Da quando sono venuto a conoscenza della sua arte, ho incominciato a seguirla. Mi piace e la trovo particolarmente interessante. Ora Ilaria Margutti con una personale a Milano. Da vedere...
PELLE|MUTA – ILARIA MARGUTTI
Di Viviana Siviero
Di molto si potrebbe parlare attraverso il filo, simbolicamente dalla lunga tradizione e dalle molte implicazioni. La trama narrativa prescelta dal filo di Ilaria, poggia fortemente su di una vigorosa significante simbolica ricca di riferimenti popolari: a partire dal celebre filo amoroso che permise a Teseo di uscire dal labirinto, giungendo al mito delle Moire greche (le Parche romane), passando per le favole tramandate nella tradizione popolare.
Ilaria Margutti armonizza quel rincorrersi di punti di cucito e pennellate, ben conscia della complessità simbolica che l’atto del ricamare porta in sé
La più recente produzione di Ilaria Margutti si può suddividere in quattro paragrafi distinti, ma collegati armonicamente da una catalogazione esistenziale:
- Il catalogo dei volti, che emergono dalla bidimensionalità della tela acquisendo fisicità grazie al gioco del filo lungo le linee, che oggettivizzano l’immagine rendendola fisica; il soggetto, dal canto suo, si vede costretto a tramare su se stesso, per raggiungere la piena comprensione dell’altro da sé.
- Il catalogo inutile delle esperienze tattili, prende spunto dalla riflessione di Jorge Luis Borges, secondo cui i ricordi infiniti, se archiviati, darebbero vita ad un inventario senza significato, perché mancante della debita distillazione critica. Questa serie è composta da libri dalle morbide pagine, in cui immagini e parole si alternano in una complessità materica del tutto simile alla vita.
- Catalogo delle parole, in cui sono le parole a divenire immagine e successivo suono, perché chi le osserva non può fare altro che pronunciare quell’intreccio di fili: se nel catalogo inutile il corpo è un modo per percorrere la fisicità dell’individuo, le parole sono invece mezzo per percorrerne l’interiorità.
- Lo stare inutile, è costituito da un inventario di preziose piccole scatole, allineate ordinatamente dentro una teca, ognuna delle quali custodisce la simbologia sintetica dell’immagine di un pensiero: forma e corpo delle sensazioni, elementi che percepiamo ma che non hanno struttura tattile.
La catalogazione diviene inutile proprio perché infinita e soggetta a milioni di variabili: le sensazioni sono soggettive e non c’è modo di sapere se il dolore o la gioia come li prova un individuo sia uguale rispetto ad un vicino d’esperienza. Ma ogni essere vivente sente la necessità di catalogare, perché questo gli trasmette una sensazione di controllo. E nonostante tutto, ciò che lasciamo dietro la nostra caducità, altro non è se non un archivio di esistenze. Ilaria Margutti come una novella Penelope, impiega incessantemente l’arte del ricamo non come scusa per ingannare una situazione, ma come strumento per lasciare spazio al proprio tempo, affinché si possa manifestare. Il suo è un lavoro di indagine fortemente carnale. Il corpo fisico infatti rappresenta l’unica prova oggettiva e tangibile dell’esistenza, vissuta in rispetto ai sensi responsabili della percezione del sé. Il percorso artistico della Margutti ha visto avvicendarsi i progetti di differenti riflessioni: in principio l’indagine dell’esistenza interiore esplorata in senso antropologico si è spostata dall’autoritratto al ritratto di coloro che accettavano di donarsi all’artista attraverso le proprie ferite, che venivano rammendate nel ritratto come in una sorta di operazione simbolico-taumaturgica. Così la fisicità del ricamo rendeva tangibili i ricordi, facendoli divenire tattili. Lo stesso è per le sensazioni, che si concretizzano per assemblaggio di oggetti reali, divenendo messaggio simbolico attraverso l’eliminazione di qualunque tipo di rappresentazione. Così le sensazioni diventano corpo, dall’esistenza oggettiva e non soggettiva. Per questo Ilaria Margutti può essere definita burattinaia, in un gioco di tracce consistenti, che permettono di rendere tattili i ricordi. Esaurita la catarsi di sofferenze fatta propria per poter esprimere concretamente il circostante non manifesto, il percorso dell’artista ha modificato la propria direzione, rivolgendosi anche al sogno e ai suoi residui materici. È l’esistenza il centro poetico di questa artista meticolosa, che si esprime per estrema necessità creativa, conscia del fatto che, anche se addormentati, noi continuiamo ad esistere.
Di molto si potrebbe parlare attraverso il filo, simbolicamente dalla lunga tradizione e dalle molte implicazioni. La trama narrativa prescelta dal filo di Ilaria, poggia fortemente su di una vigorosa significante simbolica ricca di riferimenti popolari: a partire dal celebre filo amoroso che permise a Teseo di uscire dal labirinto, giungendo al mito delle Moire greche (le Parche romane), passando per le favole tramandate nella tradizione popolare.
Ilaria Margutti armonizza quel rincorrersi di punti di cucito e pennellate, ben conscia della complessità simbolica che l’atto del ricamare porta in sé
La più recente produzione di Ilaria Margutti si può suddividere in quattro paragrafi distinti, ma collegati armonicamente da una catalogazione esistenziale:
- Il catalogo dei volti, che emergono dalla bidimensionalità della tela acquisendo fisicità grazie al gioco del filo lungo le linee, che oggettivizzano l’immagine rendendola fisica; il soggetto, dal canto suo, si vede costretto a tramare su se stesso, per raggiungere la piena comprensione dell’altro da sé.
- Il catalogo inutile delle esperienze tattili, prende spunto dalla riflessione di Jorge Luis Borges, secondo cui i ricordi infiniti, se archiviati, darebbero vita ad un inventario senza significato, perché mancante della debita distillazione critica. Questa serie è composta da libri dalle morbide pagine, in cui immagini e parole si alternano in una complessità materica del tutto simile alla vita.
- Catalogo delle parole, in cui sono le parole a divenire immagine e successivo suono, perché chi le osserva non può fare altro che pronunciare quell’intreccio di fili: se nel catalogo inutile il corpo è un modo per percorrere la fisicità dell’individuo, le parole sono invece mezzo per percorrerne l’interiorità.
- Lo stare inutile, è costituito da un inventario di preziose piccole scatole, allineate ordinatamente dentro una teca, ognuna delle quali custodisce la simbologia sintetica dell’immagine di un pensiero: forma e corpo delle sensazioni, elementi che percepiamo ma che non hanno struttura tattile.
La catalogazione diviene inutile proprio perché infinita e soggetta a milioni di variabili: le sensazioni sono soggettive e non c’è modo di sapere se il dolore o la gioia come li prova un individuo sia uguale rispetto ad un vicino d’esperienza. Ma ogni essere vivente sente la necessità di catalogare, perché questo gli trasmette una sensazione di controllo. E nonostante tutto, ciò che lasciamo dietro la nostra caducità, altro non è se non un archivio di esistenze. Ilaria Margutti come una novella Penelope, impiega incessantemente l’arte del ricamo non come scusa per ingannare una situazione, ma come strumento per lasciare spazio al proprio tempo, affinché si possa manifestare. Il suo è un lavoro di indagine fortemente carnale. Il corpo fisico infatti rappresenta l’unica prova oggettiva e tangibile dell’esistenza, vissuta in rispetto ai sensi responsabili della percezione del sé. Il percorso artistico della Margutti ha visto avvicendarsi i progetti di differenti riflessioni: in principio l’indagine dell’esistenza interiore esplorata in senso antropologico si è spostata dall’autoritratto al ritratto di coloro che accettavano di donarsi all’artista attraverso le proprie ferite, che venivano rammendate nel ritratto come in una sorta di operazione simbolico-taumaturgica. Così la fisicità del ricamo rendeva tangibili i ricordi, facendoli divenire tattili. Lo stesso è per le sensazioni, che si concretizzano per assemblaggio di oggetti reali, divenendo messaggio simbolico attraverso l’eliminazione di qualunque tipo di rappresentazione. Così le sensazioni diventano corpo, dall’esistenza oggettiva e non soggettiva. Per questo Ilaria Margutti può essere definita burattinaia, in un gioco di tracce consistenti, che permettono di rendere tattili i ricordi. Esaurita la catarsi di sofferenze fatta propria per poter esprimere concretamente il circostante non manifesto, il percorso dell’artista ha modificato la propria direzione, rivolgendosi anche al sogno e ai suoi residui materici. È l’esistenza il centro poetico di questa artista meticolosa, che si esprime per estrema necessità creativa, conscia del fatto che, anche se addormentati, noi continuiamo ad esistere.
dal 10 al 24 maggio 2011
WANNABEE GALLERY - MILANO
VIA MASSIMIANO 25
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