Della grande mostra dedicata a Renato Guttuso a Roma, presso il complesso del Vittoriano, vi ho già dato notizia nel post http://lastanzaprivatadellarte.blogspot.it/2012/10/renato-guttuso-al-vittoriano.html.
Ora trovo, nel blog della stimata Antonella Colaninno (http://antonellacolaninnoarte.blogspot.it/), un testo relativo alla visita fatta a questa straordinaria mostra.
Lo ripropongo anche in questo spazio...
Articolo originale su:
“Quanno finisci di
travirsarla tutta e infini arriva a capo della viuzza, si trova ad aviri il
sciato grosso come quanno si tocca la riva allo stremo delle forzi doppo ‘na
longa natata” Andrea Camilleri (da La Vucciria Renato Guttuso)
di Antonella Colaninno
Non è semplice cercare di
raccontare il mondo così come lo vedeva Renato Guttuso (Bagheria, 1912 – Roma, 1987)
che del suo tempo e del suo mestiere ha fatto passione di vita e di arte.“Se io potessi, per una attenzione del
Padreterno, scegliere un momento nella storia e un mestiere sceglierei questo
tempo e il mestiere del pittore.” Sempre attento alle relazioni con altri
artisti, Guttuso ha mantenuto viva in sé una certa “sicilitudine.”
L’amore per la vita e per il colore, e un erotismo mai nascosto sono solo una
parte di una visione del mondo dove l’ombra della morte resta una presenza vigile,
una nota stridente che serpeggia misteriosa tra la vitalità della gente e dei
colori dei suoi mercati. Una visione antica di amore e di morte, di erotismo e
di passione che traduce il mito e la storia nel presente perché il vero
protagonista in Guttuso è l’uomo e la sua storia.
Una vita vissuta tra Milano,
Palermo e Roma tra artisti ed intellettuali. Alberto Moravia, Giacomo Manzù,
Leonardo Sciascia, Eugenio Montale, Pablo Neruda, Luchino Visconti, Vittorio De
Sica e Pierpaolo Pasolini ebbero con lui un’intensa collaborazione artistica, e
poi l’amico Picasso a cui dedicò una serie di opere tra cui Il Convivio (1973),
nella quale Picasso pittore siede tra alcuni dei suoi personaggi come la donna
de Les demoiselles e l’Arlecchino
pensoso.
In occasione del centenario della sua nascita, Roma dedica all’artista
siciliano una grande mostra, la prima antologica sull’intero percorso artistico
di Guttuso che a Roma trascorse più di 50 anni di vita. Oltre 100 opere
raccontano il suo impegno di artista nella società, spesso criticato da aspre
polemiche quando il suo linguaggio si fa provocatore e rompe gli schemi
iconografici tradizionali. La
Crocifissione (1940,41) con la Maddalena denudata e le
croci collocate frontalmente l’una alle altre, sollevò la disapprovazione degli
ambienti cattolici e fu condannata dal Vaticano. Guttuso amava dipingere tele
di grande formato, pensava fosse un atto dovuto ad un pittore.“Io di solito aspetto che mi vengano le
idee, non le vado mai a cercare, un giorno ero seduto al caffè Greco, proprio
nella sala che ho dipinto, e ho cominciato a pensare che era un tema che mi si
addiceva. C’era de Chirico da un lato, seduto. Ho continuato a pensare al
progetto e quando si è un po’ maturato ho incominciato a fare qualche disegno
[…] in questo quadro c’è un elemento catalizzatore, Giorgio de Chirico, anche
se il fascino del luogo nasce anche dalla gente che ci è passata, da Buffalo
Bill a Gabriele D’Annunzio. […] nel quadro ci sono molti elementi
dechirichiani, penso a “il sogno del poeta” a “il ritratto premonitore di
Guillaume Apollinaire […]. Volevo però dare, sia pure con un solo segno, il
senso della storia che è passata.”
Guttuso racconta così, le
immagini di una storia attraverso altre storie, dando vita ad un sentimento
collettivo che traccia il disegno di un’epoca e si concentra sul tempo
dell’uomo. Nella Vucciria (1974), l’esaltazione del colore e la sinuosità delle
forme enfatizzano un sentimento di morte. Le carni appese ed il piano inclinato
sullo sfondo dove la frutta e gli ortaggi sembrano ruotare in un vortice,
esprimono il senso del tempo e del suo inesorabile passaggio. Cesare Brandi scrive che
“[…] il quadro brucia, il quadro, con
tanti timbri quasi violenti che si cozzano, in realtà vive entro contorni di
pece, listato e lutto. […] come su un fondo nero, come dipinto su una lastra di
lavagna […]” Una chiara allusione alla sua terra, la Sicilia, così piena di
vita e di colori ma segnata da un destino di paura e di morte. Lo stesso
Guttuso scriveva: “E’ un quadro nero […] mentre dipingevo, mi sono accorto come
tutta quella abbondanza di vita contenesse, nel fondo, un senso distruttivo.
Senza che io ci pensassi o volessi, la tela esalava un sentimento di morte.”
In Guttuso la memoria è il
filo conduttore delle sue storie. La memoria di sé, riprodotta negli
autoritratti, la memoria dei luoghi che attraverso i colori esprimono le
sensazioni dei profumi e dei sapori. E
infine, la memoria della storia e delle tante storie che la compongono. Le
atmosfere cupe della guerra e la luce della Sicilia, la memoria letteraria e quella
neorealista desunta dal cinema e dagli ambienti popolari. Tutto il Novecento si
racconta nell’umanità di Renato Guttuso, con le sue passioni e le sue storie di
dolore, ancora così antica per essere contemporanea, ma così attuale pur restando
anacronistica.
“Chi ripercorre la sua pittura, come le motivazioni
che passo passo ne hanno giustificato le ragioni, è di fronte a un grado di
passionalità partecipativa, di vitalismo, sorprendenti, e certo di portata
tutt’altro che inattuale.” Enrico Crispolti
Mostra visitata il 12 dicembre
In alto, in ordine: Guttuso e Marta Marzotto; Il caffè greco; La Vucciria (particolare); Amanti (?); Figura femminile.
Pubblicato da Antonella
Colaninno
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