Annalisa Fulvi l'ho conosciuta diversi anni fa. Già allora prometteva... ed ora..
dal blog di Ivan Quaroni
Annalisa Fulvi. Architetture in transito
di Ivan Quaroni
“Vous savez, c’est la vie qui a raison, l’architecte qui a tort.”
(Le Cordbusier)
“Credimi, quella era un’età felice, prima dei giorni
degli architetti, prima dei giorni dei costruttori.”
(Lucio Anneo Seneca)
La città come teatro delle trasformazioni
culturali e sociali è un tema iconografico ricorrente fin dalla fine
del diciannovesimo secolo. Prima le visioni dinamiche dei futuristi, poi
gli squarci silenti delle periferie di Sironi hanno trasformato il landscape
urbano in un vero e proprio genere. In particolare tra la fine degli
anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio, la pittura figurativa si è
spesso cimentata con soggetti metropolitani.
Sulla scia delle teorie dell’etnoantropologo francese Marc Augé, molti artisti hanno sviluppato il tema dei non-luoghi,
dedicandosi da un lato alla rappresentazione di spazi abbandonati,
dall’altro a quella di luoghi di passaggio, caratterizzati da una
riduzione ai minimi termini della socialità. Fabbriche in disuso, vecchi
gasometri, scheletri di archeologia industriale, ma anche aeroporti,
centri commerciali, ipermercati, autostrade sono entrati stabilmente
nell’immaginario della nuova figurazione italiana, documentando la
transizione tra una società di tipo industriale e una basata
essenzialmente sullo sviluppo del terziario avanzato.
In anni più recenti, il sociologo Zygmunt
Bauman ha messo in discussione la vita quotidiana delle persone nelle
grandi aree metropolitane. Nel saggio intitolato Fiducia e paura nella città,
Bauman ha documentato come la metropoli, un tempo luogo di sviluppo e
promozione sociale, ma anche di sicurezza, sia diventata un ricettacolo
di problemi difficilmente risolvibili, che generano un senso di
frustrazione e insicurezza. Le città postmoderne sono diventate oggetto
di un fenomeno inverso di abbandono, dovuto non solo alle proibitive
condizioni materiali ed economiche, ma anche al senso di precarietà e
paura, due elementi chiave della teoria di Bauman sulla modernità liquida.
Il tema centrale del pensiero del sociologo, è però l’effetto sugli
individui provocato dai rapidi cambiamenti della società dei consumi.
Rapidi cambiamenti che riguardano anche l’assetto urbanistico,
attraverso l’insorgere di cantieri edili che riecheggiano nel panorama
visivo di milioni di cittadini, diventando il simbolo della precarietà
esistenziale teorizzata dal sociologo polacco.
La ricerca di Annalisa Fulvi è incentrata
sull’analisi delle trasformazioni del territorio (non solo urbano, ma
anche naturale) attraverso la rilevazione di spazi e ambienti in
continua metamorfosi. L’artista non documenta soltanto i cambiamenti
tangibili del paesaggio, ma anche quelli virtualmente possibili,
includendo nel campo della rappresentazione pittorica anche i potenziali
sviluppi dell’architettura e delle forme naturali. Fulvi parte
dall’osservazione della realtà, e in particolare dall’analisi delle
strutture culturali che la definiscono, per costruire una pittura
ambiguamente sospesa tra astrazione e figurazione. Una pittura
affastellata, in cui si sommano elementi realistici e pattern
geometrici, fughe prospettiche e icone segnaletiche. Proprio da Zygmunt
Bauman, l’artista ha mutuato l’idea di una società liquida, insieme
mobile e instabile, dove la provvisorietà del tessuto urbano diventa il
riflesso, e insieme il sintomo, della incertezza psicologica ed
esistenziale.
La sua è una pittura che individua
nell’indeterminatezza e nella contraddizione i segni caratteristici
della realtà contemporanea, restituendoci la visione di uno spazio
incompiuto, prospetticamente ambiguo, basato sulla caotica
giustapposizione e interferenza di strutture temporanee come
impalcature, segnali, tralicci, elementi che evidenziano la natura
aleatoria e impermanente del tessuto urbano. “Il concetto che m’interessa sottolineare”, ha spiegato più volte l’artista, “è quello della mutazione delle strutture, in contrapposizione alla solidità della natura”.
Mentre il paesaggio naturale trasmette, infatti, un’impressione di
stabilità, quello antropico è soggetto a forti pressioni dinamiche che
ne ridisegnano l’aspetto, rendendolo, via via, più congestionato e
inospitale. Di conseguenza, le trasformazioni ambientali inducono
l’osservatore a riflettere sui comportamenti individuali che, spesso
inconsapevolmente, hanno causato tali squilibri.
Aldilà dei risvolti sociologici,
l’indagine di Annalisa Fulvi è innanzitutto volta alla definizione di
una grammatica pittorica capace di riflettere le tendenze centrifughe
dei nuovi modelli di rappresentazione. Assimilabile, per certi versi,
alle ricerche di artisti provenienti dalla Nuova Scuola di Lipsia – uno
su tutti, David Schnell – la pittura dell’artista italiana è
caratterizzata da un approccio figurativo anti-classico, in cui la
cultura di progetto si fonde con memorie di matrice cubo-futurista e con
riferimenti alla cultura pop. Le sue architetture provvisorie, così
come i suoi scorci di paesaggio, sono costruiti attraverso la
sovrapposizione dei piani prospettici, il decentramento e la
moltiplicazione dei punti di vista e la coesistenza di tecniche e
perfino di linguaggi antitetici.
L’artista non solo mescola dettagli
realistici e campiture astratte, ma opera sulla superficie della tela
stratificando interventi pittorici e serigrafici, creando, così,
un’originale alternanza di elementi caldi e freddi, di apporti grafici e
gestuali che alterano la continuità spazio-temporale della
rappresentazione. Si può che la pittura ibrida di Annalisa Fulvi sia
debitrice tanto nei confronti del collage tradizionale, quanto della
moderna pratica del cut & paste digitale, perché in essa la
logica combinatoria dell’assemblaggio si fonde con la tendenza a
utilizzare fonti iconografiche disparate. Insomma, l’artista, nonostante
l’ironico e affettuoso tributo al De Re Aedificatoria di Leon
Battista Alberti – il trattato rinascimentale che si proponeva di
attualizzare le norme architettoniche vitruviane – è ben lontana
dall’adottare la visione unitaria (e unificante) della tradizione
classica. La sua pittura è piuttosto la conferma dell’affermarsi di una
nuova visione, aperta, ma anche frammentaria della realtà, che ammette
la coesistenza simultanea di una pluralità di punti di vista e che
concepisce la rappresentazione come una sommatoria d’immagini e segni
contradditori.
A questo principio d’indeterminazione
pittorica, a questa intrinseca ambiguità stilistica, fa capo l’insistito
contrasto tra le linee razionali dell’architettura e le trame
testurali, entrambe portatrici di un’idea tradizionale di ordine ed
equilibrio, e la presenza di segni essenziali, campiture informi e
tracce incompiute che, invece, testimoniano la natura caotica e
destabilizzante delle esperienze percettive contemporanee. “Ogni mia opera”, racconta lei, “è
la messa in scena di una prospettiva effimera che ci porta a
interpretare il nostro tempo indagandolo e cercando di comprenderne i
meccanismi, le novità, e le contraddizioni”.
Artista cosmopolita, già vincitrice di
premi nazionali e di residenze all’estero (in Islanda, Turchia e
Francia), Annalisa Fulvi sembra aver intuito il fondamentale paradosso
della cultura occidentale, basato sul contrasto tra l’impulso espansivo
dell’homo faber e la necessità di ripensare un nuovo rapporto
etico con le forze della natura e, così, ha trasferito questa polarità
in un linguaggio dal sicuro impatto visivo, capace di catturare
l’attenzione dell’osservatore e, allo stesso tempo, di condurlo a
riflettere sui problemi e le urgenze di un modello di sviluppo che
appare ormai insostenibile. A una giovane artista, già in possesso di un
linguaggio maturo, in linea con i recenti sviluppi della pittura
internazionale, non si può chiedere di più.
Info:
Annalisa Fulvi. De Re Aedificatoria
a cura di Ivan Quaroni
Riva Artecontemporanea, Via Umberto 32, Lecce
Tel. +39 3337854068
e.mail: danilo@rivaartecontemporanea.it
Opening: sabato 16 maggio 2015
Durata: 17 maggio – 18 luglio 2015
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