SIGNORINI, FATTORI, LEGA E I MACCHIAIOLI DEL CAFFE' MICHELANGIOLO
RIBELLI SI NASCE
a cura di Maurizio Vanni e Stefano Cecchetto
dal 21 novembre 2014 al 6 aprile 2015
I giovani ribelli che hanno segnato l'Ottocento toscano – spesso con gli scritti – ma soprattutto con la pittura, intendevano affermare il loro credo estetico con le opere e, a dispetto di una contemporaneità che non li apprezzava e forse allora li compativa, hanno continuato a lavorare nel tentativo di rieducare una società viziata dai preconcetti accademici e da una produzione commerciale che vedeva nell'arte soltanto materiale di arredo per le case della nuova borghesia.
Ribelli si nasce quindi, per impeto, per passione, ma anche e soprattutto per un effetto della ragione. Questi artisti, dopo aver intuito in maniera limpida la visione della realtà, hanno saputo restituirla attraverso sottilissime reazioni che dichiarano una lungimirante modernità.
Ecco perché alcuni capolavori di quel periodo si possono rileggere oggi in chiave moderna quale espressione di uno stato lirico che indaga il colore e la forma, nell'universo pittorico di una rappresentazione dove ogni dettaglio è indispensabile alla sua continuità nel tempo.
La rappresentazione di un 'tempo sospeso' è il segno concettuale che diventa il tema conduttore di gran parte della pittura dell'Ottocento, anticipando quindi la grande svolta che la psicanalisi darà poi al linguaggio del Novecento nell'esplorazione di temi più consoni all'introspezione dell'individuo.
Ma qui, è ancora il gusto poetico del paesaggio e della figura a determinare il filo rosso che unisce i poli di una pittura che vuole rappresentare – al di là dell'aneddoto – il percorso della vita quotidiana e il suo procedere lirico.
Ecco perché la panoramica sull’arte toscana dell’Ottocento che emerge da tale osservatorio privilegiato non include solo i macchiaioli, e tra questi non esclusivamente Silvestro Lega e Giovanni Fattori, ma anche Cristiano Banti, Giuseppe Abbati, Luigi Bechi, Giovanni Boldini, Raffaello Sernesi, Odoardo Borrani, Vincenzo Cabianca, Vito D'Ancona, Cesare Ciani, Nico Costa, e la famiglia Tommasi con Adolfo, Angiolo e Lodovico, artefici di un rinnovamento pittorico che apre le istanze al linguaggio del Novecento.
Certo tutte le opere di questi artisti riflettono ancora lo scandire del tempo e la sacralità di una lentezza antica di giornate trascorse all’interno di stanze borghesi e all’aperto nei giardini; una lentezza che racconta il percorso di un processo rispettoso della condizione umana dell'esistenza. Un ‘clima’ di vita che entra nei luoghi e li illumina non soltanto di luce, ma soprattutto di elementi narrativi ricchi di stati d’animo e di emozioni intime.
Per l’artista, dipingere è il gesto che permette di ricostruire l’equilibrio tra finito e infinito, l’immagine inquadrata nella tela ristabilisce le dimensioni dell’universo, profonde lontananze di luce ravvisano quella voglia di cercare che lo spinge a una sorta di ‘approfondimento’ interiore. Degli artisti di quel periodo è importante segnalare il carattere personale del 'colpo d'occhio' a conferma di quell'emozione improvvisa che distingue colui che guarda da colui che 'vede'. Il che sta a dimostrare quanto i pittori toscani avessero posto originalmente in opera alcune delle esigenze più vive dell'esperienza francese, riportandole però agli elementi di un linguaggio figurativo che esula dalla tecnica pittorica e si sposta verso la dimensione di una nuova e più autentica 'spiritualità'.
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