RITENGO CHE SIA DOVERE DI CHIUNQUE E A MAGGIOR RAGIONE DI NOI ITALIANI, FARE DI TUTTO PER PROMUOVERE, SALVAGUARDARE E DIVULGARE L'ARTE IN TUTTE LE SUE ESPRESSIONI.
UNA SOCIETA' DISTRATTA SUI FATTI DELL'ARTE E' UNA SOCIETA' VOTATA ALL'IMPOVERIMENTO... E NOI, DA QUESTO PUNTO DI VISTA, LO SIAMO GIA' ABBASTANZA!






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sabato 10 maggio 2014

2 ANIME OGNI COSA E’ ILLUMINATA



2 ANIME
OGNI COSA E’ ILLUMINATA

17 maggio - 7 giugno

a cura di ALBERTO D’ATANASIO
presso l’ ALBORNOZ PALACE HOTEL
Via Giacomo Matteotti 16 –Spoleto (PG)
DAL 18 MAGGIO AL 7 GIUGNO 2014
INAUGURAZIONE
SABATO 17 MAGGIO ORE 18.00
Ci allieterà con alcuni brani musicali l’arpista Maria Chiara Fiorucci
Per info telefonare allo 0743 221221 – info@albornozpalace.com

Marica Fasoli ci fa perdere e ritrovare in un dialogo che attiene più agli esiti di ciò che potrei definire ascolto interiore o più semplicemente contemplazione. Gli abiti senza la persona che li ha indossati sono l’evidenza metafisica della presenza di un corpo che ha lasciato segno di sé in un involucro costruito dall’uomo. Percepiamo visivamente un abito, ma ciò che leggiamo è che l’infinitamente grande si è trasferito nell’infinitamente piccolo e pertanto non può avere volto; ogni soggetto di Marica Fasoli è essenza di chi l’ha indossato. L’involucro ha l’incanto di quell’energia che ha pervaso fin dall’inizio del viaggio quel corpo ed ora è lì nell’indiscutibilità della sua assenza, per sempre fissa in quell’immortalità che solo l’arte sa donare. Le scatole dipinte di Marica altro non sono che il meraviglioso universo in cui l’occhio esplora cose già viste, ma questi oggetti sapientemente ricostruiti con la tecnica a olio, che questa artista conosce in maniera scientifica avendo praticato per anni il sapiente mestiere del restauratore, permettono di recepire lo spazio stesso che il contenitore propone. L’oggetto diviene soggetto in virtù dell’emanazione che l’insieme suscita. quei dipinti che riproducono scatole e il loro contenuto permettono di fissare il tempo con quel meccanismo che si attiva esplorando cose consuete, semplici, che sfioriamo e guardiamo distrattamente ogni giorno. Se l’anima ha bisogno di un involucro per animarsi e manifestarsi allora in questo contesto Marica Fasoli ci indica quei connotati che sono mappa per ritrovare i ricordi e, tramite loro, lo specchio dove si riflette il nostro vero volto, quello che non ha tempo né conosce tempi. Il fare arte di Marica Fasoli permette che gli oggetti comuni diventino punti essenziali perché l’osservazione di un’opera acquisisca un valore esistenziale. In un mondo del mercantile effimero, le icone di quest’artista diventano vero e proprio paradosso. L’oggetto dimenticato, usato, banale nella sua riconoscibilità quotidiana, diviene emblema e simbolo. Il gioco del bimbo, la trina di un vestito da sposa, la massa rinfusa di bottoni dentro uno scomparto, la camicia che fa presumere la fisicità del corpo che la indossava, altro non sono che i connotati che ci permettono di riconoscerci nel tempo vissuto e in quello presente; Marica offre all’osservatore il senso vero delle cose che rendono questo passaggio terrestre meno anonimo. È come se lei rendesse figura le parole del grande poeta contemporaneo Roberto Lerici, che termina la poesia “Quest’amore” con questa frase: “prima che il nulla tutti ci divori che venga, venga presto il tempo in cui ci s’innamori”. Nel fare arte di Marica Fasoli, l’anima torna a richiamare l’immanenza, quasi che per contrasto e per armonia, lei eterea per antonomasia, non possa fare a meno della corporeità. E nell’alchimia del laboratorio quest’artista riproduce tessuti, la porosità di giunchi intrecciati e oggetti che nelle sue icone assurgono a reliquie di un tempo senza tempi. La metafisica perde la sua malinconia e ritrova una nuova musicalità.
Alberto D'Atanasio

Il tempo trascorso non consente di ricordare esattamente se sia nata prima l’idea di realizzare una struttura ricettiva polifunzionale qual'è l’Albornoz Palace Hotel o, nell’inconscio, quella di un posto in cui gli ospiti della città potessero trovare una testimonianza concreta dell’importanza che Spoleto, fin dagli anni ’50, si era venuta conquistando a livello nazionale ed internazionale nel campo dell’arte contemporanea.
Comunque, sin dall’inizio, si aveva in mente di dare corpo e vita ad un luogo dove fosse piacevole sostare, in grado di offrire qualcosa di diverso, di più di un albergo di grandi dimensioni dotato anche di un centro congressuale.
Era necessario fare in modo che opere di artisti scelti ed invitati, non fossero disgiunte dall’architettura degli ambienti che le ospitavano ma che esse stesse concorressero alla definizione e alla valorizzazione degli spazi.
L’avventura iniziò dalla Hall con la grandiosa realizzazione di Sol Le Witt, l’artista che, scegliendo l’Italia ed in particolare Spoleto per viverci diversi mesi l’anno, ha in tal modo confermato il suo amore per la città. Sentimenti di stima reciproca ormai ci uniscono e questa prima esperienza ha spinto ad esplorare la stessa strada anche con altri artisti, di formazione ed espressività diversa, che si sono resi disponibili a misurarsi con gli ambienti dell’Albornoz Palace Hotel, animati tutti dalla convinzione di poter contribuire a farne una realtà viva in Umbria ed un punto di riferimento per quanti sanno apprezzare il linguaggio artistico contemporaneo.
Anche con loro è nata stima ed amicizia che ci ha unito e ci unisce, così pure ai molti critici che spesso ci onorano di un loro soggiorno o semplicemente di una loro visita.
Sandro e Fabio Tulli (AlbornoZ Palace Hotel)

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