A settembre, a Cagliari, quattro giovani talentuosi sotto l'attenta guida di Roberta Vanali per una mostra di alto profilo estetico e concettuale... non poteva essere altrimenti!
IL GIORNO DEL GIUDIZIO a cura di Roberta Vanali
EXMA' - Mostre ed Eventi
Via San Lucifero 71, 09125 Cagliari
dal 6 settembre alle ore 18.30 fino a 23 settembre alle ore 21.30
Artisti: SILVIA ARGIOLAS, NICOLA CAREDDA, PAOLO PIBI, DANIELE SERRA
"Per conoscersi bisogna svolgere la propria vita fino in fondo, fino al
momento in cui si cala nella fossa. E anche allora bisogna che ci sia
uno che ti raccolga, ti risusciti, ti racconti a te stesso e agli altri
come in un giudizio finale" (1). Senza via di scampo, l’uomo si ritrova
suo malgrado ad affrontare la vita con un destino già segnato, gettato
nel mondo per parafrasare Heidegger, temendo la sofferenza ma ancor più
la morte, la p
iù grande angoscia dalla
quale fuggire. La morte, unica certezza, unico punto fermo
dell’esistenza, "la più terribile fatalità biologica" (2), poichè vita e
morte sono condizioni della medesima realtà e del medesimo essere.
Nonostante il perenne desiderio di immortalità il tempo passa e più ci
si avvicina ad essa, in un conto alla rovescia inevitabile, più la si
nega. Malgrado ciò la morte è un divenire naturale. Chi è nato deve
anche morire e questa è una realtà concreta che non può annullare
l’essere stati al mondo, perchè il non essere per definizione non
esiste.
Ne "Il giorno del giudizio", Sebastiano Satta s’interroga sul senso della vita, sulla caducità dell’esistenza e lo fa attraverso la morte. Il senso della vita che domina e ritorna quando con la memoria si concede alle anime di rivivere per non cadere inesorabilmente nell’oblio. Perciò i defunti implorano il ricordo, un momento per commemorare la loro vita e giungere al giorno del giudizio, positivo o negativo che sia, chiamati a raccolta "per liberarsi in eterno della loro memoria" (3).
Epico e visionario - definito da George Steiner "uno dei capolavori della solitudine e della letteratura moderna" -, si svolge in uno scenario cupo e inquietante per indagare la dimensione esistenziale tra il tempo che scorre e l’immobilità dell’eterno, il breve e faticoso viaggio nel tempo di ciò che noi chiamiamo vita, tra luci e tenebre, vittime e carnefici, bene e male. Un lugubre affresco dallo sfondo apocalittico che da una parte contempla il ricordo perenne dall’altra la fugacità dell’esistenza. Ma la morte è eterna ed effimera non solo per gli uomini ma anche per le cose: "in casa sua non era mai entrato un giocattolo, se non fosse qualcuno per le bambine morte, ed era morto con esse" (4). Perchè la vera e sola storia non siamo noi e ciò che ci circonda, la vera storia è il giorno del giudizio e l’unico peccato è quello di essere vivi: "in questo remotissimo angolo del mondo, da tutti ignorato fuori che da me, sento che la pace dei morti non esiste, che i morti sono sciolti da tutti i problemi meno che da uno, quello di essere stati vivi" (5). Un giudizio finale, quello di Satta, da interpretare, che potrebbe essere il trionfo della vita ma anche il trionfo della morte e che induce a domandarsi se ci sia più speranza nelle tragedie dei vivi o nella solitudine dei morti. Mentre il tempo scorre impietoso e l’eternità regna immobile.
Roberta Vanali
1 Salvatore Satta, Il giorno del giudizio, Adelphi, Milano, 2009, pp. 291, 292.
2 Edgar Morin, L’uomo e la morte, Meltemi Editore, Roma, 2002.
3 Salvatore Satta, Il giorno del giudizio, Adelphi, Milano, 2009, p. 103.
4 Op. cit., p. 64.
5 Op. cit., p. 102.
Ne "Il giorno del giudizio", Sebastiano Satta s’interroga sul senso della vita, sulla caducità dell’esistenza e lo fa attraverso la morte. Il senso della vita che domina e ritorna quando con la memoria si concede alle anime di rivivere per non cadere inesorabilmente nell’oblio. Perciò i defunti implorano il ricordo, un momento per commemorare la loro vita e giungere al giorno del giudizio, positivo o negativo che sia, chiamati a raccolta "per liberarsi in eterno della loro memoria" (3).
Epico e visionario - definito da George Steiner "uno dei capolavori della solitudine e della letteratura moderna" -, si svolge in uno scenario cupo e inquietante per indagare la dimensione esistenziale tra il tempo che scorre e l’immobilità dell’eterno, il breve e faticoso viaggio nel tempo di ciò che noi chiamiamo vita, tra luci e tenebre, vittime e carnefici, bene e male. Un lugubre affresco dallo sfondo apocalittico che da una parte contempla il ricordo perenne dall’altra la fugacità dell’esistenza. Ma la morte è eterna ed effimera non solo per gli uomini ma anche per le cose: "in casa sua non era mai entrato un giocattolo, se non fosse qualcuno per le bambine morte, ed era morto con esse" (4). Perchè la vera e sola storia non siamo noi e ciò che ci circonda, la vera storia è il giorno del giudizio e l’unico peccato è quello di essere vivi: "in questo remotissimo angolo del mondo, da tutti ignorato fuori che da me, sento che la pace dei morti non esiste, che i morti sono sciolti da tutti i problemi meno che da uno, quello di essere stati vivi" (5). Un giudizio finale, quello di Satta, da interpretare, che potrebbe essere il trionfo della vita ma anche il trionfo della morte e che induce a domandarsi se ci sia più speranza nelle tragedie dei vivi o nella solitudine dei morti. Mentre il tempo scorre impietoso e l’eternità regna immobile.
Roberta Vanali
1 Salvatore Satta, Il giorno del giudizio, Adelphi, Milano, 2009, pp. 291, 292.
2 Edgar Morin, L’uomo e la morte, Meltemi Editore, Roma, 2002.
3 Salvatore Satta, Il giorno del giudizio, Adelphi, Milano, 2009, p. 103.
4 Op. cit., p. 64.
5 Op. cit., p. 102.
Nessun commento:
Posta un commento