Nel giro romano di ieri ho trovato anche il tempo di fare un tour veloce in un mostra che mi interessava parecchio: "Gli irripetibili anni '60 - un dialogo tra Roma e Milano" a cura di Luca Massimo Barbero.
Mostra che merita per la qualità delle opere esposte, per l'allestimento e soprattutto per quello che rappresenta: un dialogo fra le tendenze artistiche di un'epoca attraverso la formidabile capacità del meglio degli artisti italiani di allora. Fino al 31 luglio prossimo al Museo Fondazione Roma per poi essere trasferita a Milano dal 7 settembre a Palazzo Reale. Assolutamente da non perdere!
COMUNICATO STAMPA
Dopo lo straordinario successo della mostra Edward Hopper, prosegue la fortunata
partnership culturale tra la Fondazione Roma e il Comune di Milano – Cultura e
Palazzo Reale con una grande esposizione che rende omaggio a una stagione
artistica irripetibile, quella sviluppatasi tra la fine degli anni Cinquanta e la metà
degli anni Settanta, tra Roma e Milano.
La mostra “Gli irripetibili anni ‘60. Un dialogo tra Roma e Milano” intende
raccontare il ruolo fondamentale delle interazioni culturali tra Roma e il capoluogo
lombardo in questo periodo, individuando in esse l’epicentro creativo delle nuove
sperimentazioni e ricerche al di là dell’arte codificata.
L’esposizione, a cura di Luca Massimo Barbero, sarà ospitata nelle prestigiose sale
del Museo Fondazione Roma, Palazzo Cipolla, dal 10 maggio al 31 luglio 2011 e
successivamente si trasferirà a Milano dal 7 settembre al 20 novembre 2011 negli
spazi espositivi di Palazzo Reale.
La mostra, promossa dalla Fondazione Roma e realizzata in collaborazione con il
Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale e con la Fondazione Marconi, è
organizzata dalla Fondazione Roma - Arte - Musei con Arthemisia Group.
“Con questa mostra - afferma il Prof. Avv. Emmanuele F.M. Emanuele, Presidente
della Fondazione Roma - vogliamo rappresentare al grande pubblico quello che fu un
momento di svolta nella cultura artistica del nostro Paese, un decennio di ricerche
d’avanguardia che ha avuto nella scena creativa romana e milanese degli Anni
Sessanta il proprio epicentro. In quegli anni, infatti, Roma e Milano erano grandi città-
laboratorio, dove la vitalità di una società in rapida evoluzione economica e culturale
trovava la sua espressione visiva in una scena artistica creativa, dinamica e in grado
di recepire e offrire progetti di valenza internazionale. Abbiamo voluto raccontare
questo periodo attraverso una mappatura delle energie creative, dell’attività delle
gallerie, delle occasioni promosse dalle istituzioni pubbliche, delle proposte dei nuovi
gruppi sperimentali attivi in quegli anni, tra quadri e sculture, passando dalla tabula
rasa del monocromo alla sperimentazione optical e cinetica, dal Nouveau Réalisme
alla Pop Art. Questa mostra, dunque, restituirà l’immagine vitale e propositiva di un
periodo recente della nostra storia culturale e consentirà di conoscere l’attività dei
grandi artisti di quell’indimenticabile periodo”.
In mostra sono presenti oltre 170 opere di artisti quali Lucio Fontana, Alexander
Calder, Gianni Colombo, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Alighiero Boetti,
Luciano Fabro, David Hockney, Yves Klein, Franz Kline, Piero Manzoni, Fausto
Melotti, Man Ray, Mimmo Rotella, Mario Schifano, Günther Uecker, Roberto
Crippa, Gianni Dova, Arman, Enrico Baj, Lucio del Pezzo, Giulio Paolini,
Osvaldo Licini, Giò Pomodoro, Giuseppe Uncini, Franco Angeli, Tano Festa,
Valerio Adami, Emilio Tadini, Giuseppe Bertini.
Le opere provengono dalla prestigiosa Fondazione Marconi di Milano e da
importanti istituzioni tra le quali la Fondazione Lucio Fontana di Milano, il MART di
Trento e Rovereto, la Fondazione Piero Manzoni di Milano, la Fondazione
Palazzo Albizzini Collezione Burri di Città di Castello, The Berardo Collection di
Lisbona, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, la Galleria Civica d’Arte
Moderna di Spoleto e il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.
Dopo il 1945, con la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia comincia a
risvegliarsi dal ventennio fascista. L’intero Paese da una parte continua a patire le
conseguenze delle distruzioni causate dalla guerra e dall’altra comincia ad
assaporare gli agi del benessere che avrebbero da lì a poco portato al boom
economico. Il “miracolo economico” dovuto a questi profondi rivolgimenti vedrà il suo
apice proprio tra il 1958 e il 1963. In questi anni Roma vive una esaltante stagione in
cui la cultura di massa incide non solo nel contesto socio-culturale, ma anche in
quello urbanistico e relativo ai codici della creatività e della comunicazione
contemporanea. Milano invece - dove tutto era più estremo ed evidente - diventa la
città che incarna dai tempi del Futurismo di inizio secolo i valori della modernità.
Mentre Roma implode artisticamente diventando centro propulsivo della scena
artistica nazionale, Milano è vista come il centro dell’Avanguardia Internazionale in
cui prendono forma movimenti e tendenze.
Poli di una creatività antagonista e complementare, le due città si ritrovano negli anni
sessanta protagoniste di quella civiltà dell’immagine destinata a determinare il futuro.
È proprio in questi anni che operano e si sviluppano alcune importanti gallerie d’arte:
a Milano la Galleria Apollinaire di Guido Le Noci, il Salone Annunciata di Carlo
Grossetti, la Galleria dell’Ariete di Beatrice Monti, la Galleria Blu di Peppino
Palazzoli, la Galleria Milano di Carla Pellegrini, la Galleria Lorenzelli, lo Studio
Marconi e la Galleria del Naviglio di Carlo e Renato Cardazzo (che tra 1955 e
1960 hanno avuto come loro sede romana la Galleria Selecta). Nella capitale
operano già altre note gallerie come L’Obelisco di Irene Brin e Gaspero del Corso,
La Tartaruga di Plinio De Martiis, La Salita di Gian Tommaso Liverani, L’Attico di
Bruno e poi Fabio Sargentini.
Una particolare attenzione sarà dedicata in mostra all’attività dello Studio Marconi
come uno dei principali centri di innovazione dell’epoca: inaugurato nel 1965 a Milano
da Giorgio Marconi, lo Studio infatti era uno dei luoghi d’incontro prediletti dalle
personalità artistiche e culturali di spicco di quegli anni.
Alla fine del percorso espositivo una speciale sezione audiovisiva multimediale a
tre canali su grandi schermi aiuterà il visitatore attraverso la proiezione di immagini,
video, filmati ed interviste inediti, a rivivere il clima effervescente di quel periodo
mettendo in relazione le arti visive con altri settori della cultura strettamente correlati
ad esse, come la letteratura, il teatro, il giornalismo, la fotografia, la cronaca, il design
e la moda.
LA MOSTRA
L’esposizione è articolata in quattro sezioni che esemplificano i differenti indirizzi
assunti dalla ricerca artistica nel corso del decennio: l’azzeramento espressivo della
monocromia, l’impiego di oggetti e immagini nella emergente cultura Pop,
l’internazionalità e la nuova scultura, la sperimentazione tra materiali, segni e figure.
Sezione 1 - Monocromia e astrazione
La prima sezione della mostra è dedicata al percorso di riduzione espressiva avviato
alla fine degli anni Cinquanta, con una particolare attenzione per quelle ricerche che
hanno privilegiato la scelta della superficie monocroma, spesso bianca, come nuova
tabula rasa per una creatività libera. Figura centrale di questa sezione è Lucio
Fontana, che avvia nel suo lavoro, tra il 1958 e il 1959, la serie dei tagli, caratterizzati
da rarefazione compositiva e tensione spaziale. Attorno a lui si costituisce una linea
che trova tra i suoi principali esponenti, raccolti attorno all’esperienza della
rivista/galleria Azimuth/Azimut (grande “vivaio” per la nuova contemporaneità,
costituitosi a Milano nel 1959), artisti come Piero Manzoni ed Enrico Castellani,
Dadamaino, Agostino Bonalumi, Paolo Scheggi; una situazione che a Roma dialoga
con Francesco Lo Savio e Fabio Mauri. Presenza fondamentale a Milano è quella di
Yves Klein che nel 1957 presenta i suoi lavori monocromi alla Galleria Apollinaire,
diventando un punto di riferimento centrale per la nuova generazione. Le radici di
queste ricerche sono esemplificate in mostra dalla presenza di alcuni maestri della
stagione precedente che rivestono fondamentale importanza per le nuove
generazioni: da un lato, Franz Kline e Alberto Burri; dall’altro, Alexander Calder,
Fausto Melotti, Osvaldo Licini e Pietro Consagra.
Tra le più significative presenze di questa sezione: un “Concetto spaziale” di Fontana
collocato a soffitto, una sperimentale “Plastica” di Burri, un grande dipinto gestuale di
Kline, il Ritratto di Giovanni Carandente di Calder, alcuni “Achrome” realizzati da
Manzoni con caolino, tele grinzate e cucite, pietre, e uno speciale allestimento a
parete che raccoglie una serie di rarità, tra gioielli d’artista e sculture.
Sezione 2 - Oggetti e immagini Pop
La seconda sezione della mostra è dedicata al dialogo tra il recupero dell’oggetto e
dell’icona caratteristico del Nouveau Réalisme e l’emergente cultura della Pop Art. Le
sperimentazioni oggettuali del gruppo del Nouveau Réalisme, costituitosi proprio a
Milano nel 1960 attorno alla Galleria Apollinaire, sono documentate dai lavori di
Mimmo Rotella, Arman, César, Raymond Hains, Jacques Villeglé, Christo, che nel
1970 sono anche protagonisti di una serie di interventi nel contesto urbano della città,
in occasione di uno speciale Festival dedicato al primo decennale di questo
movimento.
La parallela e intrecciata linea d’indagine a Roma, in dialogo con la nascente cultura
Pop, è fondata sulla rivisitazione e dissacrazione di materiali e icone della tradizione
espressa da Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Cesare
Tacchi e Sergio Lombardo.
Tra i più singolari prestiti di questa sezione, si segnalano quattro importanti opere di
Hockney dei primi anni sessanta, due delle quali provenienti dalla Berardo Collection
e dal Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, una grande scultura composta da barili
assemblati e dipinti da Christo, un Omaggio ad Arman di Rotella, alcuni lavori
appartenenti allo scintillante ciclo di Schifano Tuttestelle.
Sezione 3 - L’internazionalità e la nuova scultura
Milano assume sempre più il ruolo di “fabbrica” delle nuove immagini in un dialogo
serrato con New York ma soprattutto con Londra, presentando nella propria scena
artistica di questo decennio protagonisti della Pop Art inglese come Peter Blake,
Richard Hamilton, David Hockney, Joe Tilson.
Il rinnovato interesse per i grandi maestri del Dadaismo e del Surrealismo, come
Marcel Duchamp e Man Ray, presenti a queste date in italia, si traduce anche nella
nuova tipologia scultura, nelle centinature di Pino Pascali e nella nuova oggettualità
di Christo, e in una eredità performativa in questa occasione esemplificata da Joseph
Beuys.
Milano è anche luogo di matrici neoindustriali che promuovono la ricerca scientifica in
relazione alla cultura metropolitana, muovendosi tra cultura del progetto, design, arti
visive e sperimentazione. In questo contesto, le opere del Gruppo T (Giovanni
Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi, Grazia Varisco)
esemplificano la cosiddetta “arte programmata” - titolo della mostra di questa
tendenza presentata al Negozio Olivetti di Milano nel 1962 da Bruno Munari e
Umberto Eco - e l’apertura della ricerca sull’opera a una relazione complessa con
l’architettura e la spazialità; peculiarità evidenti nell’opera di Colombo e che si
ritrovano anche nel loro “contrappunto” europeo del Gruppo Zero di Düsseldorf, con
Günther Uecker. Le opere di Mario Nigro, Dadamaino, Rodolfo Aricò, Arturo Bonfanti,
Carlo Ciussi, Emilio Scanavino, Piero Dorazio, Gastone Novelli e Gianfranco Pardi
mostrano l’interesse per una ridefinizione della pittura attraverso l’inclusione di
determinanti geometriche che ne articolino la dimensionalità, come ad esempio
nell’impiego delle shaped canvas (telai sagomati).
Tra le opere più importanti di questa sezione, una grande Struttura pulsante in
polistirolo di Colombo, la Colonna vertebrale di Scanavino, scultura di oltre tre metri,
un’opera di Novelli dedicata all’editore milanese Vanni Scheiwiller.
Sezione 4 - Materiali, segni e figure
Una linea più propriamente concettuale e analitica è quella di Vincenzo Agnetti,
Gianfranco Baruchello, Emilio Isgrò, Davide Mosconi, Ugo Mulas, Nanni Balestrini: si
concentra sulla relazione tra parola, segno e immagine, nella messa in discussione
degli statuti stessi della comunicazione visiva. Essa si intreccia alla duplice
sperimentazione che caratterizza la seconda metà del decennio: da un lato, la scelta
di materiali eterodossi in una nuova chiave concettuale come nelle opere di Alighiero
Boetti e Luciano Fabro, che dialogano con la parallela situazione romana espressa
da autori come Jannis Kounellis, ed Eliseo Mattiacci; dall’altro, l’adozione di una
nuova figurazione, nelle opere di Valerio Adami ed Emilio Tadini che reggono la
cultura Pop in una sospensione poetica e narrativa. Tra materiali e figure si muovono
le opere di Gianni Dova, Roberto Crippa, Enrico Baj, Lucio Del Pezzo, mentre a
procedimenti meccanici di figurazione si richiamano quelle di Bruno Di Bello e Gianni
Bertini. Le nuove dimensioni della scultura sono esemplificate dal lavoro di Giuseppe
Uncini, Arnaldo e Gio Pomodoro. Sono ricerche che trovano il loro contrappunto
internazionale in autori stranieri presenti a Milano in questi stessi anni, come Hsiao
Chin, William T. Wiley, Antonio Dias, Peter Caufield, Eduardo Paolozzi, Allen Jones,
Louise Nevelson, che confermano la dimensione autenticamente dinamica e
internazionale di questo contesto.
Riassumono emblematicamente queste diramate direttrici di ricerca la celebre
immagine verbovisuale della Volkswagen di Isgrò, la prima “verifica” di Mulas, la
fisicità eterodossa di Italia in pelliccia di Fabro, le contaminazioni tra materia e
personaggio del “generale” e delle “dame” di Baj, la modernissima figurazione de La
camera afona di Tadini.
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Bravo Roberto! Francesco Tadini
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