Pubblico di seguito il testo "LA SPIRITUALITA’ SALVERA’ IL MONDO"di Emanuele Beluffi che accompagnerà la prossima mostra di Alice Olimpia Attanasio, della quale ne è anche curatore.
Confesso che la maggior parte dei testi che accompagnano le mostre personali di giovani artisti, spesso mi annoiano. Compreso i miei. Li trovo troppo omologati, ciclostilati e spesso banali.
Beh, non ne è certo questo, il caso.
Colto e raffinato. Moderatamente sofisticato e carico di contenuto, questo scritto mi ha colpito.
Mi piace molto l'analisi fatta dal Beluffi, all'autore di uno dei testi fondamentali della mia formazione, "La Grande Triade", di René Guenon, poi ritrattata per prendere una via inaspettata.
Sempre con ammirata stima come già scritto in un post precedente (http://lastanzaprivatadellarte.blogspot.com/2010/12/e-tempo-di-consuntivi-forse.html ).
LA SPIRITUALITA’ SALVERA’ IL MONDO_di Emanuele Beluffi
Innanzitutto perdonate il vezzo di citare e storpiare fin dal titolo il sommo scrittore russo (“La bellezza salverà il mondo”, Fedor Dostoevskij), ma vedrete quanta verità si nasconda dietro codesta licenza poetica. Lo confesso. Quel pomeriggio ai Giardini di Porta Venezia di Milano, mentre baluginavano gli ultimi chiarori dell’estate e i colori dell’autunno già improntavano di sè l’aere e la terra, dopo aver affrontato insieme a Olimpia (mi garba chiamarla così, per quel non so che di magniloquenza che sopravanza il più sbarazzino Alice) il retroterra concettuale della sua produzione artistica, il mio pensiero corse al discolo della filosofia chiamato René Guenon. L’impianto per dir così ideologico – nel senso della teoresi più pura, al di là delle civetterie politiche e sociologiche – dell’opera olimpica sembra infatti riflettere a tutta prima, facendole vibrare come ne fosse la replica isomorfica realizzata col linguaggio dell’arte visiva, le annotazioni affidate alle pagine di Simboli della Scienza Sacra, dove lo scrittore francese ci mette in allarme sulla décadence spirituale della modernità. E la produzione artistica di Alice Olimpia Attanasio risente parecchio di questo comun sentire, per il potenziale simbolico che la caratterizza in toto e per il “messaggio” – ma che termine inutilmente istituzionale – che questa artista giovane-giovane-ma-potente -come-un Caterpillar intende lanciare all’umanità dal chiuso del suo studiolo – “Houston, abbiamo un problema”.
Ma sulle affinità elettive che legano l’impianto concettuale dell’artista milanese alle teorie di René Guenon ho poi cambiato idea – del resto, non è saggezza popolare quella in base alla quale solo il cretino non cambia mai idea? Questo ritornar sui propri passi in corso d’opera si giustifica per il solo fatto che, sebbene le corrispondenze di pensosi sensi fra il monito guenoniano sulla riduzione della spiritualità a mero prodotto sociologico e il j’accuse di Olimpia sulla povertà spirituale della società moderna siano indubitabili, ciononostante il substrato dottrinario del filosofo francese resta solo come il terreno fertile su cui germoglia la personalissima visione di Alice Olimpia Attanasio, proclive a un universo di discorso più allargato e meno compromesso coi rimandi mistici ed esoterici: una visione apparentemente più scanzonata, in verità più drammatica e soprattutto più duttile. Parliamoci chiaro, infatti: Guenon ci indottrina su una presunta Tradizione segreta, ancestrale e universale, all’origine di tutte le religioni, ma noi gli replichiamo affermando che all’origine di tutto c’era l’uomo delle caverne, che non disponeva di alcuna Tradizione segreta che non fosse la sua clava.
Anche Olimpia è una sorta di “profetessa” e affida al suo linguaggio, il linguaggio artistico, la trasmissione di una verità indubitabile e supercontemporanea: il materialismo ha conculcato e offeso quell’afflato spirituale che è un’esigenza metafisica intrinseca all’essere umano e per questo motivo, per la mancanza di indirizzi culturali e vitali, per la morte del pensiero forte e il trionfo del pensiero debole che-non-è-ancora-morto e anzi si è ripresentato oggi più vivo che mai sotto le mentite spoglie dell’involuzione cognitiva del multitasking, per questi e altri motovi la società odierna va in malora. Non lo dico io soltanto – anche se l’affondo contro la succitata ignoranza cognitiva dell’era digitale è mio e soltanto mio, vox clamans in deserto. Lo dicono decenni e decenni di riflessioni condotte in seno all’antropologia culturale, lo dice il buon senso comune e lo riafferma Alice Olimpia Attanasio: l’attuale stato di cose è mentalmente e socialmente drammatico, urge una rivoluzione di tipo spirituale.
Ma niente paura: Olimpia non è Madame Blavatsky e non ha intenzione di fondare alcuna Società Teosofica, perchè lei è decisamente più pragmatica e forse anche più battagliera.
Eppure, eppure, dalle sue mani, da quelle mani che realizzano fisicamente l’espressione del suo pensiero, prende forma un’idea di riscatto, l’esigenza di un rinnovamento spirituale che riguarda ciascuno di noi e conseguentemente la società nel suo complesso. E trova sorprendenti analogie nella profezia di un lontano studente di Teologia che, poco più che ventenne, nel 1968 preconizzò la presente situazione mondiale, nei suoi risvolti negativi dell’involuzione spirituale ma anche nelle sue conseguenze positive rappresentate dalle sacche di resistenza allo stato di cose.
Lo sappiamo bene. La società attuale sta assistendo al combinato disposto di due fenomeni d’ordine epocale: il galoppante processo di secolarizzazione e l’avanzata della religione ad usum belli. Un processo che, almeno per quanto riguarda la vecchia Europa, prende la forma della scristianizzazione in quella che oramai si può già definire società post-cristiana. Una secolarizzazione attuata in brevissimo lasso di tempo e mai finora realizzata in queste dimensioni, nemmeno durante la Rivoluzione Francese con i giacobini che mozzavano la testa ai preti (a Parigi ne fecero fuori quattrocento).
Del resto, sono notizie di questi giorni (e ciò valga solo come l’ultimo degli innumerevoli rimandi esplicativi offerti dalla cronanca internazionale) la strage di cristiani ad Alessandria d’Egitto, le azioni nefande perpetrate dai fondamentalisti islamici in Nigeria e l’appello del poco amato Papa Ratzinger ai governi affinchè difendano la libertà religiosa (che, certo, nella fattispecie viene ad essere la religione cristiana minacciata dagli ultràs del fondamentalismo islamico, insieme alla libertà politica minacciata dai mozzorecchi di Teheran).
In questo panorama improntato alla secolarizzazione del Continente e all’avanzata impetuosa della religione guerriera, Alice Olimpia Attanasio denuncia il vuoto etico della moderna società secolare invitando l’osservatore, assertore od oppositore rispetto al suo messaggio, a riaccostarsi a una forma di spiritualità – quale che essa sia – come unico metodo da seguire per la salvazione di un’etica universale, prendendo come punto di riferimento non una religione particolare, ma la religiosità come attitudine e motore etico del mondo.
Ma la fedeltà al presente di Alice Olimpia Attanasio – e l’esser presenti al presente è forse la caratteristica principe della contemporaneità di un’opera d’arte – non si riflette nel qui e ora di una situazione già in atto, ma sorprendentemente anche nelle parole esplosive di un testo redatto quarantadue anni fa da un giovane studente di Teologia (pensate, si trattava semplicemente della sua tesi di laurea), quell’Harvey Cox, ora noto teologo americano, che in La società secolare preconizzò l’affermarsi di una società totalmente despiritualizzata in un contesto culturale destinato a un’inarrestabile secolarizzazione. La società moderna sarebbe andata incontro a un impoverimento etico generalizzato, non a causa del marxismo imperante ma semplicemente per consunzione propria. Una profezia in parte avverata e in parte contraddetta: perchè, se è vero che il materialismo e il noto pensiero debole, unitamente alla gaia levità del consumismo e del capitalismo da accattoni che impronta di sè il panorama mondiale, rendono lapalissiana la miseria della condizione umana, cionondimeno permane tuttora forte l’esigenza di un risveglio spirituale, massimamente incarnato in alcune sacche di resistenza appartenenti alla nuova generazione che tende ad accostarsi a quella spiritualità irrisa dagli epigoni, sorprendendo le profezie di padri e cattivi maestri.
La mancanza di un’etica universale, che ciascuno di noi può riacquistare piegandosi dentro la propria anima e mettendo in atto il lavoro più difficile che consiste nel conoscere se stessi, è l’altra piega rispetto all’assenza di spiritualità: senza l’una, non v’è l’altra. Una riflessione che impronta di sè anche la nostra fede e le convinzioni di noi, liberali occidentali che con Benedetto Croce non possiamo non dirci cristiani. Una – amara – constatazione che fa dire a Olimpia che sì, Gesù fu il più grande filosofo di tutti i tempi (in questo si trova in buona compagnia, lo disse anche George W. Bush!), ma la secolarizzazione l’ha reso anche il miglior businessman, visti gli addentellati consumistici relativi alla moderna vendita di ninnoli religiosi legati alle devozioni moderne.
Alice Olimpia Attanasio intende con la propria opera dare forma a un cammino spirituale progressivo, sintetizzato dalla suddivisione a tappe, o stazioni, che definiscono l’ordinamento stesso di questa mostra, tributandone il senso custodito fin nel titolo. Panopticon, l’occhio che tutto scruta. C’è tutta Alice Olimpia Attanasio, qui: carte, installazioni, sculture, un video. Ogni sala espositiva è la parola di un discorso che si riverbera nella globalità della mostra stessa. Ogni sala espositiva è un verbo, il frammento di un discorso che fornisce il senso globale della mostra, un percorso a tappe obbligate in cui ogni espressione artistica rappresenta un viatico alla meta. Panopticon, un colpo d’occhio preliminare sul mondo là fuori, l’afflato di una rivoluzione spirituale cadenzata dai riti di passaggio che conducono alla rivelazione finale. Una rivelazione con la “r” minuscola, perchè scevra da qualsivoglia condizionamento fideistico: in certo senso, ogni forma di spiritualità è la strada positiva che conduce all’armonia universale. Per questo motivo l’artista milanese fugge dal pericolo pressante rappresentato dal sincretismo, lo shopping della spiritualità un tanto al chilo, prendendo invece come punto di riferimento l’aspirazione innata in ciascuno di noi a trovare la sua propria “religione”, accompagnandolo nella ricerca di una spiritualità personale.
Solo la spiritualità può fondare l’etica, solo un’etica spirituale può salvare il mondo.
Innanzitutto perdonate il vezzo di citare e storpiare fin dal titolo il sommo scrittore russo (“La bellezza salverà il mondo”, Fedor Dostoevskij), ma vedrete quanta verità si nasconda dietro codesta licenza poetica. Lo confesso. Quel pomeriggio ai Giardini di Porta Venezia di Milano, mentre baluginavano gli ultimi chiarori dell’estate e i colori dell’autunno già improntavano di sè l’aere e la terra, dopo aver affrontato insieme a Olimpia (mi garba chiamarla così, per quel non so che di magniloquenza che sopravanza il più sbarazzino Alice) il retroterra concettuale della sua produzione artistica, il mio pensiero corse al discolo della filosofia chiamato René Guenon. L’impianto per dir così ideologico – nel senso della teoresi più pura, al di là delle civetterie politiche e sociologiche – dell’opera olimpica sembra infatti riflettere a tutta prima, facendole vibrare come ne fosse la replica isomorfica realizzata col linguaggio dell’arte visiva, le annotazioni affidate alle pagine di Simboli della Scienza Sacra, dove lo scrittore francese ci mette in allarme sulla décadence spirituale della modernità. E la produzione artistica di Alice Olimpia Attanasio risente parecchio di questo comun sentire, per il potenziale simbolico che la caratterizza in toto e per il “messaggio” – ma che termine inutilmente istituzionale – che questa artista giovane-giovane-ma-potente
Ma sulle affinità elettive che legano l’impianto concettuale dell’artista milanese alle teorie di René Guenon ho poi cambiato idea – del resto, non è saggezza popolare quella in base alla quale solo il cretino non cambia mai idea? Questo ritornar sui propri passi in corso d’opera si giustifica per il solo fatto che, sebbene le corrispondenze di pensosi sensi fra il monito guenoniano sulla riduzione della spiritualità a mero prodotto sociologico e il j’accuse di Olimpia sulla povertà spirituale della società moderna siano indubitabili, ciononostante il substrato dottrinario del filosofo francese resta solo come il terreno fertile su cui germoglia la personalissima visione di Alice Olimpia Attanasio, proclive a un universo di discorso più allargato e meno compromesso coi rimandi mistici ed esoterici: una visione apparentemente più scanzonata, in verità più drammatica e soprattutto più duttile. Parliamoci chiaro, infatti: Guenon ci indottrina su una presunta Tradizione segreta, ancestrale e universale, all’origine di tutte le religioni, ma noi gli replichiamo affermando che all’origine di tutto c’era l’uomo delle caverne, che non disponeva di alcuna Tradizione segreta che non fosse la sua clava.
Anche Olimpia è una sorta di “profetessa” e affida al suo linguaggio, il linguaggio artistico, la trasmissione di una verità indubitabile e supercontemporanea: il materialismo ha conculcato e offeso quell’afflato spirituale che è un’esigenza metafisica intrinseca all’essere umano e per questo motivo, per la mancanza di indirizzi culturali e vitali, per la morte del pensiero forte e il trionfo del pensiero debole che-non-è-ancora-morto e anzi si è ripresentato oggi più vivo che mai sotto le mentite spoglie dell’involuzione cognitiva del multitasking, per questi e altri motovi la società odierna va in malora. Non lo dico io soltanto – anche se l’affondo contro la succitata ignoranza cognitiva dell’era digitale è mio e soltanto mio, vox clamans in deserto. Lo dicono decenni e decenni di riflessioni condotte in seno all’antropologia culturale, lo dice il buon senso comune e lo riafferma Alice Olimpia Attanasio: l’attuale stato di cose è mentalmente e socialmente drammatico, urge una rivoluzione di tipo spirituale.
Ma niente paura: Olimpia non è Madame Blavatsky e non ha intenzione di fondare alcuna Società Teosofica, perchè lei è decisamente più pragmatica e forse anche più battagliera.
Eppure, eppure, dalle sue mani, da quelle mani che realizzano fisicamente l’espressione del suo pensiero, prende forma un’idea di riscatto, l’esigenza di un rinnovamento spirituale che riguarda ciascuno di noi e conseguentemente la società nel suo complesso. E trova sorprendenti analogie nella profezia di un lontano studente di Teologia che, poco più che ventenne, nel 1968 preconizzò la presente situazione mondiale, nei suoi risvolti negativi dell’involuzione spirituale ma anche nelle sue conseguenze positive rappresentate dalle sacche di resistenza allo stato di cose.
Lo sappiamo bene. La società attuale sta assistendo al combinato disposto di due fenomeni d’ordine epocale: il galoppante processo di secolarizzazione e l’avanzata della religione ad usum belli. Un processo che, almeno per quanto riguarda la vecchia Europa, prende la forma della scristianizzazione in quella che oramai si può già definire società post-cristiana. Una secolarizzazione attuata in brevissimo lasso di tempo e mai finora realizzata in queste dimensioni, nemmeno durante la Rivoluzione Francese con i giacobini che mozzavano la testa ai preti (a Parigi ne fecero fuori quattrocento).
Del resto, sono notizie di questi giorni (e ciò valga solo come l’ultimo degli innumerevoli rimandi esplicativi offerti dalla cronanca internazionale) la strage di cristiani ad Alessandria d’Egitto, le azioni nefande perpetrate dai fondamentalisti islamici in Nigeria e l’appello del poco amato Papa Ratzinger ai governi affinchè difendano la libertà religiosa (che, certo, nella fattispecie viene ad essere la religione cristiana minacciata dagli ultràs del fondamentalismo islamico, insieme alla libertà politica minacciata dai mozzorecchi di Teheran).
In questo panorama improntato alla secolarizzazione del Continente e all’avanzata impetuosa della religione guerriera, Alice Olimpia Attanasio denuncia il vuoto etico della moderna società secolare invitando l’osservatore, assertore od oppositore rispetto al suo messaggio, a riaccostarsi a una forma di spiritualità – quale che essa sia – come unico metodo da seguire per la salvazione di un’etica universale, prendendo come punto di riferimento non una religione particolare, ma la religiosità come attitudine e motore etico del mondo.
Ma la fedeltà al presente di Alice Olimpia Attanasio – e l’esser presenti al presente è forse la caratteristica principe della contemporaneità di un’opera d’arte – non si riflette nel qui e ora di una situazione già in atto, ma sorprendentemente anche nelle parole esplosive di un testo redatto quarantadue anni fa da un giovane studente di Teologia (pensate, si trattava semplicemente della sua tesi di laurea), quell’Harvey Cox, ora noto teologo americano, che in La società secolare preconizzò l’affermarsi di una società totalmente despiritualizzata in un contesto culturale destinato a un’inarrestabile secolarizzazione. La società moderna sarebbe andata incontro a un impoverimento etico generalizzato, non a causa del marxismo imperante ma semplicemente per consunzione propria. Una profezia in parte avverata e in parte contraddetta: perchè, se è vero che il materialismo e il noto pensiero debole, unitamente alla gaia levità del consumismo e del capitalismo da accattoni che impronta di sè il panorama mondiale, rendono lapalissiana la miseria della condizione umana, cionondimeno permane tuttora forte l’esigenza di un risveglio spirituale, massimamente incarnato in alcune sacche di resistenza appartenenti alla nuova generazione che tende ad accostarsi a quella spiritualità irrisa dagli epigoni, sorprendendo le profezie di padri e cattivi maestri.
La mancanza di un’etica universale, che ciascuno di noi può riacquistare piegandosi dentro la propria anima e mettendo in atto il lavoro più difficile che consiste nel conoscere se stessi, è l’altra piega rispetto all’assenza di spiritualità: senza l’una, non v’è l’altra. Una riflessione che impronta di sè anche la nostra fede e le convinzioni di noi, liberali occidentali che con Benedetto Croce non possiamo non dirci cristiani. Una – amara – constatazione che fa dire a Olimpia che sì, Gesù fu il più grande filosofo di tutti i tempi (in questo si trova in buona compagnia, lo disse anche George W. Bush!), ma la secolarizzazione l’ha reso anche il miglior businessman, visti gli addentellati consumistici relativi alla moderna vendita di ninnoli religiosi legati alle devozioni moderne.
Alice Olimpia Attanasio intende con la propria opera dare forma a un cammino spirituale progressivo, sintetizzato dalla suddivisione a tappe, o stazioni, che definiscono l’ordinamento stesso di questa mostra, tributandone il senso custodito fin nel titolo. Panopticon, l’occhio che tutto scruta. C’è tutta Alice Olimpia Attanasio, qui: carte, installazioni, sculture, un video. Ogni sala espositiva è la parola di un discorso che si riverbera nella globalità della mostra stessa. Ogni sala espositiva è un verbo, il frammento di un discorso che fornisce il senso globale della mostra, un percorso a tappe obbligate in cui ogni espressione artistica rappresenta un viatico alla meta. Panopticon, un colpo d’occhio preliminare sul mondo là fuori, l’afflato di una rivoluzione spirituale cadenzata dai riti di passaggio che conducono alla rivelazione finale. Una rivelazione con la “r” minuscola, perchè scevra da qualsivoglia condizionamento fideistico: in certo senso, ogni forma di spiritualità è la strada positiva che conduce all’armonia universale. Per questo motivo l’artista milanese fugge dal pericolo pressante rappresentato dal sincretismo, lo shopping della spiritualità un tanto al chilo, prendendo invece come punto di riferimento l’aspirazione innata in ciascuno di noi a trovare la sua propria “religione”, accompagnandolo nella ricerca di una spiritualità personale.
Solo la spiritualità può fondare l’etica, solo un’etica spirituale può salvare il mondo.
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