RITENGO CHE SIA DOVERE DI CHIUNQUE E A MAGGIOR RAGIONE DI NOI ITALIANI, FARE DI TUTTO PER PROMUOVERE, SALVAGUARDARE E DIVULGARE L'ARTE IN TUTTE LE SUE ESPRESSIONI.
UNA SOCIETA' DISTRATTA SUI FATTI DELL'ARTE E' UNA SOCIETA' VOTATA ALL'IMPOVERIMENTO... E NOI, DA QUESTO PUNTO DI VISTA, LO SIAMO GIA' ABBASTANZA!






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domenica 2 febbraio 2014

Scultori a Confronto: Guido Moretti, Ignazio Fresu

 
 
Scultori a Confronto: Guido Moretti, Ignazio Fresu
Inaugurazione: martedì 4 febbraio ore 19.00

Periodo: 04 02 2014 > 05 04 2014


ARTEGIOIA107

Via Melchiorre Gioia, 107

Milano


Possiamo dire che Fresu riporti alla luce, con i suoi recuperi archeologici, antiche fasi creative di un mondo ormai corroso dal tempo, facendoci riflettere sullo stato mutevole delle cose e mostrandoci, in chiave poetica, il disfacimento cui l'erosione e l'abbandono portano.

Nelle "installazioni", appare molto evidente l'impermanenza delle cose e in ultima analisi dell'uomo stesso.

Possiamo notare come il passare del tempo renda tutto ciò che ci circonda effimero e fugace.

Iniziare a parlare delle sculture di Guido Moretti è come inoltrarsi in uno spazio, o meglio in un iperspazio, in cui la geometria svolge le sue trame producendo oggetti artistici meravigliosi che, accanto ad un estremo rigore formale, ci fanno toccare prodotti estetici in cui sempre emerge una bellezza razionale.


Silvano Battistotti

sabato 1 febbraio 2014

Corrado Zeni - Atlas



Corrado Zeni - Atlas
6 febbraio 2014
Guidi&Schoen
VIco Casana 31r, 16123 Genova


La galleria Guidi&Schoen è lieta di annunciare l’inaugurazione di Atlas, la nuova personale di Corrado Zeni, che si terrà negli spazi genovesi a partire dal prossimo 6 febbraio.
Nei nuovi lavori l’artista ha abbandonato il suo abituale modello concettuale, le pratiche controllate, la parte più razionale dell’indagine pittorica per fondere, quasi oniricamente, ricordi, emozioni, disordine e sensazioni accumulate negli ultimi anni di vita e di viaggi.
Zeni inizia ora a dipingere senza un vero bozzetto preparatorio e le idee prendono forma mescolandosi direttamente sulla tela. Ripensa la pittura nel momento in cui essa prende corpo concedendosi infinite possibilità grazie a una libertà di espressione più fluida, quasi irrazionale, che scivola nell’inconscio senza controllo.
Nelle opere di grandi dimensioni bande e strisciate di colori s‘impastano e si sovrappongono e i volumi si moltiplicano creando piani spaziali e temporali sfalsati. Tensione intellettuale e senso di abbandono coesistono in questa nuova pratica pittorica che sembra ridefinire i suoi stessi meccanismi interni.
L’artista ci racconta dinamiche relazionali complesse attraverso un personale e raffinatissimo nuovo alfabeto. I soggetti di Zeni, a lungo senza precisa collocazione, hanno finalmente trovato uno spazio da abitare. Personaggi in cerca di una scena più che di un autore, hanno ora un’inedita unità narrativa tutt’attorno. L’equilibrio sembra tuttavia instabile, in bilico tra atto e potenzialità, presenza e ricordo.
Come un atlante, la nuova mostra di Zeni raccoglie storie, percorsi, tracciati dell’uomo contemporaneo.


Maurizio Ruzzi “MY LIFE:ART AND MUSIC” a cura di Marisa Vescovo

 
 
MAG
presenta

Maurizio Ruzzi
“MY LIFE:ART AND MUSIC”

A cura di Marisa Vescovo
Con il Patrocinio dell’Associazione Luigi Russolo

Sabato 8 febbraio h. 17,00
MAG, Via Vitani 31, Como
dall’8 febbraio al 1° marzo 2014


MAG - Marsiglione Arts Gallery
Via Vitani, 31
22100 Como
Tel:+39 328 7521463
info@marsiglioneartsgallery.com
www.magcomo.it


Il nuovo progetto della MAG, approfondisce il legame tra arte figurativa e musica, tra immagine e suoni e lo fa dando respiro e attenzione ad uno dei più importanti artisti che segue questo binario da tutta la vita: Maurizio Ruzzi. Non dimentichiamo che la galleria cura l’Archivio Luigi Russolo, padre fondatore del Futurismo e della musica noise.
Artista pescarese, diplomato sia al conservatorio che in Accademia, già dal 1979, approda al grande palcoscenico degli eventi internazionali, con una mostra e concerto al Salon des Beaux-Arts di Bruxelles.
Il progetto artistico comprende sculture/istallazioni create con materiali riconducibili alla natura, Madre e Maestra che ha da sempre ispirato e istruito il Ruzzi, a dipinti eseguiti su pentagramma, dove il gesto ed il colore sono saltellanti come note, una serie di piccole opere su carta, dove il segno è dominante come una strofa e l’esplosione di colore come il suo ritornello.
Salvatore Marsiglione
Maurizio Ruzzi.

Miticamente il mondo era in origine di natura puramente acustico-intellettuale, e si è materializzato a poco a poco nell’universo. Materializzandosi parzialmente, le immagini acustiche si trasformarono in immagini che, anche concretamente, hanno iniziato a diventare visibili e tangibili. In tal modo il suono puro andò in parte perduto, ed è nata la materia. Tutto questo, nel tempo, ha portato gli artisti a cercare una liberazione dall’ovvio, dal banale, all’apertura di un orizzonte più ampio ed essenziale. Nel caso di Maurizio Ruzzi il suono nelle sue opere (è un ottimo musicista) si fa pensiero che sopravviene, il quale si profila prima nella mente di quel pensatore che è l’artista, lungo un percorso che non è una catena di cause ed effetti ,ma è piuttosto una prospettiva ricca di echi, richiami, metamorfosi di suoni mentali, che diventano VOCE intrinseca dell’opera. Quell’energia incorporea della ragione, che è il suono, immette in una relazione penetrante con l’energia che è la vita. Le opere a pastello, o tempera di Ruzzi si inverano in un segno che danza nello spazio, si rompe, si arriccia, percorre tracce di pentagrammi, pare acquistare il senso del volo, ma anche una vibrante corporeità, che ce lo rivela non come frammento di linguaggio, ma come segno fremente della materia. Il vuoto intorno diventa cassa di risonanza dell’evento: fa si che la traccia di colore possa farci udire il proprio suono segreto, un’eco sottile dell’Altrove. Quando segni e forme entrano in risonanza con se stessi, il suono che ascoltiamo (senza udire nulla) ci appare nel medesimo tempo indefinibile e preciso, e sembra sul punto di farci camminare verso la verità ultima delle cose.
Ogni volta che cerchiamo di porgere orecchio a questo suono esso si spegne, per riprendere con vigore nella prossima opera.
Sia che Ruzzi costruisca piccole case, con legni usati, sia che adombri zone di paesaggio, sia che faccia danzare il suo segno arricciato, nega l’idea di ornamento, cerca il vuoto, fa spazio, ma gli spazi da lui aperti non promettono nuovo ordine, o nessun nuovo or(di)namento, bensì trova nuovi luoghi possibili, luoghi dove si possa finalmente attendere, sperare, luoghi che possono semplicemente accogliere la nostalgia dell’uomo verso l’innocenza delle origini e in cui esista finalmente lo spazio per far accadere le emozioni, i sentimenti, la verità. Il lavoro dell’artista significa, suono, ascolto del materiale, consente l’autonoma vita dei colori, solari, mediterranei, in modo che essi possano crescere liberamente come l’erba dei prati.
Ogni lavoro crea punti di vibrazione, talora d’ inerzia, che riflettono l’infinito, la nostra astrazione da un mondo che sembra non aver bisogno di noi, ci parla di un tempo veloce, come quello degli eventi e delle storie della vita, le quali precipitano vertiginosamente nella loro fine per poi rinascere. Questi segni che si annodano, o si sciolgono, ci fanno rivivere l’antica vicenda del caos che cerca nervosamente la forma, e ci rimanda al mistero dell’universo, in cui stanno le vere invisibili radici della coscienza. Ruzzi si cala dunque nei territori della “metamorfosi” per intraprendere un VIAGGIO, un’avventura, capace di rivelare, l’infinita ricchezza delle strade da percorrere, il vertiginoso rimescolio delle apparenze, l’apertura del possibile e del nuovo da recepire. Il piacere, la gioia di un suono, la tristezza di un nero, sono gli estremi che definiscono l’ambito di oscillazione di questo lavoro. Certo nella metamorfosi generale del mondo, la materia, proprio perché è un corpo vivente, un corpo con le sue cicatrici da mostrare, diventa ciò che “noi” siamo, l’umanità che ne trasuda è cultura e garanzia dell’autenticità del sentire dell’artista. Ruzzi ci rinnova l’invito ad entrare in un destino aperto fatto di nuova natura e nuovi suoni, in cui i segni sempre molto forti e decisivi non si possono né prevedere, né produrre artificialmente, ma li dobbiamo attendere, ed osservare, ogni volta con grande attenzione. Sappiamo che oggi l’uomo si sottrae alla volontà della natura di tornare ad essere tale, si sottrae a una sorte possibile di vita fluidamente vivibile, per un esigenza errata di comodità di vivere in un mare di consumo, Maurizio Ruzzi preferisce invece essere un uomo ESISTENZIALE, cioè un uomo che ha la possibilità di significare se stesso e la sua creatività nella misura in cui STA e CADE insieme alla natura e agli “altri”, e può condividere il tremito sonoro delle loro emozioni.
Marisa Vescovo.

Nota biografica di Maurizio Ruzzi
Maurizio Ruzzi è nato a Loreto Aprutino (Pe) il 22 settembre del 1954. Si é diplomato presso il Liceo Artistico di Pescara e in questa città abruzzese ha frequentato il Conservatorio "Luisa D’Annunzio" per la scuola di organo e composizione con la professoressa Elisa Luzi. Nel 1978 ha partecipato ai seminari di musica elettronica a Liegi e Bruxelles sotto la guida dei compositori Enrì Pousser e Fredrik Rzewschi. Tornato in Italia si diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna con la tesi “Rapporto fra immagine e suono”.
I viaggi, le conoscenze di illustri personaggi della cultura sono stati per il giovane Ruzzi insegnamento e guida, riflessione e conoscenza di un sapere sempre più vasto e aperto a nuove situazioni culturali.
L’innata passione e la coscienza specifica della Musica l’ha condotto nel tempo a traslare nell’Arte quei segnali trascendentali che solo la creatività di un sensibile artista può e sa donare al mondo della cultura come coscienza e conoscenza del proprio essere.
Un amore a parte, è sempre stato, sin dalla tenera età, per Maurizio Ruzzi, la Natura, Madre e Maestra, che l’ha portato per mano nei territori regali della sua Arte come messaggio spirituale e umano del rispetto dei principi fondamentali che governano l’intero Universo.
Un universo che l’artista rispecchia nelle sue opere in cui la Musica, la Natura e il Disegno si fondono nell’Arte Totale di Maurizio Ruzzi.

Marica Fasoli - Essenza e Presenza



MARICA FASOLI
"ESSENZA E PRESENZA"
Vernissage Domenica 2 FEBBRAIO alle ore 18.00
l'artista interverrà con il critico Alberto D'Atanasio

La mostra è patrocinata dal Comune di San Benedetto Po (MN)
Durata della Mostra: 2 - 23 febbraio 2014



MARICA FASOLI


E' nata a Bussolengo (Vr) nel 1977. Vive e lavora a San Giorgio in Salici (Vr). Dopo aver conseguito nel 1995 il diploma di Maestra d’Arte al Liceo Artistico Statale di Verona sez. Accademia, nel 1997 si specializza in Addetto alla Conservazione e Manutenzione dei manufatti artistici su legno e tela con il massimo dei voti presso gli Istituti Santa Paola di Mantova. Nel 2006 ottiene anche la specializzazione in Anatomia Artistica presso l’Accademia di Belle Arti 'Cignaroli' di Verona.

Dopo i primissimi anni come restauratrice nei quali affina una tecnica di precisione insuperabile dal 2002 si dedica sempre più alla pittura di propria produzione. Dal 2006 concentra la propria espressività e ricerca artistica in ambito figurativo iperrealista, ricerca che l'ha portata negli ultimi anni alla formulazione di due filoni espressivi distinti:

- la 'gente invisibile', ossia camicie/felpe/magliette dove, pur mancando il soggetto fisico, si percepisce la corporalità di chi le indossa, lasciando totale libertà all'immaginazione dell'osservatore relativamente alle emozioni vissute in quel momento da parte del soggetto 'ritratto'. Inoltre, o forse soprattutto, questa ricerca vuole anche spingere alla riflessione sul contrasto tra superficie e contenuto, tra essere ed apparire, e lo vuole fare, ed è questa l’originalità, rappresentando il ‘contenitore’ e non cio’ che contiene.

- il "3D", ossia scatole/cassette postali/imballaggi in genere, dove il contenitore, molto spesso lacerato, rotto, strappato, lascia intravedere oggetti i piu' vari (chitarre, biciclette, giocattoli, ecc.ecc.), in una ricerca dove la rappresentazione iperrealistica e tridimensionale dell'oggetto si fonde con la volontà di suggerire una riflessione sul contenuto stesso dell'opera.

Ha partecipato ed ottenuto riconoscimenti in vari premi e concorsi, esposto in gallerie, arte fiere, Musei e Fondazioni, tra cui: Museo di Santa Giulia a Brescia, Villa Contarini (54ma Biennale di Venezia), Fondazione Matalon a Milano, Museo Internazionale della Musica a Bologna, Palazzo delle Esposizioni Sala Nervi a Torino, Palazzo della Permanente a Milano, Museo Civico Parisi-Valle a Maccagno (Va), Castel Sismondo e Palazzo del Podestà a Rimini, Mambo Villa delle Rose a Bologna, Museo Pecci di Arte Contemporanea a Prato.



L’Anima di questa Mostra vuole essere intesa e divenire oggetto di ispirazione per chi guarda, non solo come Essenza del Divino nell’uomo, ma anche come Presenza dei simboli archetipi che danno vita e voce alla persona interiore. L’Anima è anche la parte più intima e profonda del nostro io che contiene le passioni, gli odi, i sentimenti più profondi e importanti: la fucina delle emozioni, essenze e luogo dove Eros e Psiche, mente e cuore si incontrano dando vita e raffigurazione ai ricordi.

Alberto D’Atanasio
Docente di Storia dell’Arte e Semiologia dei linguaggi non verbali

ZANINI CONTEMPORARY GALLERY
San Benedetto Po (Mantova)

martedì 4 febbraio allo Spazio Tadini....

Il prossimo 4 febbraio, allo Spazio Tadini - Milano, succede di tutto! 
Ben tre mostre inaugurano in contemporanea...


Claudio Lucatelli presenta a Spazio Tadini dal 4 al 26 febbraio 2014 Il vento nel mio giardino

 

Inaugurazione 4 febbraio  2014 dalle ore 18.30 alle 21
Spazio Tadini via Niccolò Jommelli, 24 Milano
Apertura da martedì a sabato dalle 15.30 alle 19
Un artista materico che raccoglie sulla tela stralci di giornali, fotografie, pagine di libri, cellophane e parole, modificando i riferimenti visivi e giocando con la semantica, le forme e i colori. Un modo di fare pittura che focalizza l’attenzione sulla complessità, la confusione e la precarietà di cui soffre l’uomo contemporaneo. Il titolo della mostra prende spunto dal titolo di un suo lavoro: “Il vento nel mio giardino”. Un elemento naturale che più di chiunque altro esemplifica la possibilità di cambiamento casuale delle cose e dell’eventualità di distruggerle.
“E venne il giorno in cui le parole non furono abbastanza e neppure le forme riuscirono a essere e solo i colori sopravvissero, senza coprire le tracce di ciò che accade e fu raccontato”. Se visitare una mostra è come entrare in un racconto questa sarebbe la giusta premessa alla visita nel mondo pittorico di Claudio Lucatelli.
L’uomo entra nelle tele di Lucatelli prevalentemente con la parola o solo in frammenti di immagine, quasi mai dipinti ma ripresi da fotografie o ritagli. In molti degli ultimi lavori l’ambientazione è prevalentemente esterna e in questo spazio, che allude al contesto naturale, le immagini, le forme, le parole e i segni si relazionano. Casualità o destino, muovono, agitano, modificano, alterano, scompongono e ricompongono, calmano. Le forze non agiscono mai sull’oggetto, sull’uomo o sul suo prodotto, ma sul costrutto mentale delle cose, sul concetto, sulla categorizzazione delle idee.
La ricerca espressiva dell’artista è in pieno fermento, ma gli elementi compositivi del suo linguaggio pittorico sono ben chiari: si stanno evolvendo verso una pittura sempre più informale in cui è ormai consolidata la scelta del collage e del dialogo tra semantica, semiotica e pittura.
Biografia di Claudio Lucatelli
Nato a Specchia (LE), architetto laureato in indirizzo Tutela e Recupero dei Beni Storici e Architettonici è cresciuto artisticamente nella Libera Accademia di Pittura di Vittorio Viviani (esponente del chiarismo lombardo) di Nova Milanese agli inizi degli anni 80. Coltivando da sempre la passione per la pittura espone la prima volta (una collettiva) nel 1999 nell’ambito della rassegna “Arte e Movimento” curata dall’artista Pasqualino Colacitti. Sono seguite altre collettive invitato dalla Famiglia Artistica Desiana. Alla Galleria SARGADELOS di Milano nel 2000, al Circolo Culturale “il Pettirosso” sempre a Milano nel 2001, allo spazio espositivo Cento Firme di Lissone nello stesso anno. Alla Galleria E. Mariani di Seregno nell’ambito della rassegna “il linguaggio figurativo nelle scuole medie” nel 2002 e ancora nello Spazio Cento Firme a Lissone. I lavori più recenti risentono dell’influsso dell’amico ed artista Giovan Battista Pastorelli esponente del Decostruzionismo Italiano. Nel 2003 realizza una personale nel Palazzo Arese Borromeo di Cesano Maderno in occasione della rassegna” Echi del Salento” e nello stesso anno una personale a Como in S. Pietro in Atrio. Nel 2012 personale a Specchia (Le) nel Castello Risolo in occasione della manifestazione “Coincidentia Oppositorum”. A Marzo 2013 ospite nel Bianco Art Cafè di Seregno con la rassegna Grida Quieti. A Dicembre 2013 partecipa alla Collettiva Pro Lampedusa SAVE MY DREAM allo Spazio Tadini di Milano Alcune testate giornalistiche hanno pubblicato e descritto il suo lavoro, tra queste Il Cittadino, L’Esagono, Nuova Rassegna di Studi Meridionali, il Corriere di Como, la Gazzetta del Mezzogiorno, Qui Salento, Il Quotidiano di Lecce e il Giornale di Seregno.
Il vento nel mio giardino
“E venne il giorno in cui le parole non furono abbastanza e neppure le forme riuscirono a essere e solo i colori sopravvissero, senza coprire le tracce di ciò che accade e fu raccontato”. Se visitare una mostra è come entrare in un racconto questa sarebbe la giusta premessa alla visita nel mondo pittorico di Claudio Lucatelli. L’artista ci offre una pittura materica dove sulla tela troviamo fogli di carta, libri, cellophane, frammenti di quotidiani, pagine di libri, parole evidenziate o testi o segni scritti sulla tela. Una serie di frammenti e tracce che appartengono come ad un racconto interrotto. A irrompere c’è la gestualità del colore che copre, che schiaccia, che scarabocchia e segna l’inizio di un nuovo percorso semantico e segnico. Il giallo, il rosso, il blu, il verde, il nero e il viola sono tra i colori ricorrenti. Insieme segnano il cambiamento emotivo, concorrono alla demolizione e alla costruzione dell’immagine non mantenendo alcuna appartenenza alle cose. Nelle tele di Lucatelli possiamo trovare un cielo verde, una nuvola rossa tanto quanto un cielo nero come la pece. Se nei primi lavori la tecnica del collage portava l’artista ad una raffigurazione senza chiari riferimenti contestuali, nell’ultimo ciclo prevale l’ambientazione esterna. Titoli come “ il vento nel mio giardino”, “nuvola nera”, “quel che rimane della casa”, portano la modalità espressiva pittorica di Lucatelli fuori dalle “mura mentali” o domestiche (si è dedicato anche alla raffigurazione di diverse nature morte con piatti di frutta). L’ambientazione è spesso chiaramente esterna e la pittura si confronta con la forza espressiva degli elementi naturali volutamente trasfigurati. L’uomo entra in questo spazio con il verbo, la parola, i frammenti di immagine e, in questa collocazione, si confronta con gli elementi naturali dove avversità temporali, casualità o destino, muovono, agitano, modificano, alterano, scompongono e ricompongono, calmano. Le loro forze non agiscono mai sull’oggetto, sull’uomo o sul suo prodotto, ma sul costrutto mentale delle cose, sul concetto, sulla categorizzazione delle idee. Per esempio nell’opera “quel che rimane della casa”  non vediamo una casa, ma il segno che la rappresenta. Potrebbe essere la casa di chiunque, potrebbe avere qualsiasi forma o rilevanza architettonica, ma poco importa. Per Lucatelli è “la casa” ad entrare nel paesaggio, le cui fondamenta sembrano appena trattenute da un segno orizzontale a matita. Il prato è altrove, è sopra le teste: nel cielo. E’ lì che esiste il vero oggetto, la “vera casa” che è data da un groviglio spesso informe, più o meno materico in cui nulla vi si riconosce se non il senso della complessità, del groviglio, della massa filamentosa e geneticamente preordinata della nostra essenza. Forse l’Io. Queste forme aggrovigliate di segni sono ricorrenti negli ultimi lavori di Claudio Lucatelli. Sono tratti a matita che intervengono come uno scarabocchio al centro della composizione e si insinuano, con le loro forme spesso allungate, altre volte simil sferiche nella storia. Quando sono scomposte o allungate sembrano sprigionare un’energia edificante tale da alimentare costruzioni di forme e immagini volte verso l’alto come vediamo in “fiori di Roma” o sempre nella serie “Il vento nel mio giardino”. Quando l’ammasso segnico si raggomitola in se stesso i suoi lavori entrano in una sorta di calma energetica con una dominanza di linee orizzontali come nel caso dell’opera “quel che rimane della casa”. La ricerca espressiva dell’artista è in pieno fermento, ma gli elementi compositivi del  suo linguaggio pittorico sono ben chiari: si stanno evolvendo verso una pittura più informale in cui è ormai consolidata la scelta del collage e del dialogo tra semantica, semiotica e pittura. Le tele di Lucatelli rappresentano bene l’insieme delle fonti d’informazione e stimolo a cui l’uomo contemporaneo è soggetto, tanto quanto l’insieme delle forze generate dal contesto ambientale in cui vive e il senso di confusione e precarietà di cui soffre.
Melina Scalise

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L’artista Franco Scepi presenta #CANCELLATO Emilio Tadini

 

Ospita la 23° tappa nazionale dell’evento # CANCELLATO di
FRANCO SCEPI :
# CANCELLATO/EMILIO TADINI
martedì 4 al 26 Febbraio 2014 

inaugurazione 4 febbraio ore 18,30 Spazio Tadini via Niccolò Jommelli, 24 Milano
Con la  partecipazione dello scrittore Andrea Pinketts, dell’attrice Xena Zupanic e con “l’intervista impossibile” a cura del meta-critico Nicola Gentile e la proiezione della presentazione di Gillo Dorfles a Franco Scepi presso la Galleria Marconi.
Un evento, una performance, ma soprattutto una provocazione per restituire attenzione e visibilità al nostro patrimonio artistico e culturale. Dalla Statua di Marco Aurelio a Roma a Emilio Tadini a Milano è così che Franco Scepi, vuole puntare il dito sulla trascuratezza in cui versano i nostri beni culturali. L’artista rifocalizza l’attenzione sull’uomo, sulla bellezza e sull’arte ritenendoli valori da cui ripartire per un rilancio sociale e uno sviluppo più consapevole. Finora sono 22 i monumenti # CANCELLATO e l’intervento a Spazio Tadini si sposta all’intellettuale Emilio Tadini, figura eclettica e rappresentativa della cultura e dell’arte milanese e non solo.
L’esposizione a Spazio Tadini accoglierà la perfomance di Franco Scepi su alcune opere di Emilio Tadini selezionate per l’evento. Inoltre, nel salone, verranno riproposti alcuni elementi dell’atelier di Tadini che faranno da scenografia anche ai lavori che hanno contraddistinto le tappe decisive dell’artista Franco Scepi dall’ideazione e realizzazione del “Man’s for peace”, sottoscritto da Gorbačëv a dei pezzi di Over Ad’Art per cui fu premiato a New York nel 1987 con l’oscar per la pubblicità.
“Etichetto con gli Hashtag # CANCELLATO” il lavoro di Emilio Tadini .-dichiara Franco Scepi-  perché  è stato grande protagonista della cultura italiana, uomo  eclettico, innovatore dei linguaggi;  pittore, scultore, scrittore, poeta e molto altro ancora – spiega l’artista Scepi“Cancello” Emilio Tadini del quale fui frequentatore dagli anni cinquanta, in quella Milano nebbiosa e prodigiosa, dove al Bar Jamaica della signora Lina a Brera, insieme a Manzoni, Recalcati, Fontana, Morlotti, Mulas, Alfa Castaldi e tanti altri artisti, fotografi, scrittori, si stanziava e si inventava  il futuro.  Etichetto con l’hashtag  # CANCELLATO rifacendomi alle mie origini di arte Fluxus, alle utopie che sintetizzavamo nel concetto “arte e vita”, alle mie azioni  “OVER, sovrapposizioni/cancellazioni,  che operavo da gli anni 60 sulle  mie stesse creazioni “reclame” per De Rica, Cirio, Deborah ecc….# CANCELLATO ( azione Over Ad’ Art ) è una etichetta che marchia “ i prodotti della storia”  a cui diamo scadenza per il diffuso disinteresse alla cultura, come un prodotto della storia che non serva più.
Con questa azione voglio colpire l’indifferenza, il disinteresse, la superficialità, la negligenza, verso i valori dello spirito ed indurre alla riflessione per il ritorno ad un nuovo rinascimento, ad una comunicazione,  più etica,  per riscoprire il valore dell’arte per la vita”.
Franco Scepi nel mese di ottobre 2013 ha istallato fisicamente nella realtà  il suo  hashtag # Cancellato su i monumenti della storia dell’arte italiana in 22 città, per indurre alla riflessione verso il valore della cultura per gli uomini e la vita di tante vittime del lavoro che sono state cancellate. Scepi ha dedicato la sua opera all’associazione  “Anmil”  con la testimonianza critica dello storico dell’arte Enrico Mascelloni.
L’azione dell’artista Franco Scepi è  iniziata dalla statua di Marco Aurelio in Campidoglio a Roma, con il supporto della Soprintendenza ai Beni Culturali e dei Comuni dove è stata creata l’azione avvenuta contemporaneamente: ad Asti, Brescia, Caltanisetta, Campobasso, Caserta, Catanzaro, Cuneo, Fermo, Grosseto, Formia, Macerata, Mantova, Piacenza, Reggio Emilia, Siracusa, Torino, Rovereto (Trento), Varese, Vibo Valentia .

Biografia Franco Scepi
 Franco Scepi è figlio d’arte, madre pittrice, padre con vena poetica, zia musicista. Gillo Dorfles lo gli ha conferito l’appellativo di Inventore polivalente e ne ha ben ragione dal momento che Scepi ha sperimentato tutti i media e linguaggi: pittura, pubblicità teatro, cinema, pubblicità.
Franco Scepi infatti fu architetto scenografo al Teatro alla Scala di Milano (allievo di Nicola Benois) e in televisione (L’amico del giaguaro) e regista di film d’autore, Can Cannes e Packaging, presentati alla Biennale di Venezia nel 1980 e 1982, ha realizzato short-film, video-performance, video musicali e spot pubblicitari.
Nei primi anni 60 filma e fotografa eventi straordinari. È affascinato dal fuoco, dall’acqua, dalle conflittualità della natura, segue gli interventi dei pompieri e crea documenti visivi che definisce “effetti fuoco”, anticipando le correnti dell’arte concettuale.
Quando Andy Warhol rappresentò le sue Campbell’s Soup, ed i prodotti furono considerati segni d’arte contemporanea, Franco Scepi ne seguì l’esempio tanto da condividere con l’artista anche dei momenti creativi per Campari. Negli anni 70 e 80  ha lavorato per importanti aziende e prodotti: Cirio, Arrigoni, Ramazzotti, BIC, Deborah, Ovomaltina, San Pellegrino, Antonini, Castelli, Fiorucci, Autogril, Gaggia, GS, Euromercato.
Con Lino Casa e Claudio De Micheli fonda a Milano nel 1967 l’agenzia CDS dove nel 1977 entra come socio Gianni Sias, e nel 1977 è co-fondatore e promotore della casa di produzione Mercurio Cinematografica con i soci. Negli anni 80 con il gruppo dei soci fonda le agenzie Eurocom ed Azzurra.
Per oltre 10 anni, erede di Fortunato Depero in Casa Campari si è occupato dell’immagine dei prodotti dell’azienda, creando, producendo e dirigendo personalmente anche gli spot televisivi.
Frequentatore di Andy Warhol, ha definito il suo lavoro Over Ad’Art ed è stato premiato nel 1987 a New York con l’Oscar per la Pubblicità. Tra gli eventi Over Ad’Art “Caffè ad Arte”, creato e realizzato con Mario Schifano e con la partecipazione dell’attrice Brooke Shields. Over Ad’Art sintetizza una forma di espressione successiva alla Pop art. L’artista non utilizza più le immagini create da altri, ma rielabora le immagini pubblicitarie da lui stesso prodotte in un’opera successiva recuperandone i segni estetici ed usufruendo dei materiali originali in suo possesso. Over Ad’Art simboleggia e propone l’estetica nella comunicazione di massa per elevare l’immaginario collettivo.
Ha inventato la prima auto elettrica d’artista, riproposta da un suo spot. Ha disegnato manifesti per registi internazionali tra i quali Brian De Palma, Werner Fassbinder e ha progettato, dal 1980, eventi per costruire l’immagine della Città di Milano: Panoramica dei film di Venezia, Carnevale Ambrosiano, Festa dei Navigli, Topix: video scultura in Piazza Duomo.
Nel 1999 Michail Sergeevič Gorbačëv ed i Nobel della Pace hanno sottoscritto l’immagine Man for Peace, creata da Scepi nel 1977 per il manifesto del film L’uomo di marmo di Wajda, ispirata da Karol Woitjla e definita simbolo anticipatore del crollo del muro di Berlino. Differenti copie del monumento, con il sostegno del Museo MAGI, sono state acquisite da Città e Gallerie d’Arte. Con il simbolo Scepi’s Man for Peace sono stati premiati dai Nobel, personaggi dello spettacolo che si sono distintisi per il loro impegno etico, tra i quali Roberto Benigni nel 2002, Nazionale Cantanti nel 2003, Cat Stevens nel 2004, Bob Geldof, Dawn Engle e Ivan Suvanjieff nel 2005, Massimo Cacciari nel 2007, Claudio Baglioni nel 2008.
Fra le sue opere più recenti, si segnala il grande monumento “Goccia della Terra”, esposto alla Fondazione Dino Zoli di Forlì. Il monumento, pensile, è dedicato a tutte le madri della Terra, a partire da Jetsum Pema, sorella del Dalai Lama e Grande Madre del Tibet, alla quale Franco Scepi ha donato il progetto dell’opera. La scultura è alta 4 metri x 1,80, pesa 10 quintali ed è stata realizzata dall’autore in terracotta refrattaria, secondo i metodi dell’antica Tebe, dichiara Scepi, e dipinta con colori traspiranti.
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Gustavo Bonora dal 4 febbraio a cura di Francesco Tadini

 

Il lavoro di Gustavo Bonora è legato saldamente al corpo dell’arte del Novecento e a quei tessuti,  organi e articolazioni che gli hanno dato vita e sconfinato  le frontiere temporali del nuovo Millennio.

Un lavoro di Frontiera avviato in un dopoguerra milanese particolarmente ricco di cantieri culturali nei quali si costruivano anche le case che ancora oggi abitiamo. Un processo che vede interconnettersi  – ancora con inesauribile manualità – le discipline dell’arte e della conoscenza dell’uomo.
Sarà per questo che Gustavo Bonora intraprende, parallelamente all’attività artistica, quella di psicoanalista. Non si può preferire Bonora pittore a Bonora psicanalista se non per vizio. L’occhio vuole la sua parte e concede raramente un “pari” alla riflessione che ne maturi l’acutezza. Ma è sufficiente scavare un poco per sondare le radici della indiscutibile qualità pittorica di Bonora e recuperare il terreno che le nutre. Terreno delle più grandi conquiste etiche, oltre che estetiche, della generazione che precede chi oggi è nel mezzo del cammin di nostra vita.
Se l’arte informale – territorio di sperimentazione privilegiato da Bonora – è stata, consapevolmente o no, la risposta artistica che l’Europa ha dato alla crisi morale e politica conseguente agli orrori della seconda guerra mondiale, allora non si può che risalire ai progenitori e alla loro epoca (di quasi tutte le avanguardie artistiche successive oltre che dell’informale): i surrealisti e la prima guerra mondiale. Guerra nella quale, come racconta lo storico americano Eli Zaretsky (in I misteri dell’anima. Una storia sociale e culturale della psicoanalisi) “(…) uno studente francese di medicina, a nome André Breton, fece una suggestiva scoperta: mentre curava un soldato traumatizzato, il quale si era costruito la fantasia che la guerra fosse finita, le ferite dei soldati fossero solo dipinte e i morti cadaveri presi in prestito dalle facoltà di medicina, Breton cominciò a dare forma alle idee del movimento che chiamerà surrealismo…”
Va ricordato  che, in quel periodo tutti i più stretti collaboratori di Freud lavorarono con i soldati affetti da nevrosi traumatica. Abraham dirigeva un ospedale di smistamento sul fronte orientale. Ferenczi organizzò il reparto psichiatrico di un ospedale militare di Budapest. Ernst Simmel dirigeva un ospedale psichiatrico da campo a Posen.
E’ ancora Zaretsky a concludere, con le parole di W.H.R. Rivers, medico inglese convertito alla psicanalisi: “Si direbbe che il destino ci abbia offerto una straordinaria occasione per mettere alla prova la verità della teoria freudiana dell’inconscio.”
Gli orrori della Grande Guerra fornirono l’occasione del superamento di una concezione positivista e meccanicistica nella conoscenza dell’uomo (i soldati traumatizzati venivano “curati”, fino ad allora, con abbondanti terapie elettroconvulsivanti, comunemente note come elettroshock) in favore di un nuovo inizio.
“L’io non è più padrone nemmeno in casa propria”. E: “L’immaginazione è forse sul punto di riconquistare i propri diritti”. Due proposizioni che hanno segnato il Novecento. Freud e Breton.
Breton legge gli scritti di Freud e applica le teorie psicoanalitiche sui malati e anche sulla scrittura. Nel 1919 insieme a Soupault elabora la scrittura automatica, attraverso la quale il pensiero viene liberato dal controllo della ragione e fa emergere la dimensione inconscia.
Il Surrealismo viene definito dallo stesso Breton: “Surrealismo, Automatismo
psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero…” .
E’ proprio questa fuga dal controllo della ragione, questa emersione dell’inconscio a disegnare una delle più nette linee di demarcazione nella storia dell’arte e delle Avanguardie del Novecento. Ed è l’immersione di un pittore / psicanalista del livello di Gustavo Bonora in un lavoro che lo ha posto al centro di un gruppo milanese ben nutrito (da Mino Ceretti, Bepi  Romagnoni, Giuseppe Guereschi, Floriano Bodini, Emilio Tadini, per citarne solo alcuni) ad attuare uno slittamento ulteriore del ruolo dell’artista nella società.
Gli anni dell’impegno sociale e politico di molti artisti, dopo la liberazione dal fascismo, erano forieri di scelte e divisioni importanti. Implicito, per una certa parte della intellettualità schierata, il richiamo ad un ordine – una forma – che potesse, in modo diretto, servire le istanze della classe operaia.
Bonora, non “organico” (gli intellettuali organici erano essenziali, per Antonio Gramsci nella costruzione dell’egemonia culturale) già intellettuale di vaste e articolatissime letture -  da Sarte a Husserl, oltre che a Freud e Lacan -  non poteva che darsi la libertà di esplorare un sapere non richiesto da un sistema delle arti che doveva – per necessità anche mercantili – inseguire, in definitiva, centri di potere.
La sintesi surrealista, matrice di qualunque arte informale, era e resta per Gustavo Bonora, origine di un fruttuosissimo e lungo lavoro a cavallo tra arte e psicanalisi che, lungi dal perdere attualità, permette alla pittura – quella particolare operazione manuale attuata con colori e pennelli – di essere ancora in vetta alla classifica delle molteplici vie della conoscenza chiamate arti.
Francesco Tadini


 Biografia Di Gustavo Bonora
 Gustavo Bonora, nasce a Bologna nel 1930, conseguito il diploma di Maturità Artistica nel 1947, s’iscrive alla Facoltà di Architettura di Firenze. Nel 1956, ottenuta la cospicua borsa di studio dell’insigne “Collegio Venturoli” di Bologna, si trasferisce a Milano, dove è assistente dello scenografo Luciano Damiani del Piccolo Teatro della Città di Milano, attività che si protrae fino agli anni Sessanta, quando, nel fervido clima culturale milanese di quei giorni stringe le amicizie e le relazioni che decideranno il suo destino artistico, e saranno Attilio Forgioli, Gianfranco Pardi, Lello Castellaneta, Attilio Delcomune, Gianni Rossi, coloro coi quali parteciperà a “Società Nuova” l’iniziativa impegnata ad illustrare le tematiche di Brecht e Majakovskij, nonché il sodalizio che nel Settanta li aggrega intorno alle gallerie che allora erano dei veri focolai progettuali: la Bergamini, la Morone, la Marconi e la Solferino, e i nuovi compagni saranno Mino Ceretti, Claudio Olivieri, Giuseppe Guerreschi, Alik Cavaliere, Emilio Tadini.
 Formatosi nel gruppo italiano della Scuola di J. Lacan, EFP – Ecole Freudienne de Paris; nel 1980, alla dissoluzione dell’EFP, Bonora sarà fra i primi psicanalisti italiani ad iscriversi alla nuova associazione lacaniana La Cause Freudienne – Fondation du Champ Freudien, che nell’81, poco prima della morte di Lacan, si costituisce come Ecole de La cause freudienne (ECF).
Nel 1979 Bonora costituisce il Centro Culturale S. Tecla dove tiene un seminario di psicanalisi riferito all’insegnamento lacaniano che dura fino all’82, anno nel quale partecipa alle attività italofrancesi dell’Intercartels.
Nel 1983 è invitato da G. B. Contri – membro dell’ECF e curatore dell’opera lacaniana in Italia – a costituire l’associazione IL LAVORO PSICOANALITICO, cui partecipa fino al ’92. Dal ’93 partecipa ai lavori dell’Associazione Psicanalitica Lacaniana Italiana (APLI), ora NODI FREUDIANI, di cui è cofondatore e nel ’99 ne assume la presidenza, ora è Socio Onorario e membro del Direttivo.
Suoi scritti appaiono dal ’79 all’82 nell’informativo del C. C. S. Tecla “IN FOLIO”, nello stesso periodo in “CONTROCULTURA” della Shakespeare & Company, Milano e nelle pubblicazioni di IL LAVORO PSICOANALITICO dall’83 al ’92, Sic-Sipiel, Milano: AA. VV.: “Lavoro dell’inconscio e lavoro psicoanalitico”, “Lexikon psicoanalitico e enciclopedia”, “Passioni, pulsioni e affetti”. Nel ’97 in Scibbolet N° 3, rivista di APLI.
 Se fu per gioco che nel Sessanta Bonora, Ceretti, Pardi e l’amico musicista Carlo Ruffini si misero a “suonare” nella cantina di Pardi a Boccorio, accadde che Davide Mosconi, Enzo Gardenghi e Marco Cristofolini (veri musicisti) la presero sul serio e nello studio di Gustavo, installata una stanza sonorizzata, s’incominciò a registrare. Per farla breve, nel Sessantanove la Playco registrò quello che divenne il “Quartetto” (Mosconi: piano, Gardenghi: saxtenore, Bonora: cello, Cristofolini: percussioni), cui seguì il gruppo NADMA che, oltre ad apparire seriamente nelle sale (Milano, Teatro Uomo, Teatro Manzoni, Centro Lepetit, ecc, anche in giro: Genova, Firenze, Roma, ecc.), captati dal produttore Gianni Grandis, nacque un vinile 68 giri della RCA, allora saranno: Davide Mosconi (piano), Ines Klok (arpa e violino), Gustavo Bonora (flauto, clarone e cello), Mino Ceretti (flauto e contrabbasso), Marino Vismara (cello), Franco Pardi (tromba e altosax), Otto Davis Corrado (tromba e saxtenore), Marco Cristofolini (percussioni e violino).Il tutto oggi è editato in due CD di “alga marghen 2008” (producer: Emanuele Carcano, cordination: Gabriele Bonomo).
Successivamente, si delinea maggiormente l’interesse e l’impegno di Bonora per la psicanalisi, attività che ottempera con la pittura, ma con distacco dal mondo espositivo. Nel 1979, costituita con Rosy Menta la Nuova Argallery Centro Culturale S.Tecla, terrà con M. Focchi e A, Barbui un seminario di psicanalisi riferito all’insegnamento lacaniano che dura fino all’82, quindi partecipa alle attività italofrancesi dell’Intercartels e, formatosi nel gruppo italiano della Scuola di J. Lacan, EFP – Ecole Freudienne de Paris; nel 1980, alla dissoluzione dell’EFP, Bonora è fra i primi psicanalisti italiani ad iscriversi alla nuova associazione lacaniana La Cause Freudienne – Fondation du Champ Freudien, che nell’81 che, poco prima della morte di Lacan, si costituisce come Ecole de La cause freudienne (ECF).
Nel 1983 è invitato da G. B. Contri – membro dell’ECF e curatore dell’opera lacaniana in Italia – a costituire l’associazione IL LAVORO PSICOANALITICO, cui partecipa fino al ’92. Dal ’93 partecipa ai lavori dell’Associazione Psicanalitica Lacaniana Italiana (APLI), ora NODI FREUDIANI, di cui è cofondatore e nel ’99 ne assume la presidenza, ora ne è Socio Onorario.
“Nuova Arsgallery” Centro Culturale S. Tecla chiude nel 1982 e Bonora, sempre più impegnato nel campo psicanalitico, si trasferisce nell’entroterra ligure fino al 2009. Attualmente rientrato a Milano, fonda e gestisce con Rosy Menta e Daniela Basadelli Delegà l’Associazione Culturale polivalente EXFABBRICADELLEBAMBOLE.
Suoi scritti appaiono dal ’79 all’82 nell’informativo del C. C. S. Tecla “IN FOLIO”, nello stesso periodo in “CONTROCULTURA” della Shakespeare & Company, Milano e nelle pubblicazioni di IL LAVORO PSICOANALITICO dall’83 al ’92, Sic-Sipiel, Milano: AA. VV.: “Lavoro dell’inconscio e lavoro psicoanalitico”, “Lexikon psicoanalitico e enciclopedia”, “Passioni, pulsioni e affetti”. Nel ’97 in Scibbolet N° 3, rivista di APLI.
Nel 1997 G. Bonora, ancora distolto dal mondo espositivo, è invitato a far parte di un gruppo di dieci nomi milanesi (Ajmone, Bonora, Castellaneta, Castiglioni, Cavaliere, Ceretti, Fizzotti, Forgioli, Pardi, Tadini), per celebrare il IV centenario della scomparsa di Melchiorre D’Enrico l’affrescatore del Giudizio Universale a Riva Valdobbia ispirato al tema apocalittico; i dieci artisti per l’occasione si chiameranno: “I PITTORI DEL GIUDIZIO”.
Nel 1999, sollecitato da Stefano Reali, G. Bonora espone al Centro Culturale Francese una quarantina di opere ottenendo un grande concorso di presenze e di vendita. Nel 2010, confortato dalla presenza di tutti i vecchi amici, espone all’Officina Coviello.
 Mostre
 1961 – Campione d’Italia – Premio Nazionale di Pittura. Premiato.
         – Museum der Stadt Greifswald – Grafica Italiana Contemporanea.
         – Bologna – Premio Marzabotto. Secondo premio.
- Milano – Società per le Belle Arti, Esposizione Permanente: Collettiva Giovani Artisti.
- Bologna – Premio Giovannini, segnalato.
- Suzzara – Premio Suzzara, segnalato.
- Milano – Galleria La Colonna – Mostra collettiva.
- Milano – Sesto S. Giovanni: Galleria “Il Giorno” – Mostra personale.
1962 – Livorno – Premio Cecina, secondo premio.
1963 – Venezia – V Biennale dell’incisione italiana.
1964 – Monaco – Neue Münchener Galerie – Pittura e grafica sull’opera di B. Brecht.
1965 – Berlino – Interfrafik ’65.
1966 – Milano – Galleria L’AGRIFOGLIO – Mostra personale.
         – S. Ilario – Mostra del Premio, segnalato.
         – Cremona – gruppo d’Arte “Renzo Botti” – Mostra personale.
- Cremona – gruppo d’Arte “Renzo Botti” – Mostra collettiva.
1967 – Milano – Arte Centro – Mostra collettiva.
1968 – Bergamo – Martinengo – Mostra collettiva “Pluralità Viva”.
1970 – Mantova – Casa del Mantegna – Mostra collettiva; dieci artisti costituiscono il gruppo di          PITTURA ’70: G. Bonora, L. Capsoni, A. Forgioli, G. Madella, C. Olivieri, G. Ossola, F. Picenni,               M. Raciti, S. Sermidi, V. Vago.
1970 – Roma – Galleria Contini – Mostra collettiva “L’immagine attiva”.
       – Capo D’Orlando – XI mostra “Vita e Paesaggio”.
       – Milano – Galleria Morone – Mostra collettiva PITTURA ’70.
1973 – Milano – Galleria Solferino Mostra personale.
         – Milano – Galleria Solferino – Collettiva: Basaglia, Bonora, Ceretti, Gianquinto, Marzulli, Merisi.
         – Milano – Esposizione Permanente: XXVIII Biennale.
1974 – Milano – Galleria Solferino – Mostra collettiva “Il posto dei bambini”.
         – Milano – Galleria Solferino – Mostra collettiva “Il paesaggio cercato”.
         – Milano – Galleria Solferino – Mostra personale.
1975 – Milano – Galleria Solferino – Mostra personale.
         – Milano – Museo della Scienza e della Tecnica – Mostra collettiva.
         – Milano – Galleria Schubert – Mostra collettiva per la Stampa Libera.
1976 – Milano – Esposizione Permanente – 500 Artisti per i lavoratori in lotta.
         – Milano – Galleria Milano – Mostra collettiva per il monumento a R. Franceschi.
- Milano – Galleria Solferino – Mostra personale.
1976 – Milano – Galleria Solferino – Il Disegno – Mostra collettiva: Basaglia, Benati, Bonora, Cavaliere,       Ceretti, Forgioli, Gallerani, Grillo, Merisi, Pardi, Staccioli, Romagnoni, Tadini, Vaglieri.
1976 – Milano – Esposizione Permanente – Mostra collettiva – Disegno e piccola scultura.
1977 – Cremona – Gruppo d’Arte “Renzo Botti” – Mostra collettiva per la com. di Danilo Montaldi
1978 – Lodi – Museo Civico – Mostra collettiva “L’oggetto”.
1979 – Milano – Palazzo dell’arte “CTC”, Esposizione permanente.
1979 – Milano – Galleria Bergamini – “L’altra satira” – Mostra collettiva.
 È nel 1979 che, con la chiusura della Galleria Solferino, G. Bonora e Rosy Menta costituiscono “Nuova Arsgallery” Centro Culturale S. Tecla. Bonora assume la direzione artistica e partecipa solo a tre collettive:
 1980 – Milano – Nuova Arsgallery – Mostra collettiva.
1981 – Milano – Nuova Arsgallery – Mostra collettiva.
1982 – Milano – Nuova Arsgallery – Tre personali: Bonora – Gallerani – Merisi.
 Negli ultimi decenni, senza rinunciare alla ricerca pittorica, Bonora non espone pubblicamente i propri lavori se non in ambiti privati e collezionistici.
E del 2013 la partecipazione alla mostra collettiva Milano in Arte – il dopoguerra, 1945 – 1956 presso la Casa Museo Spazio Tadini di Milano.

THE NATURE OF THINGS A cura di Martina Corbetta a SetUp

Fra le tante, tantissime cose che si potevano vedere a SetUp 2014 (http://www.setupcontemporaryart.com ), una mi ha colpito più di altre: il progetto presentato da Martina Corbetta THE NATURE OF THINGS, che vedeva la partecipazione di quattro talenti del contemporaneo italiano: BROS, RYAN CONTRATISTA, COSIMO FILIPPINI, DAVIDE GENNA.

Essendo, nella sua intierezza, un progetto site-specific, molto probabilmente non si avranno altre occasioni per poterlo ammirare.
Ecco perchè ritengo giusto e doveroso presentarlo in questa maniera.

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THE NATURE OF THINGS


A cura di Martina Corbetta

ARTISTS:

BROS, 1981

RYAN CONTRATISTA, 1988

COSIMO FILIPPINI, 1979

DAVIDE GENNA, 1983

 

 

Da quando l’homo è comparso ha sempre voluto imporsi sulla natura, e questa è la prima incoerenza di THE NATURE OF THINGS. Senza indugio, siamo portati a credere che tutto avvenga in modo spontaneo e naturale, che le cose accadano in maniera inscindibile dal nostro fare quotidiano, invece, a ogni piè sospinto, siamo noi gli artefici di molto più di quello che consideriamo.

La mostra attribuisce importanza al puro rapporto tra la natura e l’essere umano, la libertà di predilezione. A ritmo incalzante, un fil rouge accompagna la nostra percezione avviando, forse, il primo sguardo verso la finestra, visione intrinseca e tangibile del paesaggio.

Spostiamo la visuale in direzione delle fotografie di Cosimo Filippini. Landscapes italiani di poche parole che, attraverso essenziali linee di definizione, racchiudono sconfinate esperienze e promulgano attenzione verso panorami minacciati delle azioni dell’uomo. In questi luoghi ascoltiamo la natura, la vera essenza della creazione, e indottriniamo suggestioni spazio temporali di stupefazione a favore di una riflessione. 

Ryan Contratista, fatta esperienza della natura, s’impossessa dell’energia per dare vita a una luce artificiale. L’innaturale è interpretato come la capacità ontologica di imitare la natura, riprodurla e sconvolgerla. L’asta indica la direzione per cercare la fonte, che però non raggiungiamo. C’è disorientamento e sarà la nostra immaginazione a definire lo spazio. La luce sintetica è archetipo dell’uomo moderno, stravolge i piani euclidei e provoca la natura.

Proseguiamo. Davide Genna s’imbatte nel perfezionamento di forme derivanti dalla natura. Natura come fonte d’ispirazione che conduce l’artista verso una rigida scomposizione dell’immagine. Davide, fraziona e ricompone a tempo, dinamico e ordinato, per un risultato artistico dall’ampia espressione fatta di un atteggiamento del tutto personale incline al rigore della geometria.

Infine, il linguaggio, come forma di espressione e di cultura, non poteva mancare. L’uomo è diverso da tutti gli altri esseri perché è dotato di parola, e la scrittura ne è la sua forma di rivelazione più concreta. In chiave antitetica un wallpainting, derivato dalla consapevolezza di saper leggere e scrivere, si pone come reiterazione dell’origine del segno. Dalla cognizione e dalla conoscenza torniamo all’espressione vergine e marginale, istintiva al pari delle prime forme di comunicazione. Ora, come prima, le tracce sono impresse a parete alla conquista dello spazio per il passaggio ai posteri, è Bros.

THE NATURE OF THINGS considera tempo e spazio in forma assoluta e incondizionata, segue un ritmo conoscitivo del tutto personale. L’incoerenza è emblema dell’uomo moderno e la lettura scinde da ogni imbeccata, il fruitore può vagare nel più totale disordine cronologico del tempo.







 

Oggi al MAC di Lissone... 2 mostre...



Città di Lissone
Museo d’Arte Contemporanea




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 Jack Sal: Ring/Rings/Ring
Daniele D’Acquisto: Strings
a cura di Alberto Zanchetta
SECONDO PIANO
1 febbraio - 9 marzo 2014
INGRESSO LIBERO

INAUGURAZIONE sabato 1 febbraio ore 18:00


L’esperienza minimalista e concettuale di Jack Sal [Waterbury, 1954] è caratterizzata da una sensibilità tipicamente europea, tesa a scardinare i presupposti ideologici del Modernismo; l’artista realizza interventi sitespecific in cui la reiterazione di un modulo crea un “campo di accadimenti”.
Ring/Rings/Ring è la logica conseguenza di una performance realizzata nel giugno 2011,
in occasione della 54a Biennale di Venezia. Al Caffè Quadri, in Piazza San Marco, l’artista ha disegnato dei cerchi usando inchiostro, caffè e latte su fogli di carta fotografica autosviluppante.
Quel segno bidimensionale ed elementare è stato poi convertito in forme plastiche, ossia in una serie di ceramiche al terzo fuoco di cui l’artista si serve per articolare l’ambiente espositivo. Attraverso i “rings” Sal realizza dei wall-paintings che scandiscono lo spazio e la luce, stabilendo una relazione anche con lo spettatore e i suoi spostamenti all’interno del museo. Seppur riduca al minimo la manualità, l’artista valorizza le qualità basilari della pittura limitandosi a dipingere con colori primari che seguono il contorno delle sculture, stabilendo così una relazione tra oggetto/immagine/opera d’arte.
Nella sala video, quattro filmati approfondiscono la ricerca estetica e teorica di Sal: Re/Place (1999) documenta un’installazione permanente nella Max Weber Platz di Monaco; White/Wash II (2006) racconta la storia di un monumento ideato nella città polacca di Kielce per le vittime del Pogrom; De/Portees (2010) è dedicato alla memoria dei deportati italiani; Via Bixio (2010) mostra una sequenza di fotogrammi incentrati su spazi minimi, dentro e fuori lo studio dell’artista.

La ricerca di Daniele D’Acquisto [Taranto, 1978] si interroga sulla zona liminale che separa ciò che è reale da ciò che è ideale; in pratica l’artista intende tradurre dei concetti in oggetti, mettendo in contiguità il piano fenomenico con il livello neurologico, giacché immaginare o vedere una cosa stimola le medesime aree del cervello. Con un approccio analitico e tecnicista l’artista intende trasformare l’arte in una scienza sperimentale; ne sono una dimostrazione le sue Strings, le quali sviluppano l’idea di una “proliferazione della forma” che si appropria dello spazio, espandendosi in esso per definirne le parti. «Quando siamo in un ambiente vuoto», spiega l’artista, «ne percepiamo il potenziale inespresso. Le stringhe hanno la funzione di esprimere quel potenziale, raccordando le parti e formulando ipotesi sulla forma». Almeno idealmente, l’opera può svilupparsi all’infinito,
come fosse un Ouroboros o un moderno Laocoonte. Progettata come un work in progress, l’installazione disegna una traiettoria atta a connettere, stringere e far aderire oggetti molto diversi tra loro, rendendoli parte di uno “spazio organicamente strutturato” anziché di un semplice “ambiente genericamente definito”. La particolare attenzione verso gli aspetti strutturali del proprio lavoro ha indotto l’artista a cimentarsi con questioni di carattere iconologico e formale, lambiccandosi soprattutto sul concetto di rappresentazione attraverso un processo di astrazione cognitiva che è in sé una rappresentazione della realtà stessa, la cui veridicità esisterebbe unicamente nel mondo delle idee.


Museo d’Arte Contemporanea
Viale Padania 6 – 20851 Lissone - MB
www.museolissone.it
museo@comune.lissone.mb.it
tel. 039 7397368 – 039 2145174
Martedì, Mercoledì, Venerdì h 15-19
Giovedì h 15-23
Sabato e Domenica h 10-12 / 15-19


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CIÒ CHE L’APPARIRE LASCIA TRASPARIRE



Il piano interrato del museo, che lo scorso
anno è stato deputato al riordino tematico
della collezione permanente, inaugura la stagione
2014 con le nuove raccolte d’arte.
Assecondando la tradizione del MAC di Lissone,
ampio respiro è stato dedicato alle
opere pittoriche, a cominciare dalle acquisizioni
del Premio Lissone 2012, che annoverano
il grande Animale fermato di Paola
Angelini [San Benedetto del Tronto, 1983],
un dipinto su plexiglass di Elsa Salonen
[Turku-Finland, 1984] e le due opere che
sono valse il primo premio a Mattia Barbieri
[Brescia, 1985]. L’excursus continua con un
piccolo autoritratto di Ettore Tripodi [Milano,
1985], una inedita losanga di Daniele Bacci
[Lucca, 1975] e un Esercizio di misurazione
della breve media e lunga distanza di Gianni
Moretti [Perugia, 1978]. In tale disbrigo prendono
posto anche il collage della serie
Crossage di Umberto Chiodi [Bentivoglio-
Bologna, 1981], i disegni su legno di
Nero/Alessandro Neretti [Faenza, 1980] e il
paesaggio rupestre di Francesco Locatelli
[Milano, 1985].
Segue un cambio generazionale con i dipinti
di Cingolani, Pastorello e Di Marco.
Esponente di quella nuova figurazione che
venne alla ribalta negli anni Novanta, Marco
Cingolani [Como, 1961] è presente nelle
collezioni con un acrilico su carta del 2011.
Di Giovanni Manunta Pastorello [Sassari,
1967], capofila della nuova scuola di pittori
sardi, viene proposto un recente paesaggio
su tela. Andrea Di Marco [Palermo, 19702012],
cui il MAC aveva dedi-cato un
omaggio all’indomani della scomparsa, viene
qui ricordato con un olio su tela del 2011,
donato dagli eredi dell’artista, e un piccolo
olio su carta del 2005.
L’esposizione assume poi un carattere più
scultoreo e installativo con l’opera Infinito di
Virginia Zanetti [Fiesole, 1981], che consiste
in due cerchi di vetro sovrapposti, e Welcome
di Gianluca Zonca [Arona, 1986], una piastra
in acciaio inox che dà il benvenuto all’interno
del piano. Dello stesso avviso sono anche
due micro-sculture: la pipa in radica e stucco
di Armida Gandini [Brescia, 1968] e L’Odradek
di Paride Petrei [Pescara, 1978], una
struttura in feltro, metallo e sale marino.
Accanto a un taccuino di disegni realizzati a
Lissone nel maggio del 2013, Matteo Fato
[Pescara, 1979] presenta un’installazione che
accorpa opere di anni diversi, creando così
un “minimo compendio” della propria ricerca.
La collezione si conclude quindi con due
artisti del Belgio, Philippe Van Damme
[Bruxelles, 1965] e Cel Crabeels [Antwerp,
1958]; il primo presenta un progetto su carta
ritenuto irrealizzabile il secondo un video girato
lo scorso anno sull’Isola Comacina.

A CURA DI ALBERTO ZANCHETTA

PIANO INTERRATO
14 febbraio – 9 marzo 2014

INAUGURAZIONE Sabato 1 Febbraio
INGRESSO LIBERO
 

Vernice mostra personale e presentazione del libro "Abitare l'anima", di Marco Maria Zanin, a cura di Fortunato D'Amico.

Oggi a Treviso....


 
 
Vernice mostra personale e presentazione del libro "Abitare l'anima", di Marco Maria Zanin, a cura di Fortunato D'Amico.

Con i patrocini di Premio Dedalo Minosse e ALA Assoarchitetti



Fondazione Benetton Studi Ricerche
via Cornarotta, 7-9, 31100 Treviso

Il cielo di San Paolo si apre agli occhi e alla camera fotografica di Marco Maria Zanin, svelando la città dall'alto, con le sue architetture e il desiderio di spiccare il volo per conquistare la libertà, lasciando la materia cadere al destino del suo peso. Il cielo della pianura padana non si vede; forse perché siamo sprofondati e ci muoviamo dentro le nuvole abbassate fino a toccare terra, nebbie che impediscono qualsiasi visione dell'orizzonte, ma innalzano i profili leggeri ed evanescenti catturati dalla bianca morbidezza della bruma, nell'olimpo degli esseri superiori. Il confronto di luoghi cosi distanti, fisicamente e culturalmente opposti, è un esercizio artistico particolare elaborato come concetto critico di una mostra che espone fotografie rubate all'oblio della memoria da angoli estremi della superficie planetaria.

Il movimento interiore che si agita dentro di noi, ogni volta che esaminiamo le immagini di questa personale di Marco Maria Zanin, selezionate insieme al curatore Fortunato D'Amico, include il segreto per accedere alle verità del racconto: un'esperienza indefinibile, che già altri poeti, filosofi, scrittori, musicisti, hanno provato a narrare utilizzando il linguaggio della loro arte. Dietro le apparenze delle architetture pauliste, i luoghi silenziosi della campagna padana, si nascondono le anime di chi le abita, il cuore che batte a segnare il ritmo della vita, i corpi occultati dagli ambienti rappresentati in primo piano, ma che in realtà sono una presenza invisibile, al di qua e di là della fotografia.

L'esposizione documenta i movimenti dell'anima, la sua capacità di rapportarsi al genius loci dello spazio architettonico e della natura, riconoscendo nel primato della loro integrazione un mezzo reale per indurre riflessioni mirate a migliorare la sfera spirituale, artistica, e il benessere delle persone, oggi alienato dalle filosofie consumiste che hanno insidiato i territori occidentali.

Sgarbi al Pecci?

Sulla candidatura di Vittorio Sgarbi alla Direzione del Museo Pecci di Prato si è letto tutto e di più. Ovviamente ognuno si sarà fatto una propria opinione ed avrà espresso i propri giudizi più o meno giustificati. Fatto sta che la sua esclusione, annunciata nei giorni scorsi ha fatto notizia tanto quanto la stessa candidatura. 
Nella conferenza stampa indetta dallo stesso Sgarbi per commentare la sua esclusione però, emerge un fatto indiscutibile: ha ragione. 
Se avrete voglia e tempo di seguire il video dell'incontro con i giornalisti capirete il perchè. Aldilà del fatto che il Vittorione Nazionale sia la persona indicata oppure no a ricoprire questo incarico!