni: la stupenda ritrattistica, con le effigi di personalità del mondo della cultura, ma anche amici, signore belle e famose; la città delle donne, che accosta opere che rivelano l’ossessione per un mondo che pare tutto al femminile; le figure in sé prive di identità ma caratterizzate da scene di gioco, spettacolo, lavoro; i dialoghi muti, coppie vicine spazialmente ma incapaci di comunicare, prigioniere del proprio mistero; gli idoli, presentati nell’evoluzione dalle figure idolatriche tratte da Carrà negli anni venti a quelle di ispirazione primitiva che compaiono a partire dagli anni cinquanta. Di particolare interesse l’accostamento, per la prima volta in un’esposizione, delle quattro enormi tele che Campigli teneva nel proprio atelier.
 
L’esposizione si avvale del sostegno di Fondazione Cariparma e di Cariparma Crédit Agricole.
Il catalogo Silvana editoriale presenta interventi di Luca Massimo Barbero, Nicola Campigli, Mauro Carrera, Nicoletta Pallini, Paolo Piccione, Stefano Roffi, Rita Rozzi, Sileno Salvagnini, Eva e Marcus Weiss.
 
Tedesco di nascita, italiano di formazione, parigino per cultura, egizio, etrusco, romano, mediterraneo per elezione, Campigli (Berlino, 1895 – Saint-Tropez, 1971) fu un personaggio colto ed europeo (parlava cinque lingue), inusuale nel nostro panorama artistico. Uomo solitario, nella sua pittura si intrecciano geometrie e magie, memorie e simboli (lesse Freud e Jung in lingua originale); fu anche scrittore raffinato e riservato.
 
Per conoscere l’artista e la sua ossessione dell’immagine femminile bisogna entrare nella sua vita familiare. Il mistero è infatti protagonista nella vita di Campigli: solo in tempi relativamente recenti  si è scoperto che era nato a Berlino e che il suo vero nome era Max Ihlenfeld. La madre, tedesca di appena diciotto anni, non era sposata; per evitare lo scandalo, il bambino viene portato in Italia, nella campagna fiorentina. La madre, che gli aveva dato il cognome, lo raggiunge saltuariamente; nel 1899 sposa un commerciante inglese e può prendere il bambino con sé, fingendo (per salvare le apparenze) di essere sua zia. A quattordici anni, Max scoprirà casualmente la verità.
Questa vicenda familiare può spiegare, almeno da un punto di vista psicologico, il mondo espressivo dell’artista: il suo universo di donne quasi inconoscibili, immobili e insieme sfuggenti e distanti, è in definitiva una lunga meditazione sull’enigma femminino, sull’icona della Dea-Madre.
Non uscirà più dalla dimensione infantile e permetterà alla sua immaginazione di prendere il sopravvento sulla realtà per rendergliela accettabile. Scrive infatti: “Non mi sono mai rifugiato nel sogno, nell’infantilismo, ci sono semplicemente rimasto, non ne sono mai uscito”. 
 
La sua formazione avviene tra Firenze e Milano, in quegli anni città artisticamente vivace, in pieno Futurismo. Sono di questo periodo opere dal marcato senso ritmico, una composizione a tessere di mosaico che riaffiorerà sempre nell’opera dell’artista. Nel 1914 egli inizia a lavorare presso il Corriere della Sera e, dopo la sofferta parentesi della guerra, italianizzato il cognome in “Campigli”, ne diviene corrispondente da Parigi; nel 1919 la città è il cuore del Ritorno all’ordine, di quel rinnovato dialogo con la classicità che percorre l’Europa, e che molto influenza l’artista. 
Il 1928 è un anno cruciale per Campigli. A Roma visita il museo di Villa Giulia, restando affascinato dall'arte etrusca, e le Terme di Diocleziano, dove viene colpito dalla ritrattistica romana del basso impero. Dopo questo vero colpo di fulmine per l’antico, approccia le prime figure femminili dai grandi occhi senza sguardo inserite in raffinate trame architettoniche. La sua pittura mostra ora un mondo perfetto che affascina con i suoi colori fantasmatici, gli elementi geometrici di donne dal corpo a clessidra, statue dal busto stretto (come era lo stereotipo-donna della sua infanzia), fermate in un’espressione incantata, con grande attenzione per l’abbigliamento, la moda. Donne prive di realismo, a parte la bellissima ritrattistica femminile ma anche maschile, in una dimensione mitica e idealizzante, un “non luogo” dell'astrazione antropomorfica e sentimentale: si guardano i quadri e si entra nell’ “altrove”, nelle visioni interiori dell’artista, in stretto confine onirico. Alle reminiscenze etrusche si mescolano quelle egizie del Fayum, poi copte, romane; è tutta la millenaria arte mediterranea che lo ispira. Campigli, insomma, in sintonia col concetto di tempo assoluto espresso dal Ritorno all’ordine (“Tutte le età sono contemporanee” scrive Pound in questi anni) attinge a un passato complesso e stratificato. Sono peraltro gli anni in cui l’appello alle radici della civiltà antica, al “mito della romanità”, assume in Italia (dove l’artista torna a stabilirsi nel 1931, in pieno fascismo) anche un significato di celebrazione nazionalista. Quello che in realtà Campigli persegue è soprattutto sospendere il presente e raggiungere, attraverso l’emergere dell’antico, una dimensione di eternità dipinta.
Negli anni trenta conquista fama internazionale ed espone a Milano, Parigi, Amsterdam, New York, poi alle Biennali veneziane. Oltre a importanti committenze pubbliche e private, ad acquisizioni museali, vanno ricordati i quattro magnifici affreschi che realizzò fra il 1933 ed il 1940 per il Palazzo della Triennale di Milano, il Palazzo delle Nazioni di Ginevra, il Palazzo di Giustizia di Milano e quello monumentale all'Università di Padova, oltre ai grandiosi cicli per i transatlantici. 
 
Dai primi anni cinquanta si avverte una crescente stilizzazione, alla ricerca dell’archetipo, del primitivo: ai suoi interrogativi la cultura occidentale contemporanea, per lui improntata a una ricerca minimalista prossima al nulla, non offriva risposta; è così che annulla la prospettiva nello spazio come nel tempo e ne racchiude l'essenza in uno schema in cui i corpi dei suoi nuovi “idoli” galleggiano irrigiditi in una infinita varietà di atteggiamenti, tornando a esprimere l’enigma della sua infanzia, di quelle donne dall’identità sfuggente, una volta per sempre.
“Nelle mie fantasticherie, le mie innamorate erano sempre prigioniere” (M. Campigli, da “Scrupoli”, 1955).
 

CAMPIGLI. Il Novecento antico. Fondazione Magnani Rocca, via Fondazione Magnani Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma). Dal 22 marzo al 29 giugno 2014. Aperto anche tutti i festivi. Orario: dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17) – sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18). Lunedì chiuso, aperto il lunedì di Pasqua.
 
Ingresso: € 9,00 valido anche per le raccolte permanenti - € 5,00 per le scuole.
Informazioni e prenotazioni gruppi: tel. 0521 848327 / 848148 Fax 0521 848337 info@magnanirocca.it www.magnanirocca.it    Il martedì ore 15.30 e la domenica ore 16, visita alla mostra con guida specializzata; non occorre prenotare, basta presentarsi alla biglietteria; costo € 12,00 (ingresso e guida).
Ristorante nella corte del museo tel. 0521 848135.
Mostra e Catalogo (Silvana Editoriale) a cura di Stefano Roffi.

Ufficio Stampa: Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
Stefania Bertelli gestione1@studioesseci.net   tel. 049 663499

La mostra è realizzata grazie a: FONDAZIONE CARIPARMA, CARIPARMA CRÉDIT AGRICOLE.
Sponsor tecnici: Angeli Cornici, Aon Artscope Fine Art Insurance Brokers, Gazzetta di Parma, Kreativehouse,
Hotel Palace Maria Luigia, SINA Fine Italian Hotels, TEP, Società per la Mobilità e il Trasporto Pubblico.

 


lunedì 11 marzo 2013

DELVAUX e il surrealismo -Un enigma tra De Chirico, Magritte, Ernst, Man Ray


 DELVAUX e il surrealismo -
Un enigma tra De Chirico, Magritte, Ernst, Man Ray
a cura di Stefano Roffi
Fondazione Magnani Rocca, 
via Fondazione Magnani Rocca 4, 
Mamiano di Traversetolo (Parma)
 23 marzo - 30 giugno 2013

Tele dominate da baluginanti nudità, da scheletri implicati in scene religiose. Le mostre di Paul Delvaux hanno destato scandalo, come la retrospettiva di Ostenda del 1962, che consacrerà definitivamente l'artista sul piano internazionale, vietata ai minori di diciotto anni. Oppure la Biennale di Venezia del 1954, nella quale il patriarca, futuro papa Giovanni XXIII, proibì ai preti l'eccesso di una pittura che avrebbe potuto turbarli.
Affabulatore dell'inconscio, intrigante stratega di atmosfere da sogno, Delvaux trova fonte d'ispirazione in quelli che lui considera i suoi due mentori, Giorgio De Chirico, il metafisico "faro" per i surrealisti, e René Magritte, insieme a Delvaux il più grande pittore belga del XX secolo: "Cercavo negli altri l'alimento che mi permettesse di scoprire me stesso. Perciò ho fatto pittura espressionista. Ho fatto pittura come quella di Ensor. C'era qualcos'altro che volevo trovare: fu allora che scoprii Giorgio de Chirico, e fu lui, d'un tratto, a mettermi sulla strada giusta". Si presenta con queste parole Delvaux, protagonista della stagione del Surrealismo, il movimento d'avanguardia nato nel 1924 col Manifesto di André Breton, che eleva il sonno a stato di coscienza e realtà, con Sigmund Freud inconsapevole profeta: "Automatismo psichico puro con il quale ci si propone di esprimere il funzionamento reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale."
Questa dimensione artistica viene indagata dalla nuova mostra della Fondazione Magnani Rocca dal titolo "DELVAUX E IL SURREALISMO" dal 23 marzo al 30 giugno 2013, a cura di Stefano Roffi insieme al Musée d'Ixelles-Bruxelles, dove l'enigma, perfettamente surreale, dell'adesione o meno dell'artista al dettato del movimento surrealista (egli la negava, contraddicendo una apparente evidenza, definendosi un "realista poetico") costituisce il tema della mostra stessa che, con circa 80 opere scandite tematicamente (Il paesaggio, L'enigma della ferrovia, L'eterno femminino, Le coppie, La classicità, Gli scheletri) offre anche il confronto con i lavori di accertati surrealisti quali lo stesso Magritte, Max Ernst, Man Ray, oltre al grande De Chirico; con loro Delvaux partecipa a "L'Exposition Internationale du Surréalisme" nel 1938 a Parigi, in un incontro artistico fra i più sorprendenti del Novecento, dopo essere rimasto molto colpito dalle opere che aveva visto alla mostra "Minotaure", tenutasi al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles nel 1934.
Nella "Villa dei Capolavori", sede a Mamiano di Traversetolo (Parma) della Fondazione Magnani Rocca, presieduta da Giancarlo Forestieri, accanto alle celebri opere di Dürer, Rubens, Van Dyck, Goya, Canova, Monet, Renoir, Morandi e molti altri, i lavori di Delvaux trovano dialoghi di raffinata suggestione.
La mostra, che si avvale del sostegno di Fondazione Cariparma e Cariparma Crédit Agricole, è corredata da un ricco catalogo, contenente saggi di Arturo Carlo Quintavalle, Stefano Roffi, Laura Neve, Mauro Carrera, Elisa Barili, Pierre Ghêne.
A partire dal 1934, dopo un periodo improntato a interessanti riprese impressioniste ed espressioniste in paesaggi e figure umane, l'artista conferisce alla sua arte una fisionomia definitiva, costruendo una dimensione onirica perfettamente plasmata, esito della fusione dello spazio metafisico di De Chirico coi brani di spaesamento propri di Magritte. La risultante emblematica che si impone nelle sue tele è un'immagine femminile dal corpo infuso di mistero, diafano e spettrale nella sua nudità quasi fosforescente, talora coinvolto in sorprendenti metamorfosi e collocato in luoghi irreali, sospesi in una dimensione di scardinamento della logica temporale, dove architetture dell'antichità classica convivono con reperti della modernità, come treni e stazioni. Donne che diventano creature arcane, vestali di uno sconfinamento tra il sogno e la mitologia, icone immote dai grandi occhi sgranati sul vuoto, che ricordano i nudi dal cupo sguardo introflesso di Modigliani; una sorta di sensualità "congelata" le rende simili ad automi-femmina creati e programmati da un misterioso demiurgo per destini non rivelati. Tra gli altri temi cari all'artista quello dello scheletro è presente nelle sue opere dall'inizio degli anni trenta, acquisendo lo "status" di personaggio e divenendo il protagonista - assolutamente partecipe del mondo dei vivi - di scene religiose quali crocifissioni o sepolture, di danze e duelli.
"Il vuoto è lo specchio che mi guarda", afferma il cavaliere Antonius Block, sfidando a scacchi il signor Morte in una partita dagli evidenti contenuti simbolici; è una celebre scena de Il settimo sigillo, il film di Ingmar Bergman dall'atmosfera affine alle opere di Delvaux, dove l'annullamento identitario rappresenta la cifra di una pittura all'insegna della sospensione, dell'enigma poetico.

Paul Delvaux (Antheit les Huy, 1897 - Furnes, 1994), dopo studi di architettura e pittura a Bruxelles, dagli anni del raggiungimento della sua maturità d'artista pratica una specie di paradossale surrealismo classico. Non ci sono, nelle sue opere, quelle deformazioni "mostruose" prodotte dagli incubi propri di tanta pittura surrealista, non vi è traccia di quel proliferare di anatomie stravolte, derivate alla lontana dall'eredità di un Medio Evo fantastico, che popolano i quadri di Bosch, l'antenato fiammingo. Il surrealismo, per Delvaux, si manifesta piuttosto col tono di una fiaba, con un senso di placida normalità che riguarda corpi, spazi, prospettiva. Si avverte però qualche incongruità, qualche falla nel tessuto logico del visibile; un vento lieve di follia si alza ad agitare questo mondo e tutto diventa strano e straniante, irraggiungibilmente estraneo. Quella che a prima vista poteva sembrare una realtà riconoscibile si trasforma in un pacato enigma, senza punizioni terribili per chi non lo risolverà; resta l'impossibilità di comprendere il senso autentico delle messe in scena dell'artista, ma anche di capirne il nonsenso, distinguere il punto in cui la narrazione si fa prima ambigua e poi incontrollabile. Forse, il senso - o il nonsenso - del mondo di Delvaux si rivela proprio nell'incrinatura stridente che si apre tra una lettura "realistica" delle sue figure e una lettura invece abbandonata alla meravigliosa discrezione delle sue invenzioni. Come se lo spettatore si trovasse al cospetto di una serie di oscure allegorie sprovvisto del codice per decifrarle, come se una scena di normalità si trasformasse nell'allegoria di un significato perduto. Il quadro si pone così come intercapedine fra noi e un mondo sconosciuto; la sua funzione non sembra essere quella di stabilire una comunicazione con quel mondo, piuttosto quella di manifestare un'impossibilità di comunicazione. La visione di ogni quadro di Delvaux lascia il senso di una mancanza, quasi una piccola nostalgia, senza ansia, una specie di distratta serenità; come se questa visione giungesse a confermare una conoscenza rimossa. Le donne imperversano nei dipinti di Delvaux, quasi sempre portatrici caste (?) di nudità; narrano mute le storie di un mondo al femminile, l'inazione tornisce le loro forme di lucente levigatezza, che mostrano con noncurante consapevolezza. Un codice di posture manierate rende astratta la loro presenza, sospesa in un rigoroso linguaggio di sottrazione, in una condotta di verità simbolica, criptogrammi di una vita vagamente metafisica, certamente proiezioni dell'impegnativa figura materna. Il luogo è l'altrove, il tempo è il futuro anteriore. Il riferimento certo è De Chirico; tutto il Surrealismo, del resto, gli deve tanto: con i suoi quadri dei primi anni Dieci, egli non inventa soltanto un modo di dipingere, inventa un modo di immaginare che prima non esisteva. I più famosi pittori surrealisti, da Tanguy a Magritte a Ernst allo stesso Delvaux, hanno ammesso che i quadri di De Chirico sono stati per loro una vera rivelazione. Delvaux deve a De Chirico la "classicità" del suo personale surrealismo; la presenza costante di edifici classici e rinascimentali, di archi e colonne testimonia questo debito. Ancor più importante è la derivazione da De Chirico della sua poetica dell'incongruo, dello straniamento, secondo la quale nel dipinto tutto appare normalizzato, ma l'esame attento delle relazioni tra i personaggi e le cose smaschera una realtà diversa, la traccia di un enigma che resterà tale, per dare corpo a un teorema di insensatezza, a un sogno sostitutivo. Un paradosso, ma forse per Delvaux l'unica via di fuga da verità inconfessabili, alle quali preferì il mistero.

DELVAUX E IL SURREALISMO
Un enigma tra De Chirico, Magritte, Ernst, Man Ray
Mostra a cura di Stefano Roffi insieme al Musée d'Ixelles-Bruxelles, col patrocinio dell'Ambasciata Belga in Italia.
Catalogo a cura di Stefano Roffi con saggi di Arturo Carlo Quintavalle, Stefano Roffi, Laura Neve, Mauro Carrera, Elisa Barili, Pierre Ghêne (Silvana Editoriale).
Fondazione Magnani Rocca, via Fondazione Magnani Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma).
Dal 23 marzo al 30 giugno 2013. Aperto anche tutti i festivi.
Orario: dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17) -
sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18). Lunedì chiuso, aperto il lunedì di Pasqua.
Ingresso: euro 9,00 valido anche per le raccolte permanenti - euro 5,00 per le scuole.
Informazioni e prenotazioni gruppi: tel. 0521 848327 / 848148 Fax 0521 848337 info@magnanirocca.it www.magnanirocca.it
Il martedì ore 15.30 viene organizzata una visita alla mostra con guida specializzata; non occorre prenotare, basta presentarsi alla biglietteria; costo euro 12,00 (ingresso e guida).
Ristorante nella corte del museo tel. 0521 848135
Ufficio Stampa: Studio ESSECI - Sergio Campagnolo tel. 049 663499 - www.studioesseci.net info@studioesseci.net

La mostra è realizzata grazie a: FONDAZIONE CARIPARMA, CARIPARMA CRÉDIT AGRICOLE.
Sponsor tecnici: Angeli Cornici, Aon Artscope Fine Art Insurance Brokers, Gazzetta di Parma, Kreativehouse,
Hotel Palace Maria Luigia, SINA Fine Italian Hotels, TEP, Società per la Mobilità e il Trasporto Pubblico.

mercoledì 29 agosto 2012

SUTHERLAND. Il pittore che smascherò la natura - Fondazione Magnani Rocca, Mamiano di Traversetolo (PR)



Da molti anni mancava in Italia una grande mostra dedicata a Graham Sutherland.
Considerato, al pari dell'amico-rivale Francis Bacon, uno dei capiscuola della pittura britannica contemporanea, molto amato dai più importanti critici della seconda metà del Novecento - quali Francesco Arcangeli, Roberto Tassi, Giovanni Testori - Sutherland viene riportato all'attenzione del pubblico e della critica per iniziativa della Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo (Parma) dall'8 settembre al 9 dicembre 2012, attraverso un'attenta selezione di opere, provenienti da collezioni riservate e in parte mai esposte, che documentano il suo percorso d'artista.
Nei saloni della "Villa dei Capolavori", sede della Fondazione presieduta da Giancarlo Forestieri, accanto alle celebri opere di Dürer, Tiziano, Rubens, Van Dyck, Goya, Monet, Renoir e molti altri, dove spesso il Fondatore Luigi Magnani conversava d'arte con l'amico Roberto Tassi, i lavori di Sutherland trovano così un profilo identitario nella tradizione figurativa europea.
La mostra, a cura di Stefano Roffi, è corredata da un ricco catalogo, impreziosito da un ampio saggio di Martin Hammer, docente presso la University of Kent e consulente scientifico della Tate Britain di Londra, attualmente il più accreditato studioso internazionale dell'artista.
La mostra si avvale anche della collaborazione di Montrasio Arte.
Fondazione Cariparma e Cariparma Crédit Agricole sono i mecenati dell'iniziativa.

Graham Sutherland (Londra 1903 - HYPERLINK "http://it.wikipedia.org/wiki/1980" \o "1980" 1980) inizia come HYPERLINK "http://it.wikipedia.org/wiki/Incisore" \o "Incisore" incisore e insegnante alla Scuola d'Arte di Chelsea. Avvia il proprio lavoro d'artista con grande interesse per il paesaggio, in particolare del Galles, conducendo una lettura critica della tradizione pittorica, senza allontanarsene ma affrontandola dall'interno. Se gli esordi risentono degli influssi del neo-romanticismo inglese, dagli anni "30 la sua pittura si carica di una drammaticità che la rende inquietante e visionaria tanto da farla accostare alla corrente surrealista con cui condividerà la Mostra Internazionale del 1936 a Londra, mostrando influssi di Picasso e di Klee. Sutherland sembra collegarsi soprattutto alle fonti primarie del Romanticismo, alla poetica del "sublime" di Blake, ma nella sua declinazione più amara, un "sublime" negativo espresso attraverso dissonanze cromatiche, segni netti dove tutto appare "dramma e lacerazione", anche in conseguenza dell'esperienza della guerra. Dal 1940 al 1945 viene infatti incaricato ufficialmente di testimoniare in pittura gli orrori del conflitto come "artista di guerra" insieme a Moore e Nash. Nascono così le Devastations, visioni fosche e allucinate delle città inglesi distrutte dai bombardamenti, nelle quali affiorano nuove forme create dal sovvertimento bellico, vero oggetto dell'indagine dell'artista; molte di queste opere sono presenti in mostra. Come riflessione tragica al termine di questo periodo si dedicherà a soggetti religiosi, in particolare alla passione e alla crocifissione di Cristo, icone del destino umano, giungendo a realizzare la nota Crocifissione per la chiesa di St. Matthew di Northampton e, più avanti, l'arazzo del Cristo in gloria nella HYPERLINK "http://it.wikipedia.org/wiki/Cattedrale_di_Coventry" \o "Cattedrale di Coventry" cattedrale di Coventry. Fama e riconoscimenti gli vengono tributati già a partire dall'immediato dopoguerra con mostre ed eventi a livello internazionale.
L'impegno come artista di guerra l'aveva distolto momentaneamente dal primario interesse per la natura, in virtù del quale si autodefinisce erede spirituale di John Constable; prosegue la sua ricerca nel sud della Francia. Proposito di Sutherland è rivelare la verità che si cela nelle cose, la pittura è il suo strumento di delazione. È così che egli si dedica a raffigurare brani di natura in parafrasi, destrutturata, riassemblata, reinterpretata, privata della sua riconoscibilità comune e presentata come un infinito e bizzoso mutante, pervicacemente intenzionato a nascondere la propria identità autentica. Lavora su un'idea di paesaggio dove le forme vegetali e minerali vengono trasformate in icone totemiche - le Standing Forms degli anni Cinquanta - che emergono minacciose dal fondo in un'atmosfera densa di suggestioni HYPERLINK "http://it.wikipedia.org/wiki/Psicoanalisi" \o "Psicoanalisi" psicoanalitiche. Dipinge senza gli infingimenti propri del naturalismo tradizionale, rassicurante anche nel rappresentare una tempesta, lasciando intendere di possedere il potere terribile di aprirci gli occhi, di farci conoscere le forme vere e le intenzioni spietate della natura, i suoi disegni oscuri e devastanti, il suo potere assoluto e ineffabile.
Il pittore avverte che le forme naturali che appaiono ai nostri occhi avidi di bellezza non sono che abbagli emotivi, ricostruzioni mentali imposte dal nostro bisogno di sicurezza; la realtà è destabilizzante, non prodiga di leggiadria, ma dura e meccanica, una romantica "terribilità" anti-sublime nella sua naturalistica spietatezza, minaccia reale e non soltanto turbamento letterario. Sutherland coglie questa capacità metamorfica e dipingendola affronta un'indagine sulla vita organica in cui è racchiuso il mistero dell'esistenza; analizzando le forme, ne riconosce il senso ambiguo, disturbante, crudele, ma ponendole in contrasto con l'intensità e a volte con la dolcezza cromatica, ne sa estrarre tutta la poesia e il dramma, con una stratificazione e una complessità formale che gli consentono di dar vita a un immaginario surreale a volte cupo a volte fantastico. Curiose creature nate da strane metamorfosi, dopo alcuni esempi già alla fine degli anni Quaranta, compongono il primo Bestiario realizzato nel 1968 a cui segue quello del 1979 dedicato all'opera di Apollinaire; risulta evidente la suggestione che l'artista subisce dalle figurazioni animali della scultura romanica, coi suoi esemplari prepotenti, terrestri e misteriosi, provenienti da una realtà fantastica ma non divina, simboli unitari di esperienza e invenzione.
Sutherland realizza così una personale cosmogonia delle metamorfosi delle forme, esempi della fantasia e della ricchezza della forza naturale, oscuramente aggrovigliata sul proprio mistero. Tra i regni vegetale, animale e minerale vengono meno le divisioni, tutto si connota del medesimo senso di arcaica e arcana indifferenziazione.
Quando, nel 1967-68, ritorna nel Galles col regista e suo grande collezionista Pier Paolo Ruggerini - che lì gira un lungometraggio sull'artista, proiettato all'inizio dell'esposizione - Sutherland riscopre quel paesaggio che tanta importanza ha avuto nella sua formazione, e si rende conto di quanto esso abbia ancora da offrirgli in termini di motivi e di vocabolario di forme e di colori.
Una frase di Ruskin si presta per sostanziare il suo lavoro: «Indagare la natura, studiarne le leggi di crescita, trarne visioni provenienti dal centro dell'ardente cuore», quindi evidenziare come l'esteriorità della natura venga ricreata per esprimere l'interiorità dell'uomo, con un approccio visivo che si fa visionario nel seguire il pullulare della fantasia e dell'anima.
L'artista è famoso anche per i suoi ritratti, dove evidenzia una pietas degna di Holbein: i volti sono indagati come se si trattasse di brani di natura, a testimoniare una continua ricerca della verità, soprattutto di una verità interiore: un movimento della testa o del corpo, un corrugamento della fronte o un'espressione del volto sono sufficienti a rivelare le pene, i turbamenti di un'intera esistenza, trattati come fermenti sottocutanei. Sono ritratti di amici, dei quali individua la sostanza psichica, il profilo intimo, ma ancor più di celebrità e potenti, come HYPERLINK "http://it.wikipedia.org/wiki/William_Somerset_Maugham" \o "William Somerset Maugham" lo scrittore Somerset Maugham, lo statista HYPERLINK "http://it.wikipedia.org/wiki/Winston_Churchill" \o "Winston Churchill" Winston Churchill e molti aristocratici, non per adulazione ma per cogliere nelle fattezze umane i segni organici dell'esercizio di una strenua volontà di successo e potenza, spesso con pennello inesorabile, al punto che la moglie di Churchill, turbata, distruggerà il ritratto.

SUTHERLAND. Il pittore che smascherò la natura
Mostra e Catalogo a cura di Stefano Roffi, col patrocinio dell'Ambasciata Britannica in Italia.
In collaborazione con Montrasio Arte.
Catalogo Silvana Editoriale, con saggio generale di Martin Hammer e antologia di scritti di Roberto Tassi, testi di Daniele Astrologo Abadal e Ruggero Montrasio, Roger Berthoud, Isotta Langiu, Stefano Roffi, Graham Sutherland.
Fondazione Magnani Rocca, via Fondazione Magnani Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma).
Dall'8 settembre al 9 dicembre 2012. Aperto anche tutti i festivi.
Orario: dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17) -
sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18). Lunedì chiuso.
Ingresso: euro 9,00 valido anche per le raccolte permanenti - euro 5,00 per le scuole.
Informazioni e prenotazioni gruppi: tel. 0521 848327 / 848148 Fax 0521 848337 info@magnanirocca.it www.magnanirocca.it Ristorante nella corte del museo tel. 0521 848135
Il martedì ore 15.30 viene organizzata una visita alla mostra con guida specializzata; non occorre prenotare, basta presentarsi alla biglietteria. Costo ? 12,00 (ingresso e guida).
Ufficio Stampa: Studio ESSECI - Sergio Campagnolo tel. 049 663499 - www.studioesseci.net info@studioesseci.net

La mostra è realizzata grazie a: FONDAZIONE CARIPARMA, CARIPARMA CRÉDIT AGRICOLE.
Sponsor tecnici: Angeli Cornici, Aon Artscope Fine Art Insurance Brokers, Gazzetta di Parma, Kreativehouse,
Hotel Palace Maria Luigia, SINA Fine Italian Hotels, TEP, Società per la Mobilità e il Trasporto Pubblico.