RITENGO CHE SIA DOVERE DI CHIUNQUE E A MAGGIOR RAGIONE DI NOI ITALIANI, FARE DI TUTTO PER PROMUOVERE, SALVAGUARDARE E DIVULGARE L'ARTE IN TUTTE LE SUE ESPRESSIONI.
UNA SOCIETA' DISTRATTA SUI FATTI DELL'ARTE E' UNA SOCIETA' VOTATA ALL'IMPOVERIMENTO... E NOI, DA QUESTO PUNTO DI VISTA, LO SIAMO GIA' ABBASTANZA!






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venerdì 19 febbraio 2010

La pietà di Paolo Cassarà torna a Milano



Tornerà a Milano l'opera tanto discussa di Paolo Cassarà intitolata LA PIETA'.
L'opera in questione sarà esposta presso la galleria San Lorenzo (via Sirtori 31) dal 23 febbraio al 14 Marzo nel contesto della personale dell'artista "Les jeux sont Femmes" a cura di Chiara Canali.
A proposito di questa opera, nel catalogo di mostra edito per i tipi della Zeta Scorpii Editori, la stessa Canali scrive:

"L’episodio mediatico che più ha portato alla ribalta il lavoro di Paolo Cassarà in questi ultimi anni è risultato essere la partecipazione alla controversia e chiacchierata mostra Arte e omosessualità, ideata e promossa dall’allora Assessore alla Cultura di Milano, Vittorio Sgarbi.
L’artista compariva con la Pietà, una scultura in terracotta policroma di media grandezza che rappresenta una donna seduta, in abbigliamento maschile, nell’atto di stringere in grembo una bambola gonfiabile. L’opera è stata subito incriminata dalla stampa come “Pietà lesbica” (Maurizio Giannattasio, Corriere della Sera, 12 luglio 2007) e viene censurata dal Sindaco Letizia Moratti, assieme ad altre due opere (Miss Kitty di Paolo Schmidlin e la foto modificata di Silvio Sircana) preordinando la chiusura della mostra a Milano dal giorno successivo all’inaugurazione, se non fosse stata spurgata dalle opere ritenute indecorose.
Nella bagarre interviene perfino l’On. Silvio Berlusconi, chiamato in causa da Sgarbi per mediare nei confronti della censura di “Suor Letizia”, che propone una scappatoia: eliminare dall’esposizione solo un’altra ed ultima opera, seppur significativa: la scultura di Cassarà (proprio lei!), per la sua interpretazione “lesbo” (Maurizio Gianattasio, Corriere della Sera, 14 luglio 2007). La mediazione, tuttavia, fallisce e Sgarbi, indignato, decide trasferire in toto la mostra in un’altra città italiana (Palazzina Reale presso la Stazione FS di Santa Maria Novella a Firenze. N.d.R.).
Pubblicata e citata giorno dopo giorno, per quasi un mese, nelle pagine di cronaca dei quotidiani nazionali (dal Corriere della Sera a Repubblica, dal Giornale al Giorno, da Libero a Metro), la Pietà di Cassarà è risultata essere oggetto di discussioni e reinterpretazioni perché ritenuta blasfema e scandalosa. D’altronde, la provocazione è stata ricercata e voluta dall’artista stesso per trasmettere un messaggio di protesta nei confronti della Chiesa e della classe politica (Armando Stella, Corriere della Sera, 15 luglio 2007). Sul magazine Made, così Paolo Cassarà confessa le sue vere intenzioni: “Nel preparare l’opera ho volutamente puntato sulla provocazione attraverso la sua simbologia e con la citazione indiretta di una nota iconografia religiosa. Il mio intento originale era quello di provocare in modo costruttivo per sensibilizzare il pubblico sul tema dell’omosessualità e non certo per fare una forma di promozione personale” . La scultura nasce dalla volontà di giocare con la simbologia classica della Pietà, ma non si vuole sovrapporre alla celebre opera omonima di Michelangelo. “Il lavoro – continua l’artista – si può interpretare secondo livelli diversi e non solo lesbo o religioso. Nelle mie intenzioni c’è una denuncia sui disagi della società attuale: un’allegoria sulla mercificazione della donna, considerata alla stregua di una bambola gonfiabile, sulla decadenza dei rapporti e del sesso, sulla solitudine che pervade le persone” .
Certamente nell’opera è presente una buona dose di ambiguità nello scambio dei ruoli delle due figure androgine, ma l’introspezione nell’universo della femminilità è sempre stato uno dei cardini della ricerca dell’artista, che qui affronta con ironia e una vena quasi “comica” (Vittorio Sgarbi) il ruolo della donna sottratta alla sua funzione di generare una prole, una donna alienata nella stessa percezione del proprio corpo che diventa simbolo e oggetto di consumo in senso nuovo."

A questo punto vedremo se la morsa della censura proseguirà il suo cammino... staremo a vedere...



Vade Retro Gay!, intervista di Federico Poletti, Made 05, N. 26, Dicembre / Gennaio 2008.
Ibidem.
Vittorio Sgarbi, Vade retro in “Arte e Omosessualità. Da von Gloeden a Pierre et Gilles”, Electa, Milano 2007.


vedi anche:
DOMENICA 7 FEBBRAIO 2010
Comunicato stampa "Les jeux sont Femmes" personale di Paolo Cassarà a cura di Chiara Canali
http://lastanzaprivatadellarte.blogspot.com/2010/02/comunicato-stampa-les-jeux-sont-femmes_07.html

"COME GUARDARE L'ARTE CONTEMPORANEA (...e vivere felici)" Giorgio Guglielmino


A volte sui libri si spendono fiumi di parole ed altrettante volte le aspettative vengono meno. A proposito di questo volume non dico nulla. A voi giudicare. Io lo trovo fondamentale, sia per come scritto che per la facilità di comprensione. Guglielmino ha la capacità di spiegare concetti non per tutti a tutti! Buona lettura

Umberto Allemandi Editore
276 pag. 25€

Per ingannare l’attesa (dell’ampliamento), il Centro Pecci si fa una sede a Milano... (da EXIBART)


Sorprende tutti, il Centro Pecci di Prato. Non tanto perché sceglie la vetrina della BIT - la Borsa Internazionale del Turismo, in corso alla Fiera di Milano - per presentare l'avvio dei lavori per l'ampliamento della sede toscana, con l'ormai famoso - non unanimemente apprezzato per la verità - progetto concepito dallo studio olandese NIO architecten. Il celebre "piercing", come da efficace neologismo made in Exibart.
Ma sorprende perché con nonchalance annuncia l'apertura di un nuovo spazio a Milano, “inteso come vetrina e cassa di risonanza per l'offerta artistica e culturale contemporanea in Toscana nel capoluogo lombardo, al centro del rinnovamento nazionale e dell'attenzione internazionale in vista dell'Expo 2015”.
La sede del Museo Pecci Milano sarà ricavata in un ampio edificio di archeologia industriale nella zona dei Navigli, in Ripa di Porta Ticinese. E sorprende ancor di più la tempistica: non un vago progetto, con date da vagliare, dinamiche da strutturare, ma una realtà concreta, con inaugurazione già fissata in aprile, in occasione del Salone internazionale del mobile.
Evento di apertura una spettacolare installazione dello stesso studio NIO architecten, Dark Matter, “fondata sul concetto cosmologico di ‘materia oscura' e incentrata sul connubio fra creazione artistica, produzione industriale e innovazione tecnologica”. Previsti già per il futuro appuntamenti dedicati a Gianni Pettena, protagonista dell'Architettura Radicale fiorentina, in occasione dell'acquisizione di un nucleo di sue opere storiche in collezione; e a Paolo Canevari, artista affermato a livello internazionale che ha esposto a Prato nel 1992 una grande installazione rimasta in collezione ed al quale il Centro Pecci dedicherà un'ampia ricognizione personale a Prato dal 20 marzo al 1 agosto 2010.

Armodio



Armodio (Vilmore Schenardi) nasce a Piacenza il 4 ottobre 1938. Nell’ambiente familiare il giovane Armodio trova il primo incentivo alla pratica del disegno e all’uso dei colori. Tra il 1951 e il 1952 frequenta l’Istituto Gazzola di Piacenza, ma il vero incontro con la pittura avviene grazie alla frequentazione dello studio di Luciano Spazzali, pittore sensibile alla sperimentazione estetica e alla critica del tradizionalismo pittorico. Nello studio di Spazzali, punto di ritrovo per molti artisti, si sviluppa un confronto di poetiche individuali che prelude alla stagione culturale della Scuola di Piacenza. Grazie a Spazzali, Armodio conosce Gustavo Foppiani, che presto diventa suo maestro e compagno di strada. Tra Foppiani e Armodio ha inizio una fervida collaborazione. I due lavorano insieme, per un breve periodo, in via Farnesiana e infine in via Campagna 43, dove si trasferiscono nel 1954. Nei primi anni Sessanta si unisce a loro il pittore Carlo Bertè, che dividerà lo studio fino al 1980. Attorno allo studio di via Campagna si forma un libero gruppo di artisti e intellettuali animati da una comune propensione per le contaminazioni culturali, sensibili alle trasgressioni giocose e intenzionati a leggere il reale sotto il segno dell’ironia. Di tale tendenza, meglio conosciuta come Scuola di Piacenza, Armodio rappresenta l’ala estrema, rivolta al concettuale, sensibile al nonsense, animata da un’ironia beffarda che permea composizioni minuziose. Il sodalizio tra Armodio e Foppiani durerà trent’anni, fino alla morte di Foppiani avvenuta nel 1986. Nel 1963 Armodio tiene la sua prima personale piacentina nella sede della galleria Città di Piacenza. Nel 1964, per merito di Foppiani, approda alla galleria l’Obelisco di Roma, di cui sono titolari Gaspero Del Corso e Irene Brin, meglio conosciuta come Donna Carla. Successiva è la partecipazione a una serie di collettive, come quella del 1965 presso l’Istituto Italiano di Cultura a Tripoli. I primi guadagni arrivano quando, attraverso il pittore Gaetano Pompa, conosce l’americana Lily Shepley, che gli aprirà le porte del mercato statunitense. Nel 1969 Armodio si reca con l’amico Carlo Bertè a Londra dove soggiorna per diversi mesi, venendo a contatto da un lato con la pittura nordica dalla luce fredda e tagliente, dall’altro con le culture indiana, persiana, giapponese. Esperienze, queste, che contribuiranno alla svolta pittorica di fine anni Sessanta. Tornato in Italia, Armodio collabora con la galleria Forni di Bologna che cura diverse sue mostre. Nel 1972 entra in contatto con Philippe Guimiot, titolare di un’omonima galleria a Bruxelles, che decide di esporre le opere dell’artista. Da questo momento il rapporto con Guimiot diventa stabile. Nel 1978 Armodio si reca a Parigi dove rimane per circa un anno. Nel 1979 torna in Italia e, insieme a Bertè, apre una stamperia che rimarrà attiva per oltre tredici anni. Nel 1984 conosce la gallerista Claudia Gian Ferrari e l’anno successivo espone nella sua galleria milanese. Negli anni Novanta collabora con diverse gallerie italiane tra cui la galleria Braga di Piacenza, la sua amata città, punto di riferimento irrinunciabile. Tutt’ora la sua attività continua collaborando con diverse gallerie in Italia e all’estero. Vastissima la sua bibliografia; monografie sul suo lavoro sono state pubblicate da Allemandi, Longanesi, Skira. Di lui hanno scritto, tra gli altri: Rossana Bossaglia, Giovanni Faccenda, Maurizio Fagiolo Dell'Arco, Claudia Gian Ferrari, Renzo Margonari, Marcello Palminteri, Marilena Pasquali, Vittorio Sgarbi, Giorgio Soavi, Franco Solmi, Sergio Troisi, Marco Vallora, Patrick Waldberg.

"ECOLOGIA DELL'ARTE" di Enrico Baj


Proseguo con lo "spulciare" fra i miei scaffali di libri per segnalare quelli che ritengo "i fondamentali". Mi è ricapitato fra le mani un altro volume di Enrico Baj: ECOLOGIA DELL'ARTE". Anche questo, come il precedente, è ormai introvabile... ma è una testimonianza veramente utili per tutti coloro che vogliano capirci qualche cosa di più di questo fantastico mondo senza scontrarsi in cervellotiche elucubrazioni o ermetici ragionamenti pindarici. E' scritto in italiano basico comprensibile veramente a tutti... buona ricerca e buona lettura!

"Ecologia dell'arte" di Enrico Baj
Ed. Mondadori
pag.286

EGO Persone dell'arte 11


Con Giovanni Faccenda (Storico, critico, curatore e giornalista)


Con Armodio


Con Antonio Pedretti


Dott.sa Donatella Volontè (MiArt) e D-Tao (Dario Milana) in Underground


Con Enrico Bastia (PostArt)

mercoledì 17 febbraio 2010

Comunicazione


http://www.lobodilattice.com/
In alto a sinistra il Banner che comunica la personale del bravo Paolo Cassarà "Les jeux sont Femmes" a cura di Chiara Canali presso la Galleria San Lorenzo a Milano...


vedi anche:
DOMENICA 7 FEBBRAIO 2010
Comunicato stampa "Les jeux sont Femmes" personale di Paolo Cassarà a cura di Chiara Canali
http://lastanzaprivatadellarte.blogspot.com/2010/02/comunicato-stampa-les-jeux-sont-femmes_07.html

martedì 16 febbraio 2010

ALBERO DI LUCE un omaggio al Futurismo


Prospettive Contemporanee - Capitolo 5

Quinto ed ultimo capitolo della rassegna Prospettive Contemporanee. Protagonista di questa pagina: l'artista argentina Karina Chechik.
Raffinata ed eclettica è riuscita ha cogliere l'anima delle sue città. Una mostra di grande successo che non poteva chiudere meglio questa intrigante e piacevole avventura con LaContemporanea di Torino.

Introduzione e comunicato stampa a CAPITOLO 5
 
Lo Studio Art Gallery La Contemporanea è lieta di presentare il quinto ed ultimo appuntamento di
PROSPETTIVE CONTEMPORANEE-"L'Arte dell'Architettura e L'Architettura dell'Arte" con CAPITOLO CINQUE - Personale di Karina Chechik.
Il ciclo espositivo legato al tema dell'Architettura si conclude con l'artista argentina che porta sulla piazza del'Arte Contemporanea di Torino una ventata di internazionalità grazie al suo ricchissimo percorso artistico.
Una visione romantica ampiamente riconosciuta ed apprezzata da importanti gallerie e musei nel mondo espressa in una quindicina di tele in tecnica mista, attraverso le quali la Chechik ci regala una prospettiva ideale dei contesti urbani e tutta la delicatezza del suo animo femminile. Un percorso artistico che si snoda tra le grandi capitali di NewYork, Buenos Aires, Miami, Parigi, Milano con l'obiettivo di coglierne più le dimensioni simboliche ed emotive che non gli aspetti reali.

La mostra “CAPITOLO 5” raccoglie i sentimenti artistici trasposti su tela dell'argentina Karina Chechik, la quale contribuisce al progetto “PROSPETTIVE CONTEMPORANEE” attraverso una serie di opere che hanno come protagonista le grandi capitali di Buenos Aires, New York, Parigi, Roma, Barcellona, Milano, Miami e non ultimo Torino. La scelta ricade su città che sono per lei stessa importanti, non solo perchè in esse ha vissuto e pertanto ha potuto coglierne l'atmosfera, ma anche e soprattutto per l'importanza culturale ed espressiva che esse rivestono nel panorama internazionale.
La Chechik ci offre una lettura particolare di questi scorci metropolitani, guardando loro come attraverso un filtro con il quale si stacca dalla concretezza delle ambientazioni per raggiungere un piano di analisi superiore, simbolico, in cui la luce ed il tempo acquistano un valore predominante. Una quindicina di opere di tecnica mista in cui si avverte la necessità profonda dell'artista di trascendere la realtà per ritrovare una dimensione di maggior sacralità e di realizzare un contatto intimo con gli aspetti più spirituali dell'esistenza. Gli edifici e le architetture che si innalzano verso il cielo diventano quindi canale privilegiato e strumento di collegamento fra l'uomo ed un livello superiore.
I toni pastello e le atmosfere ovattate sono dunque il risultato di un più elevato processo di ricerca verso una condizione ideale di contesto di vita, oltre che il frutto della raffinata sensibilità dell'artista che con queste tele ci regala tutta la delicatezza del suo animo femminile.

Testi:
Capitolo 5 - Karina Chechik

“Lascian cadere il libro, ormai già sanno
che sono i personaggi del libro.
(Lo saranno di un altro, l'eccelso,
ma ciò ad essi non importa).
Adesso sono Paolo e Francesca,
non due amici che dividono
il sapore di una favola.
Si guardano con incredulo stupore.
Le mani non si toccano.
Hanno scoperto l'unico tesoro;
hanno incontrato l'altro.
Non tradiscono Malatesta
perché il tradimento richiede un terzo
ed esistono solo loro due al mondo.
Sono Paolo e Francesca
ma anche la regina e il suo amante
e tutti gli amanti esistiti
dal tempo di Adamo e la sua Eva
nel prato del Paradiso.
Un libro, il sogno li avverte
che sono forme di un sogno già sognato
nelle terre di Bretagna.
Altro libro farà che gli uomini,
sogni essi pure, li sognino.”
"Inferno, V" di Jorge Luis Borges


Di famiglia russa, di origine ebraica, emigrata agli inizi del XX secolo in Argentina, nata nel ’66 e formatasi presso l’accademia di Belle Arti a Buenos Aires, Karina Chechik è “cittadina del mondo”, nel senso più vero ed ampio di questa affermazione.
Trasferitasi giovanissima prima a Miami poi a Barcellona e poi di nuovo a Miami ed ora tornata a Buenos Aires, con significative soste in Italia ed in altre importanti città americane come New York, Boston e Philadelfia, Karina Chechik, è oggi una artista di livello internazionale.
Presente in importanti collezioni sia private che pubbliche, l’opera di Karina nasce da una personale e continua ricerca che ha da sempre contraddistinto il suo percorso artistico.

Le influenze e le contaminazioni di così diverse e lontane culture (che persistono ancora oggi, nonostante si viva nell’epoca della globalizzazione), assimilate nei suoi continui spostamenti, hanno partorito un’arte fatta di gestualità, tecniche e soluzioni uniche e difficilmente replicabili.
Forme, volumi, luci, colori, che sono gli elementi che identificano universalmente qualsiasi artista, nell’opera della Chechik si fondono in un tutt’uno.
Vediamo allora che in un dipinto la luce si unisce alle rarefatte atmosfere di uno scorcio metropolitano che a sua volta si fonde con la luce del cielo che ancora si riflette sulle nuvole che avvolgono la sommità di un grattacielo. Il vero protagonista dell’opera.
Il dipinto sembra generato dal nulla, è un soffio. Nonostante l’ingombrante presenza di edifici, di strutture ed architetture fatte di cemento, metallo e vetro, è leggero, delicato.
Sembrano vedute visionarie e sognate. Inventate. Eppure sono tutte reali. Fermate in quella frazione di un’attimo, magico, di uno scatto fotografico e che solo successivamente attraverso l’inseguirsi di infinite velature si trasformano in poesia.
E proprio la poesia è, in diverse occasioni, fonte ispiratrice dei lavori di Karina, in particolare l’opera di Luis Borges. Anch’esso argentino, è spesso rappresentato in questi dipinti attraverso l’inserimento di citazioni e frammenti dei sui scritti che si amalgamano perfettamente con le immagini che abbiamo davanti al nostro sguardo e che magicamente le completano.

I “tagli”, che scopriamo ammirando le opere in mostra, ci aiutano a scoprire il modo in cui percepisce e di conseguenza vede il mondo, l’artista.
Vedute aeree, dove tutto sembra letto dal finestrino di un aereo o dall’alto di una impalcatura.
Prospettive che partono dal basso e si stagliano verso l’alto come se il mondo fosse visto dall’altezza del suolo o dagli occhi di un bambino. Vedute centrali di “botticelliana” memoria che ci rimandano immediatamente a un passato ormai remoto fatto di perfezionistici equilibri architettonici.
Questo è il modo di vedere e affrontare il lavoro artistico, ma forse anche la vita, di questa giovane artista argentina. Senza barriere, preconcetti, alla continua ricerca dell’armonia come da sempre è avvenuto nel mondo dell’architettura. Karina è un architetto dell’immagine!

La tecnica della Chechik si dovrebbe definire per convenzione “mista”.
In realtà non è così. E’ una cosa molto più complessa. Parte da una ricerca attenta del soggetto, bloccato da uno scatto fotografico che viene poi rielaborato e “sgrassato” di tutto quello che è ritenuto “inutile” ai fini della composizione.
Questo elaborato, “censurato” da ogni riferimento cromatico, viene poi utilizzato come traccia, sulla quale l’artista interviene pittoricamente con gel e resine acriliche.
Il risultato è questo: i lavori che possiamo ammirare in questa mostra non sono fotografie, non sono dipinti. Sono solo magiche rappresentazioni del nostro habitat che spesso è solamente grigio ma che grazie alla professionalità e al genio pittorico di Karina Chechik si riempie di colori sognati come a volte ci vediamo costretti a fare con la realtà.

Newsletter Cassarà




vedi anche:
DOMENICA 7 FEBBRAIO 2010
Comunicato stampa "Les jeux sont Femmes" personale di Paolo Cassarà a cura di Chiara Canali
http://lastanzaprivatadellarte.blogspot.com/2010/02/comunicato-stampa-les-jeux-sont-femmes_07.html

EGO Persone dell'arte 10


Con Stefano Cortina (Galleria Cortina) ed Ester Negretti


Con Mario Boselli (Pres. Camera Nazionale della Moda), Letizia Moratti (Sindaco Di Milano), Fabio Pietrantonio e Massimiliano Finazzer Flory (Ass. alla Cultura Comune di Milano)


Con Paolo Ceribelli


Con Filippo Negroni


Con Angelo CrazyOne (vincitore del Premio Patrizia Barlettani 2009)

Prospettive Contemporanee - Capitolo 4

Eccomi alla pubblicazione del quarto Capitolo della rassegna Prospettive Contemporanee. Il protagonista è Stefano Fioresi, uno degli artisti che meglio rappresentano il connubio fra uomo e città. Dalla tecnica personalissima è assolutamente uno dei protagonisti della scena contemporanea.

Introduzione e comunicato stampa a CAPITOLO 4

Dopo la consueta pausa estiva,riprende a pieno ritmo l'attività dello Studio Art Gallery “La Contemporanea” che si accinge ad inaugurare il quarto capitolo della rassegna “Prospettive Contemporanee”-L'Arte dell'architettura e l'Architettura dell'Arte.La mostra, che vedrà come protagonista le opere di Stefano Fioresi,fa parte,lo ricordiamo,del ciclo espositivo che raduna autori importanti del panorama artistico attuale e che sono accomunati dal soggetto della loro ricerca,l'Architettura appunto,affrontata e risolta con tecniche e “visuali” differenti .Un tema questo scelto per richiamare l'attività principale de “La Contemporanea” che nasce principalmente come studio di progettazione e design.

Capitolo 4 -Personale di Stefano Fioresi è il frutto del soggiorno dell'artista a New York ed è singolarmente incentrata sui ponti della Grande Mela. ManhattanBridge ,BrooklinBridge, Geoge Washington Bridge,ecc. diventano pertanto protagonisti di un'esposizione che si articola in tre fasi,tre momenti di studio differente dei soggetti:si parte dai disegni “sperimentali” di tecnica mista(acrilico,grafite e inchiostro su carta) per arrivare alle opere che riprendono lo stile pittorico tipico di Fioresi, per le quali utilizza l'acrilico e la resina su tela. In queste realizzazioni l'attenzione non si concentra esclusivamente sulle strutture architettoniche, ma anche e soprattutto sugli elementi di contorno,le “figure” che le animano e le popolano,il cosiddetto “folclore urbano”.Un'interpretazione in stile Pop Art rivista in chiave contemporanea di situazioni rubate al quotidiano, dove si gioca sul contrasto tra ciò che c'è di più mutevole proposto in un fumettistico b/n e ciò che è permanente, l' onnipresente, romantico, colorato scenario di vita metropolitana.

Prosegue anche la collaborazione con Luca Mottaran,i cui contributi lirici andranno nuovamente a creare una brillante sinergia tra Arte e Poesia.Scritti inediti, in cui l'autore si concentra sui concetti di Architettura e Pittural,lasciandosi liberamente inspirare dai quadri in esposizione. Luca Mottaran, laureato in Filosofia e giornalista freelance, ha pubblicato nel 2008 "Etatomare",la sua prima silloge poetica edita dalla casa editrice Il Filo.


Testi:
Capitolo Quattro - Stefano Fioresi

Da Wikipedia:
-Il tema del rapporto tra pittore e modella era stato affrontato da Picasso già nel 1926 con un dipinto che ha quasi lo stesso nome; ma già nel passato (e poi ancora in epoca più recente) altri pittori si erano cimentati - in chiave differente e con risultati diversi - con questa affascinante fonte di ispirazione artistica. Fra essi, gli italiani Caravaggio e Vasari (che da una modella ebbe anche quasi certamente un figlio) e l'olandese Vermeer (che della giovane domestica Griet fece la sua musa ispiratrice); fra gli artisti contemporanei sensibili alla tematica sono da segnalare - per il felice esito del tocco e della visionarietà pittorica - Tullio Pericoli e Milo Manara.-

Perché iniziare una presentazione di una mostra personale con una citazione del genere?
La risposta è semplice: perché il rapporto che esiste fra l’opera di Stefano Fioresi e le “sue” città, è molto simile, se non lo stesso.
Il medesimo rapporto che poteva nascere in passato fra alcuni grandi maestri e le loro modelle.
Un rapporto intimo ed intimistico che rende ancora oggi quel rapporto indissolubile e duraturo.
I temi trattati da Stefano Fioresi, non si limitano ad essere solo una rappresentazione di luoghi noti e riconoscibili, che appartengono ad uno scenario quotidiano di immaginazione collettiva, ma rappresentano un rapporto basato su sentimenti di amore e rispetto, nei confronti di quelle città, che Fioresi tratta come sue modelle nella propria personalissima rivisitazione neo-pop.

In Prospettive Contemporanee – CAPITOLO QUATTRO, però, l’artista pone l’attenzione solo su alcuni particolari di queste sue “modelle” (come potrebbe avvenire nel caso di un ritratto ad una figura e si volessero mettere in luce solamente certi dettagli, ad esempio uno sguardo o un sorriso): i grandi ponti della città di New York. Tutta la mostra è, infatti, sviluppata sulla rappresentazione di quelle strutture architettoniche, cariche di molteplici significati.
La città/modella in questione è New York, ed in particolare l’isola di Manhattan, che proprio grazie ai suoi numerosi ponti, è collegata al resto degli Stati Uniti.
Ancora una volta ci troviamo di fronte al concetto di “legame”. Un legame forte, vitale.
Un ponte, lega, unisce e rende possibili spostamenti e trasferimenti, come un cordone ombelicale permette al feto di vivere e crescere nel ventre della propria madre.
La mostra è composta da quindici opere inedite e realizzate per l’occasione.

Questi quindici lavori sono nati dalla creatività dell’artista durante l’ultimo e recentissimo viaggio nella Grande Mela.
E’ composta da cinque disegni, cinque resine e cinque collages. Tre tecniche differenti ma che appartengono in ugual misura (e da sempre) al modo di esprimersi di Fioresi. La conoscenza tecnica e l’utilizzo di materiali a volte anche “impropri alla pittura convenzionale, sono frutto di anni di ricerca e sperimentazione che ha portato questo artista modenese ad essere uno degli artisti più rappresentativi della giovane corrente Neo-Pop.

Facendo poi, un ovvio ma doveroso, riferimento alla Pop-Art, emergono però alcuni elementi di netta rottura con la corrente nata anglosassone e naturalizzata americana e l’opera di Fioresi. Nasce quasi spontaneo in questo caso, citare forse il più noto fra gli artisti della Pop-Art: Andy Warhol.
In un azzardato ed altisonante parallelo fra i due, emerge immediatamente un modo diametralmente opposto nell’indagine, la gestione e la risoluzione, del rapporto soggetto/colore.
In Warhol il mezzo per mettere in risalto il soggetto dell’opera, sia che quest’ultimo fosse un personaggio noto o una scatola di detersivo, erano i colori del soggetto indagato su di una campitura neutra.
Per il nostro Stefano Fioresi le parti si invertono. I fondi sono spesso coloratissimi, se non addirittura creati con elementi fotografici (estrapolati da scatti propri), ed il soggetto, è sempre risolto con la stesura di una resina industriale bianca o nera, (miscelata a polvere di marmo per ottenere ed esasperare un effetto materico), che sfrutta ancora di più l’effetto “contrasto” e obbliga l’interlocutore a fare immediatamente proprio l’elemento principale dell’opera stessa.

I risultato è un gesto personale, proprio. Riconosciuto e riconoscibile, che in questa equilibratissima mostra torinese porta ancora una volta Stefano Fioresi al centro dello scenario contemporaneo e se mai ce ne fosse ancora bisogno, conferma la sua fondamentale presenza in un mercato solido e in continua affermazione, come quello dalla giovane arte italiana.

lunedì 15 febbraio 2010

Lutto nel Mondo dell'arte


Molti, forse non lo hanno mai conosciuto, poveri loro.
Ademaro Bardelli è stato un personaggio straordinario. Grande artista, grande uomo e serio professionista.
Io ho avuto modo di conoscerlo più di vent'anni fa. Poi le scelte professionali e per chissà quali altri sconosciuti motivi, forse solo il corso della vita, ci siamo persi di vista. L'ho rincontrato un paio d'anni fa a Modena. Il suo sorriso luminoso era lo stesso.
Sono venuto a conoscenza della notizia pochi minuti fa. Mi sono commosso e rattristato. Ora mi viene solo da dire: "Ciao Ademaro, continua a dipingere come hai sempre fatto, ovunque tu sia".

Ademaro Bardelli è nato a Firenze il 22 Dicembre 1934.
Vive e lavora in Toscana e partecipa alla vita artistica dal 1956.

Dal 1949 al 1953 frequenta l'Istituto d'Arte di Firenze. Dopo il servizio militare, si reca all'estero, in Belgio dove lavora in una miniera di carbone, in Svizzera, in Francia facendo i lavori più disparati come facchino, cavatore di pietra, scaricatore di porto, cameriere etc.
Rientrato in Italia nel 1956 comincia professionalmente l'attività artistica che comunque, rimane strettamente legata al territorio europeo ed extraeuropeo.

Ė infatti dal 1956 in poi che Bardelli inizia ad esporre, la sua prima personale a Cannes e a Nice. Solo per citarne alcune tra più le importanti: nel 1961 collabora con la Galleria Mino da Fiesole, nel 1963 Galleria Tornese Milano,1968 Los Angeles, Saidemberg Gallery; 1971 San Francisco, Ankrun Gallery; 1987 Paris, Galerie Valmay. Dal 1991 collabora con Galleria Spagnoli, inizio inaugurato con una personale a Lugano nello stesso anno. A Geneve è nel 1993, Europ'Art, e 1994 Melbourne, ACAF 4, nel 1995 Strasbourg, Salon International d'Art Contemporain, nel 1996 Knokke, D'Haudrecy Art Gallery, e 2000 Amsterdam, Kunstrai. Dal 1991 inizia la duratura collaborazione con la Galleria Palma Arte, e nel 2004 la stessa gli dedica una personale. Ė dal 2004 che il territorio dove si è trasferito lo accoglie con una personale nel Castello di Cafaggiolo a Barberino di Mugello. Continua ad esporre in Europa, e nel 2006 è a Karlsruhe, Germania, nel 2007 in Bretagna alla Gallerie Espace Expo, Betton. Nel 2007 Palazzo Panciatichi, Regione Toscana, Firenze, a Vienna alla Jma Gallery, nel 2008 una personale con Gottuso alla Galleria Maccagnani a Lecce.

Prospettive Contemporanee - Capitolo 3

Continuo con la pubblicazione del lavoro svolto insieme a LaContemporanea di Torino nel 2009 (Vedi post precedenti "Prospettive Contemporanee").
Il terzo capitolo di questa rassegna è dedicato al bravo artista lombardo Andrea Gnocchi, raffinato iconografo del nostro tempo e non solo...

Introduzione e comunicato stampa a CAPITOLO 3

Sembra ieri che si mettevano a punto gli ultimi dettagli per l’inaugurazione di questo nuovo spazio ed invece siamo giunti al terzo capitolo di questa rassegna. Capitolo Tre, dedicato all’artista Andrea Gnocchi.
La Contemporanea Studio-Art Gallery, un nuovo spazio espositivo nel centro di Torino, un luogo d'incontro dove l’intento è quello di far convivere, in maniera armonica e sinergica arte, architettura e design.
Un percorso espositivo che prevede nell'arco dell'anno 5 mostre personali "cinque capitoli" ognuno dedicato ad un artista differente: Carlo Cane, Fabiano Parisi, Andrea Gnocchi, Stefano Fioresi, Karina Chechik.
Una grande avventura che l’ architetto Cristiana Pecile sta affrontando con grande impegno, unendo la sua passione per l’arte contemporanea alla sua attività professionale.
L’idea è vincente, presentare i suoi progetti nella cornice di una mostra d’arte, che ovviamente ha per tema l’architettura.

Ecco perché la scelta dei cinque artisti menzionati.
Cinque autori che occupano uno spazio importante nella proposta d’arte contemporanea ma che sono uniti dal soggetto e dal tema della loro ricerca: l’architettura della nostra attuale civiltà, affrontata e risolta con tecniche diverse e che vanno dalla fotografia alla pittura, dall’installazione alla scultura, focalizzando problematiche, aspetti e risvolti sociali differenti.

L’opera di Andrea Gnocchi, che avremo l’opportunità di ammirare in questa esposizione è frutto di una costante e continua ricerca, attuata dall’artista ormai da tempo su una serie di soggetti che appartengono all’immaginario e forse non solo tale, collettivo. Una attenta rilettura in chiave neo–pop di strutture industriali, piattaforme petrolifere e agglomerati produttivi che caratterizzano tante periferie delle nostre città.
Curiosa e particolare, per non dire unica, è proprio la chiave di lettura che offre Gnocchi di questi luoghi. Luoghi di lavoro, quello duro, spesso alienante, che si riempiono di colori, piani prospettici che si rincorrono e sovrappongono e luce, tanta luce. Un tentativo, ben riuscito, di eleggere a “icona-pop” questi ambienti che nella realtà contemporanea di popolare hanno solo la vita. Quella vissuta e non sempre.

Testi:

CAPITOLO 3 - ANDREA GNOCCHI

L’ultima luna,
la vide solo un bimbo appena nato
Aveva occhi tondi e neri e fondi
E non piangeva.
Con grandi ali prese la luna tra le mani
E volò via
E volò via.
Era l’uomo di domani
(Lucio Dalla)

L’uomo, dov’è l’uomo di oggi? E’ presente? Oppure fa parte di qualcosa che non vediamo in queste architetture compiute, ma ne è parte essenziale, è insito nelle loro strutture.
Non potrebbero esistere senza l’uomo, in questo caso Creatore, che le ha pensate, volute, immaginate nella loro realizzazione e poi, forse, abbandonate. Un uomo indifferente, forse poco attento, ma che ha dentro di se il seme della creatività.
In lontananza alcuni sembrano macchine, robot provenienti da un mondo lontano, con braccia di ferro, disarticolate, moderni “Alien” ripuliti dai sedimenti spaziali e antropomorfi. Altri invece contenitori, pieni di gas e di oli, sostanze industriali, che hanno un odore forte ed inebriante, l’odore della nostra realtà industriale.
Altri ancora piattaforme isolate in un mare senza confini, dove l’uomo, ancora non c’è.

L’arte, quasi mai è questione di DNA, ma il protagonista di questa mostra è l’eccezione che ne conferma la regola.
Andrea Gnocchi, Gallarate (Va) classe 1975, è un figlio d’arte. Nonno e padre artisti, pittori, che in maniera naturale gli hanno trasmesso i geni della creatività, la propensione al colore, l’amore per la pittura e la voglia della ricerca.
Con una rilettura del tutto personale, affronta in chiave contemporanea i concetti espressi dalla Pop-art per mezzo di alcuni temi a lui cari.
Il suo universo è fatto di immagini, di icone.
Icone che ci appartengono, che immediatamente, attraverso il potere evocativo delle stesse, ci consentono di fare un tuffo nel passato, nel mondo dei ricordi, in questa caso però, rigenerati e rinvigoriti dalla sapiente mano dell’artista.
Tutto questo nella sua “normale” produzione, dove pone l’attenzione su vecchi modelli di automobili, motocicli o altri mezzi meccanici che tutti noi conosciamo bene, perché magari posseduti o sognati o ancora avuti come modellini giocattolo nella nostra infanzia.
Lavora sulla sovrapposizione di finti piani prospettici che di fatto annullano la prospettiva stessa, mettendo in luce il soggetto ritratto e combinando insieme, con giusto equilibrio grafico, superfici piene e campiture desertiche.
Bello l’utilizzo della carta velina nella preparazione della tavola unita a sabbie e sedimenti fluviali, che aiutano a dare vibrazione e movimento al tutto. Così come è intelligente l’uso disinvolto del nero (colore comunemente ostico a molti artisti usato qui per sottolineate “l’effetto fumetto” tipico corrente artistica anglo-americana) usato in contrapposizione ai bianchi utilizzati per rendere al meglio i vari effetti luminescenti.
I colori sembrano irreali, inaciditi ma di fatto suggeriscono in maniera subdola, nascosta, quasi subliminale una riconducibilità all’anima del soggetto stesso.
In questa mostra però, sempre in chiave pop, Andrea affronta un altro tema a lui caro, quello delle strutture.
La forza impressa, l’impronta personale e la tavolozza acida, sono quelle di sempre, che lo hanno proiettato nel giro di pochi anni ad essere un vero protagonista della giovane arte figurativa italiana, ma i soggetti, pur appartenendo anch’essi ad un ipotetico “paesaggio della memoria” sono diversi.
Vecchie fabbriche, piattaforme petrolifere, raffinerie sono i soggetti che già conosciamo ma che scopriamo ed impariamo a guardare con occhi differenti.
Come già sottolineato più volte in queste righe, la chiave di lettura fornita è quella della Pop-art, ovvero un’ arte fatta da soggetti “popolari”, noti a tutti (che essi siano oggetti, luoghi o persone non ha importanza), per la gente comune, quella della strada, senza riferimenti che possano in qualche maniera contestualizzarli o collocarli in un luogo o epoca ben precisi e definiti, ma solamente conosciuti e riconoscibili. Ma non solo.
Le opere in mostra assumono un aspetto quasi metafisico. Trasmettono un senso di attesa, una irreale e sospesa assenza fisica dell’uomo. Ma l’uomo c’è, è lui che ha creato tutto ciò, che lo ha vissuto, abitato e forse abbandonato.
Ho conosciuto Andrea Gnocchi qualche anno fa, quando mi sottopose proprio dei lavori che rappresentavano delle piattaforme petrolifere. Mi colpirono ma poi, non se ne conosce nemmeno il motivo, questi soggetti vennero accantonati per fare spazio ad altri, forse più “facili”. Poi nel giugno scorso la mostra, importantissima, al Castello di Rivara, “Architetture sensibili”, in occasione di Torino capitale mondiale dell’architettura e queste “strutture” sono tornate prepotentemente in vita, per uscire di nuovo dallo studio dell’artista. La mostra Capitolo Tre, all’interno dell’ambizioso progetto PROSPETTIVE CONTEMPORANEE, ne è il risultato.
Un anno di lavoro, di studio, di ricerca, portato a termine con lucida professionalità e forte carica emotiva dove nulla è lasciato al caso. Equilibri, masse, colori, sono la testimonianza visiva delle doti di questo artista che affronta la sua prima personale torinese con una mostra di grande livello.

ART ATTACK: come l’arte invade il mondo della comunicazione


Per il Club del Mercoledì, con il patrocinio del gruppo G.S.A. (Giornalisti Specializzati Associati), il Circolo della Stampa di Milano è lieto di presentare l’incontro:

ART ATTACK: come l’arte invade il mondo della comunicazione.

L’intento di questa serie di interventi è di dimostrare come l’Arte Contemporanea, nelle sue diverse forme e linguaggi, codificati all’interno del sistema dell’arte e liberi di esprimersi in autonomia da ogni intermediario, sia oggi sempre più in grado di incidere il mondo della comunicazione mediale.
Sia il panorama visivo delle nostre città che i diversi ambiti della cultura, della moda, della comunicazione possono infatti essere profondamente permeati dalle suggestioni e dagli stimoli degli artisti contemporanei, riuscendo a coinvolgere strati sempre più ampi della società al di là della torre d’avorio elitaria e autoreferenziale in cui spesso l’Arte in generale è rinchiusa.
Ne è un esempio il fenomeno della Street Art che in maniera preponderante ha preso piede nelle nostre città, attirando l’attenzione di un pubblico sempre più vasto di fruitori; o ancora non si possono dimenticare al riguardo le sempre più frequenti collaborazioni tra cantanti, scrittori e artisti nell’ideare le copertine delle novità discografiche ed editoriali.
Dello stesso ordine di idee è il fecondo e proficuo scambio tra arte e design nella customizzazione di oggetti di uso quotidiano e di capi di abbigliamento free style e nello spazio sempre più ampio spazio dedicato al merchandising all’interno dei bookshop dei musei e delle mostre temporanee.
Questo incontro si pone l’obiettivo di indagare gli impatti dell’arte contemporanea nelle pieghe della vita quotidiana e negli ingranaggi della comunicazione.

Interventi di:

Roberto Bonin, ingegnere del gruppo G.S.A. (Giornalisti Specializzati Associati)
Thomas Berra, artista, ideatore di Sold Out
Valerio Berruti, artista, invitato al Padiglione Italia della Biennale di Venezia
Bros, street artist
Cris Nulli, agenzia Why Not Events
Modera Chiara Canali, critico d’arte e curatore

ART ATTACK
17 febbraio 2010, h. 17.00

CIRCOLO DELLA STAMPA
Palazzo Serbelloni
Corso Venezia 16
Milano

GIORNALISTI SPECIALIZZATI ASSOCIATI
Segreteria Organizzativa: via Ulisse Salis, 28 – 20161 Milano
Tel: 392.6224054 Fax: 02.99986449 Website: www.gsaitalia.org – E-mail: presidenza@gsaitalia.org

"IMPARIAMO LA PITTURA" di Enrico Baj


Il libro del quale voglio scrivere in questo post è ormai una rarità. Non lo si trova più da nessuna parte se non in qualche libreria specializzata o in qualche bancarella di libri usati. Si intitola "Impariamo la pittura" ed è stato scritto da Enrico Baj (uno dei più grandi artisti italiani del XX secolo e che personalmente apprezzo maggiormente), nel 1985.
Il volumetto è una sorta di "Bignami" della pittura, ma solo per il fatto che è stato scritto da uno dei più raffinati militanti del mondo dell'arte nonché uno dei fra i più intelligenti sperimentatori e ricercatori di tecniche e soluzioni è imperdibile!!! Cercatelo, trovatelo e divoratelo!
Ultima edizione in commercio è stata edita per BUR nella collana Manuali.

da Wikipedia:

Enrico Baj (Milano, 31 ottobre 1924 – Vergiate, 16 giugno 2003) è stato un pittore, scultore e anarchico italiano.
Non è possibile avere fotografie di opere (di questo autore) perché verrebbe infranto il copyright sulle sue opere
È stato inoltre Trascendente Satrapo e Imperatore Analogico della Patafisica Milanese.
Studiò al liceo classico, quindi iniziò gli studi di Medicina, per abbandonarli dopo la seconda guerra mondiale a favore della Facoltà di Giurisprudenza (che completò diventando avvocato) e dell'Accademia di Belle Arti di Brera, che frequentò parallelamente. Baj ha sempre avuto rapporti con poeti e letterati italiani e stranieri ne sono testimonianza la pubblicazione di una cinquantina di libri. Ha collaborato ad edizioni con André Breton, Marcel Duchamp, Raymond Queneau, Edoardo Sanguineti, Umberto Eco ed altri ancora.
Nel 1951 ha fondato insieme a Sergio Dangelo il Movimento della Pittura Nucleare. Nel 1953 insieme ad Asger Jorn il "Movimento per un Bauhaus Immaginista" e nel 1954 partecipò agli Incontri Internazionali della Ceramica ad Albissola Marina presso le Ceramiche Mazzotti insieme ad Asger Jorn, Lucio Fontana, Emilio Scanavino, Karel Appel, Guillaume Corneille, Sebastian Matta, Aligi Sassu, Edouard Jaguer, ecc.
Negli anni cinquanta collabora anche alle riviste Il Gesto e Phases. Nel corso degli anni, la passione della scrittura aumenta portandolo alla pubblicazione di numerosi libri tra i quali Patafisica, Automitobiografia, Impariamo la pittura, Fantasia e realtà con Guttuso, Ecologia dell'arte.
Il Surrealismo ed il Dadaismo marcarono profondamente la sua opera, i suoi collages fatti di materiali diversi (medaglie, bottoni, passamanerie, mescolati alla pittura) sono vicini da una parte all'opera di Kurt Schwitters e Francis Picabia, d'altra risentono dello spirito di Alfred Jarry con il suo Ubu Roi.
Mostrandosi sempre attento al messaggio sociale, Baj ha consacrato una grande tela ai "Funerali dell'Anarchico Pinelli", dove riprende le proprie figure ispirate a Guernica ed i propri personaggi grotteschi e da parodia.
Aderì fin da giovane all'anarchismo e la sua opera è spesso orientata a mettere alla berlina il potere in tutte le sue forme.

Prospettive Contemporanee - Capitolo 2

Il secondo capitolo della rassegna Prospettive contemporanee è stato dedicato al giovane e bravo fotografo romano Stefano Parisi (vedi post precedente "Prospettive Contemporanee").

Introduzione e comunicato stampa a CAPITOLO 2


Con "CAPITOLO DUE” prosegue la serie di mostre organizzate nei locali de LA CONTEMPORANEA,
un nuovo spazio espositivo nel centro di Torino, un luogo d'incontro dove l’intento è quello di far convivere, in maniera armonica e sinergica arte, architettura e design.
Un percorso espositivo che prevede nell'arco dell'anno 5 mostre personali "cinque capitoli" ognuno dedicato ad un artista differente: Carlo Cane, Fabiano Parisi, Andrea Gnocchi, Stefano Fioresi, Karina Chechik.
Una grande avventura che l’ architetto Cristiana Pecile sta affrontando con grande impegno, unendo la sua passione per l’arte contemporanea alla sua attività professionale.
L’idea è vincente, presentare i suoi progetti nella cornice di una mostra d’arte, che ovviamente ha per tema l’architettura.
Ecco perché la scelta dei cinque artisti menzionati.
Cinque autori che occupano uno spazio importante nella proposta d’arte contemporanea ma che sono uniti dal soggetto e dal tema della loro ricerca: l’architettura della nostra attuale civiltà, affrontata e risolta con tecniche diverse e che vanno dalla fotografia alla pittura, dall’installazione alla scultura, focalizzando problematiche, aspetti e risvolti sociali differenti.


Il secondo evento "Capitolo DUE" si inaugurerà martedì 28 alle ore 18.00 e si concluderà il 14 di Giugno.
La ricerca di Fabiano Parisi è rivolta alle strutture abbandonate, strutture incredibili ma ugualmente vuote, sole, che l’artista sente comunque piene e pulsanti di vita trascorsa in un passato antico e recente. La sua esplorazione è a volte inquietante, accompagnata come in un rito dalla macchina fotografica. Fabiano si avventura all’interno di strutture industriali abbandonate, di edifici ancora pieni dell’anima delle persone che ci sono vissute e con la sua macchina fotografica cerca di cogliere le sensazioni fortissime che sente trapelare da quei residui dell’uomo.
La fotografia si integra con la pittura, i supporti sono spesso particolari, in grado di sopportare il bagaglio di sensazioni di cui dovrà caricarli. Spesso sceglie il ferro, perché è un materiale solido, che resiste ma ugualmente cambia nel tempo, si arrugginisce, diventa esso stesso un residuo.


Testi:

Capitolo 2 - Fabiano Parisi

cerco costantemente di essere dentro
un mondo, la sua idea, la sua domanda
i punti interrogativi di questa società non si aggrappano a me
sono emarginato, faccio confine, guardo da dentro con occhio di fuori

mi dicono che non ho un vero lavoro, eppure mi sporco le mani
rimangono residui di giornate su me.
sento la desolazione di alcuni spazi, mi fermo a guardare, rifiuti,
quelli per cui neanche il riciclo è stato pensato
parole ne trovo diverse, lavoro di traduzione,
come vocabolario ho uno scatto e qualche colore
c’è poco ascolto, forse manca un megafono.

penso a questi spazi, a queste persone che incontro.
svuotati di sguardi, di visibile ai più
eppure fanno eco, inciampo nelle loro rovine, sono stati. oggi non più.
parlano di solitudine,questo dice il passante di fretta, il cancello chiuso
dal tempo.

eppure residuo è cosa a due, tra chi lascia e chi rimane.
Ilaria Marchetti


Il protagonista di “Capitolo Due” del ciclo di mostre all’interno della rassegna Prospettive Contemporanee è Fabiano Parisi.
Giovane artista romano, fotografo ed “inventore” di immagini.

La condizione dell’uomo, anzi dell’artista contemporaneo Fabiano Parisi è ancora fuori dalla storia. Storia che si svolge sotto i nostri occhi e muta con il nostro stesso mutare.
Fatto sta che lui ne è protagonista e narratore nel medesimo istante.

Di recente si è visto attore principale dell’esposizione “istituzionale” STILL LIFE presso la Fabbrica Borroni a Bollate (MI) e prima ancora a Roma e a Verona. Ora Torino, città che forse si sposa meglio con l’artista per i temi trattati nelle sue opere: le strutture architettoniche legate alle produttività industriali.
Di fatto Fabiano Parisi racconta i fatti della vita dell’uomo, analizza ed indaga sul divenire della società attraverso i suoi scatti.

Poco più di un secolo fa, la società di allora, visse un fenomeno economico, culturale e di costume che da lì a poco avrebbe modificato radicalmente il proprio futuro: l’abbandono delle campagne a favore dei grandi centri industriali, dimenticando e forse perdendo per sempre, quel mondo fatto di usi e tradizioni secolari che sembravano inattaccabili.
Oggi la civiltà occidentale ha subito l’ennesimo cambiamento. Un cambiamento radicale, del tutto simile a quello poco fa descritto. Assistiamo inermi alla trasformazione in atto, che ha portato al mutamento da società produttiva a società fornitrice di servizi, vivendo di conseguenza l’abbandono delle fabbriche.
Questo è il “fatto di cronaca e di costume” che interessa fermare all’artista.
Queste fabbriche, queste strutture, questi edifici che fino a pochi momenti fa erano popolati da persone con il loro essere, le loro certezze, le loro proteste e le loro fragilità, ora sono contenitori vuoti. Come scrigni contengono l’essenza delle vite vissute nel loro interno. La presenza di uomini, figli di una modernità annunciata, accettata ma spesso mal gestita.
Luoghi dove in un istante di silenzio è ancora udibile il frastuono di catene di montaggio e maccanismi avanguardistici assordanti. Dove in alcuni casi è ancora visibile la presenza dell’uomo, attraverso segnaletiche, cartelli o addirittura oggetti personali dimenticati o lasciati volutamente come testimoni del proprio passaggio, del proprio vissuto e senso di appropriazione del luogo stesso.
Quell’uomo che ora non abita questo luogo da tempo.

Osservando queste “Cattedrali Moderne” fermate e fissate per sempre da Fabiano, sembra quasi di essere assaliti da un senso di malinconia, il tempo ha bloccato lo scandire dei propri secondi. Tutto è immobile, fermo, in attesa. Quasi metafisico. Questi luoghi vissuti dai nostri padri, ed ora resi immortali dai lavori di Fabiano ci appartengono.
Sono luoghi “nostri”, anche se magari edificati e poi abbandonati a centinaia di chilometri dalla nostra realtà.

È bravo questo artista capitolino. Lavora a 360° sull’immagine e la costruzione dei suoi lavori. Fissa quest’ultimi su lamiere di ferro ed ultimamente anche di plexiglass, a sottolineare anche con la materia di supporto l’origine del soggetto ritratto. Le scritte, le citazioni e le resine trasparenti, utilizzate come fissante, attribuiscono valore allo scatto, che ricordiamo è frutto di esplorazioni, ricerca e incursioni: il risultato è un arte di contaminazione: fotografia, pittura, installazione e concetto, si fondono insieme grazie alla sensibilità dell’artista. E rimangono. Rimangono utili soprattutto a noi, per aiutarci a non dimenticare che l’uomo è in perenne mutazione. Ciò che rimane del passato sono la storia e i racconti. Fabiano è un bravo narratore, esalta i luoghi e non gli orrori.

domenica 14 febbraio 2010

Egon Schiele a Milano (da arslife.com)


Finalmente, Egon a Palazzo.
di Dejanira Bada

Il 13 Gennaio 2010, più di un mese in anticipo, si è svolta la conferenza stampa di presentazione della mostra “Egon Schiele e il suo tempo”, che inaugurerà a Palazzo Reale il 25 Febbraio 2010.

Domenico Piraina, Responsabile Attività Espositive del Comune di Milano, ha spiegato così il perchè della scelta di presentare così anticipatamente la mostra: “Questa mostra, “Egon Schiele e il suo tempo” è un evento molto importante per Milano ed abbiamo deciso di effettuare la conferenza stampa un mese prima, per fare in modo che tutti i media, compresi mensili e quindicinali, riescano a parlare e a scrivere di questa fantastica mostra. Il museo Leopold di Vienna, che possiede il maggior numero al mondo di opere di Schiele, ci ha concesso in prestito molti dei dipinti e non solo dei disegni di questo insestimabile artista. Abbiamo scelto, inoltre, di presentare altri pittori insieme a Schiele, come Klimt, Kokoschka, Gersti, Moser, perchè sarebbe stato impossibile sganciare Egon dal suo contesto storico. La mostra comprenderà anche degli apparati didattici riguardanti la vita e la storia di Schiele, proprio per far conoscere a fondo, al nostro pubblico, il pittore e il suo tempo.”

Massimiliano Finazzer Flory, Assessore alla Cultura di Milano, è intervenuto così riguardo all'evento: “Tenevo molto a questa mostra. Il titolo è esplicativo e significa che questa mostra vuole far riflettere anche sul nostro tempo, sull'Europa, sul nostro paese e la nostra città. Noi vogliamo lavorare per fare della conoscenza un elemento indispensbile per Milano e non solo. Per tutta la durata della mostra, infatti, la città verrà letteralmente invasa dalla storia dell'Austria, di Vienna e del periodo storico degli inizi del '900. Organizzeremo molti eventi, per far conoscere, a tutti, quegli anni oscuri che non si discostano molto da quelli odierni. Perchè tutto quello che esprimevano i quadri di Schiele, il sesso, la morte, il disagio e molto altro ancora, sono argomenti che bussano ancora insistentemente al nostro tempo. Oggi si può fare dell'arte lo specchio della nostra vita. Noi vogliamo coinvolgere anche la stampa internazionale e il pubblico estero per far conoscere questa mostra e sto già lavorando ad un accordo con l'Alitalia per fornire biglietti low cost a tutti coloro che volessero venire a Milano per vedere questa mostra.”

Il Console Austriaco, Teresa Indjein, durante il suo lungo discorso si è espressa così al riguardo: “La cultura può aiutare a far fondere i paesi e le loro tradizioni e quale migliore occasione, per far sì che ciò avvenga, che l'organizzazione di una mostra. Schiele è stato mistificato, ebbe una vita difficile, tragica, veniva considerato un pazzo. Le opere di Egon, ad una prima occhiata, possono veramente sconvolgere, ma proprio per questo fanno riflettere, soprattutto grazie alla loro sincerità. Lui voleva capire la vita segreta che è nascosta dentro ogni individuo. La sua vita però fu un breve cammino verso la fine, verso la morte e tutto ciò è espresso molto bene nelle sue opere. Questa mostra vuole seguire proprio queste ispirazioni della vita, per far capire che il tempo è tutto ciò che abbiamo.”

Era presente in sala anche la moglie del Signor Leopold, Elisabeth Leopold che ha ringraziato così: “Sono molto felice di essere qui, anche se mio marito non è potuto venire, perchè ho sempre ritenuto l'Italia un paese magnifico. Chiunque, in questo paese, che è stato un minimo educato, è potuto crescere fin da subito allattato con i capolavori di Michelangelo, Tintoretto, Raffaello ecc. Mio marito si accorse subito della straordinaria bellezza dei dipinti di Schiele, tanto da paragonarli ai lavori del Rinascimento. Così, negli anni '50, quando i quadri di Egon non erano ancora così costosi, decise di iniziare a collezionarli. Schiele fu il primo a fare il grande passo verso l'arte moderna e anche il Leopold Museum contiene molti quadri di altri suoi contemporanei, proprio perchè è impossibile decontestualizzare Egon dal suo tempo. Anche questa mostra, giustamente, farà compiere, al pubblico che vi assisterà, un percorso storico inevitabile, per capire al meglio il periodo della secessione e in primis, il nostro grande ed amato pittore Egon Schiele.”

Insomma, era ora che Milano organizzasse una mostra a Palazzo Reale, per ricordare uno dei più grandi pittori espressionisti del nostro tempo, Schiele.