Maurizio Vanni, direttore del Lu.C.C.A., amico di vecchia data, intervistato da Claudia Giraud
Ecco l'intervista, letteralmente, e anche fisicamente, "rubata" da Artribune
Curare, dirigere, promuovere oggi. Maurizio Vanni dice che…
I “Racconti scenici” che rammentano le presentazioni di Goldin, i talk show con personaggi dello spettacolo, le partecipazioni alle Biennali di mezzo mondo, da Mosca al Brasile. E progetti localissimi, come quello in Maremma. Maurizio Vanni a tutto tondo, in una intervista che fa da preludio all’evento di Lucca il prossimo mercoledì 12 ottobre. A base di carta igienica.
Anche lei, come Goldin nel 2006, in occasione della grande mostra a Brescia Da Turner agli Impressionisti, è stato regista, autore dei testi e narratore di un’opera teatrale per promuovere una mostra da lei curata. Mi riferisco a Ossessione Dalì e al format del Racconto scenico che racconta la vita di Dalì e Gala attraverso momenti teatrali, musicali, di danza e performativi. Goldin è stato il suo modello di riferimento?
Nel 2006 ero al Teatro La Pergola di Firenze ad assistere all’opera di Goldin Lontano dal mondo, legato alla presentazione della mostra di Gauguin e van Gogh. L’unica cosa che accomuna il nostro lavoro è la scelta di un luogo e di un mezzo non convenzionale per proporre contenuti desunti dalle arti visive. Il Racconto scenico non nasce per promuovere la mostra e non è solo un’opera teatrale, ma un lavoro interdisciplinare che cerca un contatto diretto con il pubblico per trascinarlo nelle passioni degli artisti e alla scoperta delle loro pulsioni interiori. Alla parte teatrale unisce alcuni momenti performativi irripetibili, che cambiano di volta in volta, dove la mia partecipazione è attiva e propedeutica a trasmettere l’emozione che presiede l’invenzione dell’artista.
Com’è nata allora l’idea?
La scintilla è nata da tanti amici che, seppur curiosi e intraprendenti, si lamentavano di non essere in grado di capire e decifrare i codici comunicativi legati alle arti contemporanee. Non riuscivo a far comprendere loro che, se avessi spiegato un’installazione, avrei semplicemente trasmesso l’esito emotivo scaturito, oltre che dalla mia mente, dal mio apparato sensoriale. Il Racconto scenico non spiega, non racconta e non promuove, ma trasmette arte attraverso l’arte, emozioni pure che preparano gli spettatori a vivere soggettivamente e individualmente altre emozioni pure. L’arte contemporanea non si spiega, si vive, si partecipa e si condivide.
Lei sembra prediligere la forma televisiva del talk show negli eventi a latere delle mostre che cura, invitando molti personaggi dello spettacolo. Ad esempio Ludmilla Radchenko durante gli incontri serali (Cafè Off) de La Versiliana, oppure Eva Robbin’s in occasione di Face/Off. Pensa che questa formula contribuisca a rafforzare l’affezione delle persone alla cultura o piuttosto non si esaurisca nell’immediato riscontro di pubblico, forse più interessato all’intrattenimento effimero?
Non potrei mai fare qualcosa che non sia concepito come un investimento a medio-lungo termine. I miei talk show sono piccoli spettacoli di intrattenimento che, dopo le presentazioni ufficiali delle mostre e le convenzionali conferenze di approfondimento, mirano a coinvolgere tutte quelle persone che, probabilmente, non entrerebbero mai nei musei o nei teatri. È stato bello vedere Eva Robbin’s e Ludmilla Radchenko, donne sensibili, motivate e preparate nelle rispettive discipline, dialogare senza maschera con il pubblico e confrontarsi, direttamente o indirettamente, con personaggi come Chia, Amendola, Calopresti, Branciaroli, Giordana, Vecchioni, Adami ecc.
Qual è dunque l’obiettivo dei talk show?
Potrei definire i miei talk show come “inganni leali”: l’idea è di far dialogare il pubblico con gli ospiti che si confrontano su un filo conduttore legato a una mostra o a un’opera teatrale, ma anche di far vivere emotivamente questi momenti contaminando le serate con eventi performativi interdisciplinari. I mio target è ampio e in particolare giovani e giovanissimi sembrano gradire questo format. Il pubblico si diverte, conosce l’uomo oltre all’artista, vive in modo trasversale e contemporaneo il tema della serata e si porta a casa emozioni e pensieri, spesso, senza rendersene conto. Qualcosa che va ben oltre il piacere effimero di un’ora divertente.
Lei è museologo, storico e critico d’arte, con una laurea in Art Management a Saint Louis. Secondo la sua esperienza, oggi per essere visitata una mostra non può più prescindere dagli eventi collaterali? Le doti manageriali avranno sempre più il sopravvento sulle competenze storico-scientifiche?
Naturalmente ho anche una laurea in Storia dell’Arte e una specializzazione in Museologia, ma devo ammettere che senza l’esperienza formativa nel settore dell’economia e del marketing sarei molto diverso da ciò che sono. Intanto divido la mia vita professionale in due: direttore di museo e curatore. Quando si ha la responsabilità di una struttura museale, si devono anche far tornare i conti, selezionando mostre e progetti espositivi, quantomeno triennali, in linea con il budget e, in parte, con gli obiettivi mediatici e di pubblico. Oggi un museo è una vera e propria azienda che produce cultura. Da curatore sono più libero, ma anche in questo caso il luogo o la committenza potrebbero condizionare le scelte, però senza comprometterne la qualità. Non ho una scuderia di artisti, non ho predilezioni stilistiche, anzi, la mia curiosità mi fa spaziare in decenni differenti e in discipline diverse. Non esiste l’artista o il progetto ideale in senso assoluto, ma l’evento pertinente al tema, al Paese, al museo, al territorio e agli obiettivi della committenza. Nessuno mi dirà mai cosa portare e come presentarlo, ma se voglio continuare a lavorare coerente al mio modo di intendere l’arte ed essere completamente libero nelle mie scelte, dovrò centrare sempre le mission dichiarate. Le mostre che curo sono supportate da progetti scientifici e curatoriali blindati. Gli eventi collaterali permettono, invece, di esaltare i progetti di marketing e di comunicazione, di coinvolgere target indistinti di pubblico, di avere notevoli riscontri mediatici e di preparare, sul lungo termine, un territorio, alle sollecitazioni legate all’arte contemporanea. Il tutto senza scendere a compromessi con la mostra vera e propria.
Il suo evento più riuscito?
Naturalmente il prossimo!
Recentemente ha curato il progetto speciale Behind the mirror per la Biennale di Mosca, tuttora in corso, ed è in cantiere la partecipazione alla prossima biennaleUnifor Plástica di Fortaleza. In cosa consisterà il suo nuovo progetto e quali artisti chiamerà?
Anche in questo caso, avendo ricevuto l’invito direttamente dal curatore, mi sono confrontato con il suo tema generale e con il taglio comunicativo. La scelta degli artisti, quindi, è stata coerente al messaggio che volevo trasmettere e alle discipline che volevo selezionare. A Mosca ho portato tre grandi installazioni, un’opera multimediale e interattiva site specific e una video-performance, coinvolgendo Francesco Attolini, Christian Balzano e Lolita Timofeeva. In Brasile porterò una grande installazione realizzata con dipinti e disegni e un lavoro plastico site specific di Bruno Pedrosa. Dover rispettare un argomento e doversi adattare a un taglio curatoriale già definito non è mai un limite.
Le mostre curate presso i musei archeologici della Maremma (Dietrich Klinge 2008, Niki de Saint Phalle 2009, Joan Miró 2010 e Salvador Dalí 2011) rientrano nel progetto della Provincia di Grosseto MiC – Maremma in Contemporanea. In che cosa consiste? Quale ruolo ricopre al suo interno?
Dal 2008 sono coordinatore del comitato scientifico della Provincia di Grosseto e il mio compito, in sintonia con gli altri membri del comitato e con la responsabile del Sistema museale, è quello di creare un nuovo modo di comunicare un territorio come la Maremma attraverso un progetto quinquennale legato all’arte moderna e contemporanea. Mostre, eventi culturali, progetti ludico-didattici, eventi collaterali a tema, interdisciplinarietà, marketing emozionale e tanto amore per il territorio dove sono nato. Sono molto contento degli esiti e del gruppo di lavoro.
Il suo nuovo Racconto scenico, previsto a Lucca il 12 ottobre, presso la suggestiva sede della Galleria Claudio Poleschi, sembra un compendio della sua particolare modalità comunicativa fatta di contaminazione delle arti e coinvolgimento di mondi lontani, in questo caso l’industria della carta igienica. Cosa succederà quella sera e chi sono gli artisti-boxer invitati?
Prendiamo un rotolo innovativo e rivoluzionario di carta igienica, un ring rotondo, otto “boxer-performer” legati a discipline artistiche differenti e tanta voglia di far vivere livel’arte a 200 invitati che, per parteciparla e condividerla, dovranno presentarsi con un loro personalissimo rotolo. Un sogno e tutto in una notte.
Claudia Giraud
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