VENERDI 4 MARZO ALLE ore
16.00
Università degli Studi
di Bologna
presso l'Aula 6 del
Dipartimento delle Arti, Complesso di Santa Cristina,
Piazzetta Morandi 2, BOLOGNA
"QUESTO è IL MIO CORPO"
Incontro con gli artisti
GIOVANNA LACEDRA e NICOLA FORNONI
che presenteranno il
proprio percorso artistico-performativo
agli studenti e al
pubblico che vorrà liberamente partecipare.
Ingresso gratuito.
L'appuntamento è all'interno del QUARTO CICLO
DEGLI INCONTRI SUL CONTEMPORANEO organizzati e curati da Mona Lisa Tina e Stefano Ferrari
in collaborazione con PsicoArt e il Gruppo di Psicologia e Arte
Contemporanea della
International Association for Art and
Psychology - Sezione di Bologna.
QUESTO E’ IL MIO CORPO: L’ESTETICA DEL DONO NELL’AZIONE
PERFORMATIVA.
“Prendete, questo è il
mio corpo”
Giovanna Lacedra (Venosa [PZ], 1977) e Nicola Fornoni
(Brescia, 1990) sono due artisti visivi che hanno scelto il corpo come
strumento e linguaggio, come mezzo espressivo e narrazione. Il corpo come voce,
capace di veicolare più messaggi attraverso l’azione comportamentale e la
performance. Per entrambi l’azione performativa – seppur studiata, progettata,
organizzata, pianificata e provata – è sempre esperienza autentica. Secondo
Giovanna Lacedra la performance non è mai finzione, è piuttosto un momento di verità donata
attraverso l’azione. Similmente, Nicola Fornoni
considera la performance come un evento della vita; un minuto, un
secondo, un attimo che può essere la vita stessa. Partendo da questa comune
visione, il corpo non può che essere sentito, vissuto, donato come vero e
reale, nella carne e nelle emozioni. Durante un’azione il corpo è tutto ciò che
l’artista è ed è tutto ciò che l’artista ha da offrire. L’azione è quindi il
solo modo che l’artista ha per donarsi all’altro, mettersi in relazione con
l’altro, arrivare all’altro, ed infine, diventare “l’altro”. Un corpo che entra
in connessione, che diventa corpo del fruitore, quando questo è empatico. Un
corpo che diventa innumerevoli corpi dal momento che esplicita, denuncia,
confessa questioni che, pur avendo una radice autobiografica, riguardano la
collettività. Il vissuto personale viene esposto e universalizzato. Diventa
anche esperienza dell’altro. Il corpo agisce spogliando una verità dal silenzio
in cui era relegata. Si offre come materia di quella verità.
“Questo è il mio
corpo” è certo una nota frase liturgica. Nel Vangelo secondo Matteo, Cristo
la pronuncia mentre spezza il pane per “offrirlo”. E quel pane allora non è più
semplice cibo: è dono, sacrificio, è offerta di sé. “Prendete, questo è il mio corpo”. Prendetemi. Prendete la parte di
me che vi offro. Il corpo che sacrifico per voi. Ma “questo è il mio corpo” può anche essere un’affermazione di sé. L’attestazione
della propria presenza, della propria consistenza, della possibilità di essere
e di esserci nel modo in cui si è, nella carne di cui si è fatti,
nell’apparenza che ci rende visibili, nella sostanza che ci restituisce
all’altro come toccabili e appetibili. Nella forma, appunto, in cui si sta. Ti
mostro il mio corpo, per mezzo di lui ti racconto chi sono. Per mezzo di lui
riceverai un po’ di me e scoprirai un po’ di te. Come un testo, espongo il mio
corpo e il suo agire perché tu possa comprendere e scoprire ciò che ti
attraversa, mediante ciò che ha attraversato me. Perché il corpo è un bicchiere
che contiene il mare. E lo confina per poi poterlo, goccia a goccia, elargire.
Giovanna Lacedra,
partita da una formazione artistica accademica, grafica e pittorica, ha iniziato ad usare il corpo come linguaggio
nel 2011, partecipando a progetti performativi di altri artisti, fino al giorno
in cui ha considerato la propria personale esperienza come serbatoio al quale
attingere. L’autobiografismo si è fatto partenza di un percorso intimo,
spirituale e artistico. Ma anche tattile e corporeo, dal momento che da un
corpo – il suo – che aveva per anni martirizzato, è poi ripartita, per creare.
Perché alla fine di ogni storia, è nella ferita che si va a cercare la vita più
profondamente, per trasformare in risorsa ciò che ci aveva nientificati. Il
corpo risorge e dimostra di essere “questo corpo” ovvero “questa vita”. È cosi
che nasce Io Sottraggo, la prima
performance ideata, scritta e portata in scena da Giovanna Lacedra in musei,
gallerie d’arte, fiere e spazi espositivi per ben 14 tappe sino a giugno 2015.
Una performance-confessional completamente autobiografica sulla patologia
anoressico-bulimica, sull’ossessività autistica che inquina e nullifica la
vita, l’anima, le relazioni di chi ne è vittima, portando il corpo all’autoannientamento,
ad un’invisibilità che in troppi casi porta alla morte. E tutto questo per
gridare e presentificare il vuoto che ci divora da dentro. “Questo è il mio corpo” sibila l’artista all’orecchio di ogni
visitatore, quando gli si avvicina con una forma di pane sbrandellata e
scavata. Quella forma di pane rotta, svuotata della sua mollica, è ciò che
resta di una feroce crisi bulimica inscenata pochi minuti prima durante la
performance. Perché il corpo di un’anoressica-bulimica è il risultato di una
devastazione, ed è spaccato, svuotato, lacerato, esattamente come il pane che
divora e poi rifiuta. Il pane è il corpo dell’anoressica-bulimica affamato
d’amore ma sbranato dalla sua stessa fame. E allora prendete, prendete e
mangiatene tutti. Prendete e mangiatemi tutti. Questo è il mio corpo: ciò che
resta di me. Io Sottraggo è una
performance completamente autobiografica, in cui uno specchio, una bilancia (la
vera bilancia sulla quale l’artista ha per lunghissimo tempo pesato il valore della
propria vita) le foto del suo corpo nudo nel periodo più grave dell’anoressia e
le 100 pagine dei suoi diari personali, costituiscono l’istallazione-scenario
in cui avviene l’azione, per una durata di circa 30 minuti. Giovanna Lacedra ha
usato il proprio corpo, esposto in carne viva e nuda verità, per narrare di una
patologia che l’ha personalmente riguardata, ma anche per presentificare una
fame più grande e che non attanaglia soltanto chi cade nella trappola dei
disturbi alimentari. La fame d’amore, di contatto, di autentica accettazione di
sé e dell’altro è infatti il fil rouge che lega tutti i suoi progetti
performativi, dall’Aspirante, in cui
il corpo presentifica l’alienazione dettata da una sudditanza in luogo di una
relazione amorosa, a Come il mare in un
bicchiere in cui il corpo somatizzante è la gabbia stessa di un’anima
incapace di fluire verso la vita.
Nicola Fornoni
parte dal presupposto che ciò che
siamo dipenda dal rapporto che instauriamo con noi stessi e con l’altro. Da tre
anni lavora in ambito performativo e visivo e durante questo periodo ha vissuto
una forte evoluzione nella percezione di sé e del proprio corpo, sia da un
punto di vista concettuale che estetico, esperendo una sorta di trasformazione da bozzolo in farfalla. Non a caso
la sua prima performance si intitolava “Rinascita”.
Rinascere per Nicola è un
passaggio fondamentale della sua evoluzione spirituale e umana. La sua
particolare condizione lo ha più volte portato a rasentare la morte per cause
diverse. Ha dovuto sentire il proprio corpo in maniera particolarmente intensa.
E certamente, dopo il frangente più nero e spaventoso, le ceneri hanno visto
riaffiorare una fenice. “Questo è il mio
corpo” è allora la dichiarazione di
un corpo che vuole ri-manifestarsi e rinascere, anche allo sguardo dell’altro.
Non è quindi casuale l'introduzione, nelle azioni performative, di materiale
ospedaliero, test clinici, sostanze organiche. Ad esempio, in Aritmia la variazione dei battiti
cardiaci viene vissuta come variazione all'interno di una composizione e
segnalata dal monitoraggio di elettrocardiogrammi. La macchina legge ciò che il
corpo dice, ma può decifrarne le emozioni?
Tutti questi elementi introdotti vanno, però,
letti ad un altro livello: sono metafore che vogliono ricondurre il fruitore a
vibrazioni spirituali, più intime. Nicola è consapevole del fatto che il suo
corpo ha un'estetica piuttosto definita. Visivamente, questa estetica potrebbe
essere riconducibile all’idea di stigma. È un’estetica che rischia di essere
stimmatizzata. E per questa ragione, nelle sue azioni c'è sempre la volontà di
ricerca di un perfetto equilibrio tra diversità e bellezza, particolarità e
dolcezza, durezza e delicatezza. Le tematiche del desiderio, del bisogno, della
necessità di godimento si intrecciano con quelle della sofferenza, del dolore,
del limite e della barriera. Il nostro corpo è sacrificio per l'altro e per noi
stessi. “Questo è il mio corpo” ,
ovvero, tutto ciò che posso donarti. Questo corpo è tutto me stesso. È
portatore del mio vissuto ingombrante. E lo offro con sacrificio e passione.
Nicola utilizza anche il sangue nelle sue performance. Ma il suo utilizzo non è
sempre ricondotto alla sofferenza, così come gli aghi, che non sono da lui
concepiti come strumenti masochistici bensì come simboli di un passaggio –
trasfusione – tra esterno ed interno o interno ed esterno. Nella performance In vino veritas, ad esempio, un
prelievo di sangue fatto a Nicola e alla sua partner sancisce un legame
indissolubile nel tempo, un dono vitale. Il passato non si dimentica. Rimane ci
turba, ci segna, ci schiaccia. Eppure l’arte – e il corpo nell’arte – è li per
raccontarlo e sublimarlo
Sia Giovanna
Lacedra che Nicola Fornoni, partono dal proprio corpo e dal proprio vissuto per
giungere ad elaborare le azioni performative che portano in scena. Le tracce
mnemoniche incise nella carne sono il solo percorso da seguire per arrivare
all’altro e parimenti a se stessi.
Testo di Giovanna Lacedra e
Nicola Fornoni
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