RITENGO CHE SIA DOVERE DI CHIUNQUE E A MAGGIOR RAGIONE DI NOI ITALIANI, FARE DI TUTTO PER PROMUOVERE, SALVAGUARDARE E DIVULGARE L'ARTE IN TUTTE LE SUE ESPRESSIONI.
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mercoledì 22 febbraio 2017

Basquiat con gli occhi di Leo. Antonio Leo

Della mostra al MUDEC di Jean-Michel Basquiat vi ho già più volte relazionato (vedi ad esempio http://lastanzaprivatadellarte.blogspot.it/2017/01/a-milano-per-jeanmichel-basquiat-al.html).

In questo caso però non sarò io a farlo ma l'amico, e appasionato d'arte, Antonio Leo, che già in altre occasioni ha prestato la sua penna a questo Blog...



 
JEAN-MICHEL BASQUIAT / MILANO
di Antonio Leo


La percezione ovattata del MUDEC è al tempo stesso sia completamente spazzata via che inchiodata dal colore e dalle superfici utilizzate da JMB nelle sue opere, in un autentico contrasto con la realtà.
Siamo a Milano, ora, nel 2017. E questo JMB è anche nostro. E’ il JMB di Francesco Clemente e specialmente di Sandro Chia che nel 1981 lo suggerì alla Galleria Emilio Mazzoli di Modena, per la sua prima personale, e le opere esposte, benché di un periodo diverso, restano di una autenticità tribale e graffitara tangibile, primitiva, religiosa e quasi infantile, che fa divenire la realtà stessa -per quanto possa sembrare impossibile- più distante.
La nuvola creata dalla struttura è solo un ricordo, l’essere accolti in pareti lucide dai rilassanti confini, protettive spirali di jet-set di una scala che accompagna in ingressi in luci neon rosa giallo verde, è il preludio ad un allestimento lineare con un percorso cronologico di poche sezioni che cercano, trovandola, armonia fra forme di tele irregolari, materiali di recupero, assi di legno, chiodi e schegge metalliche.
Restiamo smascherati da una orchestra di colori disorganizzata, in via di cambiamento continuo, una porta appoggiata al pannello che rievoca pareti di scantinati e garage, in una ottica di trasmissioni de-sintonizzate melodicamente generate da apparecchi mal-funzionanti. Lo schermo monitor TV argento brillante a far luce, con cadenze-scadenze immaginarie, in impianti, in cavi elettrici di visioni comics & cartoons di serie di maiali, conigli e armi da fuoco. Un movimento di affinità con un pensiero mutevole da animale distratto da rumori, suoni e melodie lontane. L’animale-uomo confuso fra simboli, parole veloci, tratti decisi ma mutanti. L’animale-essere curioso, attento, percettivo. L’animale braccato in una società nel quale è ospite, sgradito, incompreso, negro, rabbioso, in tentativi di uscirne, in grida lanciate di uguaglianza, violenza, in risposte senza un piano predefinito, come attacchi si frontali ma da agguati, da rivendicazioni di un sangue che comunque deve scorrere per assopire quanto ingiustamente subìto, tra media cementificati in buone abitudini dentro comodi alloggi.
La prima sala, con le opere dal 1980 al 1987, propone il JMB di NY e delle sue amanti, la NY di Into the groove(y) di Madonna, canzone riproposta due anni dopo in una de-costruzione e de-iconizzazione da Thurston Moore e Kim Gordon dei Sonic Youth, in un progetto nato sotto lo pseudonimo Ciccone Youth, con ospiti del rango di Mike Watt. Brano/traccia che trasforma un pop in un non pop-ular, un catarifrangente dello stile sonico da Confusion in Next / Confusion is Sex, omaggio sia al mondo e alla cultura predominante che all’ underground, al noise. Un allineamento perfetto di ripetizioni ghettizzate e divinizzate come nei dipinti di JMB ma allo stesso tempo irrise a imperfezioni, sbagli, errori, cancellature, dove le sovrapposizioni e le cancellature restano però visibili, sottopelle come sottosuolo.
Opportuna la scelta della video intervista: non all’inizio, ma alla fine dell’esposizione pittorica principale. Videocamera, inquadratura fissa. Risultato: l’aspettativa è disattesa. La rabbia presente nelle sue opere lascia lo spazio alla timidezza, alla semplicità, una calma che abbraccia inconsapevolmente un immaginario che di fatto è capovolto. Le domande si susseguono, creano dubbi e distrazione, mancanza di riferimenti. L’obiettivo è centrato. Evitiamo l’audio guida (alla quale avremo preferito un buon guardaroba..) per non restare influenzati in giudizi che vorremo –forse, e con i nostri tempi, sicuramente dopo l’aperitivo- conoscere solo dopo, desiderando un approccio di fronte alle opere senza indirizzi, senza analisi critiche, né tesi di studiosi e intellettuali dalle frasi belle e vuote, da ricerche nevrotiche dei troppi significati.
Siamo ora nella seconda sezione, L’esposizione da luminosa in spazi aperti dai soffitti altissimi si spinge in una sala buia con pannelli neri dai faretti concentrati su disegni meramente anatomici -tratti dai testi di Henry Gray- su cartoncino nero e tratto bianco, per poi arrivare a splendide ceramiche scintillanti di piatti bianchi dove, con poche linee e un elemento contraddistintivo, sono raffigurati in evidenziatori amici, artisti e personaggi del mondo di JMB.
Ed ecco, come finale, il lavoro delle Collaborations Warhol / JMB. Torna la luce, la sala riacquista i suoi spazi, e, come nel loft della Factory, prende una nuova prospettiva, un nuovo angolo di studio e visione. Nell’intervista JMB descriveva il lato scherzoso, ludico, divertente della personalità di W, non un solo riferimento alla sua fragilità e insicurezza, quasi come a proteggere anche se stesso, la sua intimità, da un pubblico che non conosce, che è distante, come da distaccarsi da uno sfruttamento commerciale di mercanti-compratori, in cerca di fama $ e affari. Una collaborazione che diviene gioco e improvvisazione, lasciando che sia la star W ad iniziare nella realizzazione delle opere, quasi gesto reverenziale, quasi un tributo, una forma di venerazione sincera al W boy genius stilizzato nel piatto di porcellana.
Improvvisazione che interessa tutte le arti, non solo la pittura e la musica. Sempre nel video JMB fa riferimento alla scrittura di William Burroughs, il beat lontano dai beat, il sofisticato della scrittura creativa, del cut-up di un The ticket that exploded, /del quale, personalmente, ho sempre adorato l’incipit:
E’ un lungo viaggio. Siamo i soli passeggeri. Ed è così che siamo arrivati a conoscerci così bene che il suono della sua voce e la sua immagine fluttuante sopra il magnetofono mi sono altrettanto familiari che il movimento dei miei intestini il rumore del mio respiro il battere del mio cuore. Non è che ci amiamo o nemmeno che ci piacciamo. In realtà il delitto non è mai lontano dai miei occhi quando lo guardo. E il delitto non è mai lontano dai suoi occhi quando lui mi guarda.”/
Il WB splendido visionario uxoricida attore di un reale estremo Guglielmo Tell impazzito in un gioco scappato di mano, in un dirupo, uno dei tanti, di una vita in bilico per 83 anni.
La vita a JMB invece scappò via a 27 anni, con un timer inquieto pronto a spengersi nel silenzio anziché deflagrare. L’abbandono del ring, quasi con disinteresse verso tutto. Ma quel tutto resta in una generazione che ha attinto a lui, con fame, voracità, ma anche rispetto, in questa postuma (auto)celebrazione della corona.
A Milano, al Mudec, questo è l’ultimo week end.

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