Dopo qualche mese ecco calda, calda un'altra perla da parte del "inviato speciale" Antonio Leo, che questa volta si cimenta, e lo fa con grande "saper fare" sulla LAND ART...
Land Art
Antonio Leo |
Land Art
LAND ART, con troppi motivi o con nessuno. Capita spesso. Rubo una visione aerea per apprezzare / capire, rubo subito una frase di Repetto “l’elicottero sembra fatto molto più per cadere che non per volare” mettendo in discussione tutto e cambio l’immagine di copertina. Un intervento sul territorio, un territorio site che
magari per secoli è come era e che ora non lo sarà più, ormai
contaminato, utilizzato, violentato (ma protetto), preso come sfida, uno
spazio disponibile infinito, mutevole. Ma allo stesso tempo bloccato
per il tempo della realizzazione dell’opera -perché di opera trattasi
come un Botticelli, un Van Gogh, un Picasso - e poi lasciato libero di
re-intervenire, con il passare del tempo, nel ri-appropriarsi del suo
io, dei suoi agenti, del suo body/head , di questo flusso materiale e vitale di elementi, uccidendo il concetto stesso di ir-reversibilità.
Abbandono lo show, lo spazio espositivo, il set con luci atmosfere proiezioni riflettori studiati, abbandono a malincuore anche il vernissage con buffet, prosecco, figa, sorrisi, strette di mano, chi cazzo sarà quella? e mi spingo oltre, dalla comoda decorazione-icona pop passo alla non-icona site. Non mi serve una colonna sonora, niente di impostato, niente di perfetto, fermo, equilibrato, equidistante.
E la spinta me la regala Lee Ranaldo, che di regali a sua insaputa me ne ha fatti tanti come storica voce/chitarra/(rumore)/ (suono) degli ormai sciolti Sonic Youth che nel suo diario road movies
(casa editrice quarup collana bad lands) nel tour 1983 passa vicino
Essen nei Paesi Bassi, in piena notte, e DEVE fermarsi a vedere il broken circle
di Robert Smithson, unica opera del land artist americano realizzata in
europa, anno 1971. Io non ero nato. Botticelli, Van Gogh, già morti.
Picasso stava pensandoci più o meno seriamente.
La descrizione del site è disarmante ma ancor di più lo è la dis-locazione:
“la luna coperta dalle nuvole, c’è poca luce, una foschia che confonde il buio, si distinguono appena i contorni, i contrasti di colore. Il cerchio stava sparendo, il canale d’acqua sembrava ancora intatto quasi del tutto, il grosso masso centrale sempre in piedi, a reclamare il proprio spazio. Il piccolo pontile era completamente sommerso. Abbiamo sentito la bellezza in deterioramento, la fine di tutto, ritorno, ritorno, ritorno, parliamo di verità che si deteriorano naturalmente con il tempo, consumate dal sole e dalla luna, dalle maree. Il tempo è fermo e lo sappiamo, eppure il tempo ci sta tutto intorno, una nebbiosa radiosa corrente in cui annaspiamo. I cambiamenti che arrivano vengono dall’aria rarefatta. Vogliamo, amiamo e odiamo, digrigniamo i denti contro le rocce, decisi a non lasciare la precedenza. Non è chiaro se possiamo lasciarla, distruggere la tensione di superficie del mare. Così ci sentiamo sollevati. Armati e sganciati, trascinati sotto. Blu fresco. Al riparo. Crediamo. Ci arriviamo. Afferriamo e scappiamo.”
Robert Smithson. Il non avere, il non poter collezionare, il non poter incorniciare, appendere, illuminare, proteggere scombina le idee, toglie serenità, rovina il piano, non lascia vie di fuga. Ma non cambia il concetto di EMOZIONE. La scoperta del luogo, la distanza & il viaggio on the road, km che ti separano dell’opera, l’immaginarsi l’intervento finalmente vedendolo dal vivo, non più in fotografia, la voglia di esser già lì, traguardo di un processo stile Christo & Jeanne-Claude (senza culminare nel pack & wrap) di accumulo documentazione di progetti, ritagli, foto, filmati, impianti, grafici, collages, registrazioni, appunti (quanto sono belli gli appunti ??!! i tratti pensati e ri-pensati cancellati a penna, uccisi, ri-scritti scritti meglio o peggio, cambiando solo una frase, esaltando una parola che ti viene in mente nel cuore della notte) fino ai materiali dei non sites, esposti, prove viventi dell’esistenza dei sites, flussi, linfa vitale. Ammettere la forza della natura, la nostra fragilità. Il non poter cambiare niente per sempre.
Ok.
Guardo Ryanair se mi butta vicino Essen.
SEMPLICE, solo un nuovo regalo.
Abbandono lo show, lo spazio espositivo, il set con luci atmosfere proiezioni riflettori studiati, abbandono a malincuore anche il vernissage con buffet, prosecco, figa, sorrisi, strette di mano, chi cazzo sarà quella? e mi spingo oltre, dalla comoda decorazione-icona pop passo alla non-icona site. Non mi serve una colonna sonora, niente di impostato, niente di perfetto, fermo, equilibrato, equidistante.
E la spinta me la regala Lee Ranaldo, che di regali a sua insaputa me ne ha fatti tanti come storica voce/chitarra/(rumore)/
La descrizione del site è disarmante ma ancor di più lo è la dis-locazione:
“la luna coperta dalle nuvole, c’è poca luce, una foschia che confonde il buio, si distinguono appena i contorni, i contrasti di colore. Il cerchio stava sparendo, il canale d’acqua sembrava ancora intatto quasi del tutto, il grosso masso centrale sempre in piedi, a reclamare il proprio spazio. Il piccolo pontile era completamente sommerso. Abbiamo sentito la bellezza in deterioramento, la fine di tutto, ritorno, ritorno, ritorno, parliamo di verità che si deteriorano naturalmente con il tempo, consumate dal sole e dalla luna, dalle maree. Il tempo è fermo e lo sappiamo, eppure il tempo ci sta tutto intorno, una nebbiosa radiosa corrente in cui annaspiamo. I cambiamenti che arrivano vengono dall’aria rarefatta. Vogliamo, amiamo e odiamo, digrigniamo i denti contro le rocce, decisi a non lasciare la precedenza. Non è chiaro se possiamo lasciarla, distruggere la tensione di superficie del mare. Così ci sentiamo sollevati. Armati e sganciati, trascinati sotto. Blu fresco. Al riparo. Crediamo. Ci arriviamo. Afferriamo e scappiamo.”
Robert Smithson, Spiral Jetty, 1970 |
Robert Smithson. Il non avere, il non poter collezionare, il non poter incorniciare, appendere, illuminare, proteggere scombina le idee, toglie serenità, rovina il piano, non lascia vie di fuga. Ma non cambia il concetto di EMOZIONE. La scoperta del luogo, la distanza & il viaggio on the road, km che ti separano dell’opera, l’immaginarsi l’intervento finalmente vedendolo dal vivo, non più in fotografia, la voglia di esser già lì, traguardo di un processo stile Christo & Jeanne-Claude (senza culminare nel pack & wrap) di accumulo documentazione di progetti, ritagli, foto, filmati, impianti, grafici, collages, registrazioni, appunti (quanto sono belli gli appunti ??!! i tratti pensati e ri-pensati cancellati a penna, uccisi, ri-scritti scritti meglio o peggio, cambiando solo una frase, esaltando una parola che ti viene in mente nel cuore della notte) fino ai materiali dei non sites, esposti, prove viventi dell’esistenza dei sites, flussi, linfa vitale. Ammettere la forza della natura, la nostra fragilità. Il non poter cambiare niente per sempre.
Ok.
Guardo Ryanair se mi butta vicino Essen.
SEMPLICE, solo un nuovo regalo.
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