A Carnago, in provincia di Varese, espone Marco Bellomi, in compagnia di Alex Sala.
Un confronto molto interessante da scoprire...
Muri e Ponti | performance di Alex Sala
Bianco Quotidiano | installazione di Marco Bellomi
Lettura critica di Sonia Patrizia Catena ©
La scelta del pane quotidiano, come argomento della tredicesima giornata del contemporaneo, dà luogo a numerose riflessioni: dalla tradizione cristiana all’idea di cibo come nutrimento e vita, fino all'evoluzione dell’individuo e della società. Il concetto di pane può, inoltre, legare il suo significato a quello di guerre e conflitti, intrecciandosi a temi attuali come: immigrazione, confini, inclusioni ed esclusioni, attorno ai quali la società è chiamata a ridefinirsi. I confini (in)visibili possono avere effetti sulle persone, così come lo scambio fra i popoli può insegnare la diversità, trasformandoci attraverso un cammino personale. Nuovi ingredienti, dunque, per rinnovate identità.
Ma quale ruolo per l’artista?
Il pane, un elemento vitale per l'uomo, nutrimento per eccellenza, è spezzato, frantumato attraverso l'azione energica e intensa di Alex Sala. Questa performance chiude il rituale dell'artista, iniziato con la gestualità catartica di 12 PESCI. In quell'occasione i pesci rappresentavano i popoli europei appiattiti dalle norme e resi, almeno in apparenza, identici. Sala, questa volta, alza la posta in gioco. Oltre al pane, quello "quotidiano" per i cristiani, riprende un concetto a lui caro: il muro, la linea di confine, già presente nel ciclo di lavori "War at Home", che separa il familiare dall'ignoto. Un percorso di ricerca che lo conduce a distruggere il pane, oggetto del contendere, e a chiedersi «se la ricchezza fosse distribuita equamente, gli uomini desidererebbero il pane altrui?». Per l'artista il conflitto tra gli uomini è l'effetto del loro perenne desiderio di possedere: risorse, potere e territori. Soggetti, quest'ultimi, a continue ridefinizioni e compromessi attraverso muri o ponti, che riportano all'ordine tutto ciò che è in divenire, mutante e informe. Elementi che, illusoriamente, tracciano dei punti fermi, delle coordinate di passaggio o meno, come lo sono i mari e i monti. Ecco che nasce un dialogo fra confini artificiali e naturali, suture tra territori attigui e culture simili, ove i primi, risultato di accordi politici o economici, possono limitare o incentivare i flussi, facilitarli o controllarli. I secondi, quelli naturali, sono fisici, oggettivi e indipendenti da decisioni umane. I confini determinano l'identità di un popolo, anche quando sono eretti muri (o monti?) per contenerli, questi ne evidenziano le radici. Invece, i ponti (o il mare?), artifici sempre dell'uomo, uniscono mondi diversi, collegano due realtà o modi di pensare e diventano un precario sentiero su cui passare.
Sala con la sua performance si pone come frontiera, soglia di demarcazione e membrana permeabile, suscettibile alla mutazione, fra il nostro spazio noto e quello ignoto dell'azione, della frantumazione del pane. Una frontiera elastica che consente un contatto fra due mondi attraverso lo scambio di pensieri, riflessioni e domande. Così come i nostri muri e ponti, precari, di fronte ai monti e al mare, informi per natura ma permanenti.
Quale via per il mondo?
Se Alex Sala racconta di confini e flussi contenuti o facilitati da muri e ponti, mari e monti; Marco Bellomi riflette, invece, su come l'uomo modifichi se stesso e il territorio mediante l'azione del camminare. Atto primario di trasformazione e strumento di conoscenza dello spazio che può subire, tuttavia, un fermo. L'incedere cristallizzato è qui rappresentato dalle sagome di legno del calzolaio, "negativi" e punti di partenza per la realizzazione delle scarpe. Scarpe, tuttavia, che sono solo evocate e che non permettono di avanzare, perché in realtà non presenti. Assenza dello strumento per spostarsi in Bellomi, muri invisibili in Sala. Un mancato passaggio dell'uomo?
Come in una natura morta, dalla vita silenziosa, l'artista raduna le sagome in legno delle scarpe e le dispone con lievi variazioni vicino ai dodici pani. Questi ultimi, dipinti di bianco, presentano sottili differenze fra volumi e forme, sebbene questo "velo" monocromo li uniformi e ne blocchi la lievitazione.
Se il cammino è cambiamento e porta con sé un potenziale di metamorfosi interiore, anche il pane è simbolo di tale alterazione, prodotto dell'uomo e risultato di più ingredienti che lo fanno diventare altro. Per quanto l'artista lo definisca come: «paragonabile al simbolico divenire dell’Uomo», ne inibisce il desiderio di trasformazione.
Il pane quotidiano dell'installazione non è spezzato, bensì rimane rigido dinanzi a noi, l'artista sceglie di "congelarne" dodici, fermandone il tempo e cristallizzandone la forma.
Questo velo di gesso sembra voler conservare il pane, dalla parvenza inalterabile, nasconde invece, un fermento sotteso, silenziosamente presente. Il pane è, infatti, materia da plasmare e modellare, materia a cui dare una struttura e un carattere attraverso la lievitazione e la scelta delle farine. Deperibile e vulnerabile per natura, si modifica in maniera incessante, alla stregua di un processo creativo in divenire. Dall'elevata carica simbolica, il pane è cibo essenziale per molte culture, nutrimento tra i più sacri e allegoria della vita, altresì metafora della crescita dell'individuo, della relazione con gli altri e stratificazione di senso, da quello socio-economico a quello politico, sino alla brama di possesso.
L'apparente incorruttibilità e stasi dell'installazione di Bellomi, smuove in noi una domanda:
affrontando l'inerzia, si è in grado di far rinascere il desiderio di cambiamento?
Sala e Bellomi compongono una narrazione rigorosa e aperta alle interpretazioni degli spettatori, ove performance e installazione dialogano in maniera sinergica. Tentano di raccontare il presente come un territorio instabile, ancora indefinito, quasi passivo: una polifonia di significati per creare un terreno di riflessione comune e immaginare la nuova società.
Bianco Quotidiano | installazione di Marco Bellomi
Lettura critica di Sonia Patrizia Catena ©
La scelta del pane quotidiano, come argomento della tredicesima giornata del contemporaneo, dà luogo a numerose riflessioni: dalla tradizione cristiana all’idea di cibo come nutrimento e vita, fino all'evoluzione dell’individuo e della società. Il concetto di pane può, inoltre, legare il suo significato a quello di guerre e conflitti, intrecciandosi a temi attuali come: immigrazione, confini, inclusioni ed esclusioni, attorno ai quali la società è chiamata a ridefinirsi. I confini (in)visibili possono avere effetti sulle persone, così come lo scambio fra i popoli può insegnare la diversità, trasformandoci attraverso un cammino personale. Nuovi ingredienti, dunque, per rinnovate identità.
Ma quale ruolo per l’artista?
Il pane, un elemento vitale per l'uomo, nutrimento per eccellenza, è spezzato, frantumato attraverso l'azione energica e intensa di Alex Sala. Questa performance chiude il rituale dell'artista, iniziato con la gestualità catartica di 12 PESCI. In quell'occasione i pesci rappresentavano i popoli europei appiattiti dalle norme e resi, almeno in apparenza, identici. Sala, questa volta, alza la posta in gioco. Oltre al pane, quello "quotidiano" per i cristiani, riprende un concetto a lui caro: il muro, la linea di confine, già presente nel ciclo di lavori "War at Home", che separa il familiare dall'ignoto. Un percorso di ricerca che lo conduce a distruggere il pane, oggetto del contendere, e a chiedersi «se la ricchezza fosse distribuita equamente, gli uomini desidererebbero il pane altrui?». Per l'artista il conflitto tra gli uomini è l'effetto del loro perenne desiderio di possedere: risorse, potere e territori. Soggetti, quest'ultimi, a continue ridefinizioni e compromessi attraverso muri o ponti, che riportano all'ordine tutto ciò che è in divenire, mutante e informe. Elementi che, illusoriamente, tracciano dei punti fermi, delle coordinate di passaggio o meno, come lo sono i mari e i monti. Ecco che nasce un dialogo fra confini artificiali e naturali, suture tra territori attigui e culture simili, ove i primi, risultato di accordi politici o economici, possono limitare o incentivare i flussi, facilitarli o controllarli. I secondi, quelli naturali, sono fisici, oggettivi e indipendenti da decisioni umane. I confini determinano l'identità di un popolo, anche quando sono eretti muri (o monti?) per contenerli, questi ne evidenziano le radici. Invece, i ponti (o il mare?), artifici sempre dell'uomo, uniscono mondi diversi, collegano due realtà o modi di pensare e diventano un precario sentiero su cui passare.
Sala con la sua performance si pone come frontiera, soglia di demarcazione e membrana permeabile, suscettibile alla mutazione, fra il nostro spazio noto e quello ignoto dell'azione, della frantumazione del pane. Una frontiera elastica che consente un contatto fra due mondi attraverso lo scambio di pensieri, riflessioni e domande. Così come i nostri muri e ponti, precari, di fronte ai monti e al mare, informi per natura ma permanenti.
Quale via per il mondo?
Se Alex Sala racconta di confini e flussi contenuti o facilitati da muri e ponti, mari e monti; Marco Bellomi riflette, invece, su come l'uomo modifichi se stesso e il territorio mediante l'azione del camminare. Atto primario di trasformazione e strumento di conoscenza dello spazio che può subire, tuttavia, un fermo. L'incedere cristallizzato è qui rappresentato dalle sagome di legno del calzolaio, "negativi" e punti di partenza per la realizzazione delle scarpe. Scarpe, tuttavia, che sono solo evocate e che non permettono di avanzare, perché in realtà non presenti. Assenza dello strumento per spostarsi in Bellomi, muri invisibili in Sala. Un mancato passaggio dell'uomo?
Come in una natura morta, dalla vita silenziosa, l'artista raduna le sagome in legno delle scarpe e le dispone con lievi variazioni vicino ai dodici pani. Questi ultimi, dipinti di bianco, presentano sottili differenze fra volumi e forme, sebbene questo "velo" monocromo li uniformi e ne blocchi la lievitazione.
Se il cammino è cambiamento e porta con sé un potenziale di metamorfosi interiore, anche il pane è simbolo di tale alterazione, prodotto dell'uomo e risultato di più ingredienti che lo fanno diventare altro. Per quanto l'artista lo definisca come: «paragonabile al simbolico divenire dell’Uomo», ne inibisce il desiderio di trasformazione.
Il pane quotidiano dell'installazione non è spezzato, bensì rimane rigido dinanzi a noi, l'artista sceglie di "congelarne" dodici, fermandone il tempo e cristallizzandone la forma.
Questo velo di gesso sembra voler conservare il pane, dalla parvenza inalterabile, nasconde invece, un fermento sotteso, silenziosamente presente. Il pane è, infatti, materia da plasmare e modellare, materia a cui dare una struttura e un carattere attraverso la lievitazione e la scelta delle farine. Deperibile e vulnerabile per natura, si modifica in maniera incessante, alla stregua di un processo creativo in divenire. Dall'elevata carica simbolica, il pane è cibo essenziale per molte culture, nutrimento tra i più sacri e allegoria della vita, altresì metafora della crescita dell'individuo, della relazione con gli altri e stratificazione di senso, da quello socio-economico a quello politico, sino alla brama di possesso.
L'apparente incorruttibilità e stasi dell'installazione di Bellomi, smuove in noi una domanda:
affrontando l'inerzia, si è in grado di far rinascere il desiderio di cambiamento?
Sala e Bellomi compongono una narrazione rigorosa e aperta alle interpretazioni degli spettatori, ove performance e installazione dialogano in maniera sinergica. Tentano di raccontare il presente come un territorio instabile, ancora indefinito, quasi passivo: una polifonia di significati per creare un terreno di riflessione comune e immaginare la nuova società.
Carnago (VA) Chiesa San Rocco, Via Italia
14 ottobre – 22 ottobre
evento fb
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