RITENGO CHE SIA DOVERE DI CHIUNQUE E A MAGGIOR RAGIONE DI NOI ITALIANI, FARE DI TUTTO PER PROMUOVERE, SALVAGUARDARE E DIVULGARE L'ARTE IN TUTTE LE SUE ESPRESSIONI.
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martedì 2 aprile 2013

Un'intervista colorata di Blu di Prussia: Gio Lacedra


Giovanna Lacedra è una artista intelligente. Produce un'arte utile, fuori dalla ragnatela del mercato. Coinvolgente, emozionale e di disarmate attualità. Le ho posto alcune domande...

Foto di Pablo Peron  - progetto fotografico "C'est Moi"


In dieci righe, chi è Gio Lacedra?

E’ una creatura con lo stomaco nel cuore e il cuore nello stomaco. Che ha le vertigini entrando in una cattedrale gotica, girando attorno ad una scultura di Rodin o leggendo una poesia della  Haddad. E’ una donna vulnerabile, vulcanica, violabile. Apparentemente altera, ma intimamente fluida. È una ex bambina-soprammobile. Di quelle timidissime, che sono cresciute standosene in un angolo, tacite e indisturbanti, ad osservare il mondo inglobandone il gelo e assorbendone la ferocia, inghiottendone le inafferrabili meraviglie e desiderando, senza mai chiedere, quello sguardo che non arrivava. Il mio immaginario è stato negli anni arredato di tutto quanto ho assorbito. Creare - con le mani, con la parola, con il corpo – ad un certo punto è diventato un bisogno. Una necessità. Un atto salvifico. Il mio modo di sentirmi vivere. Perché se non trovi un veicolo per portare fuori, per rielaborare ed in ultima istanza “esprimere” tutto ciò che hai, in anni di silenzio, interiorizzato, quel “tutto” diventa una amalgama corrosiva, un mordente che da dentro si sfama di te. Ti divora piano piano. O s’incancrenisce, avvelenandoti. L’azione creativa è il processo alchemico che oggi mi permette – come diciamo noi buddisti – di “trasformare il veleno in medicina”.

  La tua ricerca è molto intelligente e pone l'accento su problemi e tematiche sociali che orami hanno raggiunto livelli di guardia preoccupanti. Quanto c'è di autobiografico in tutto quello che fai?

“L’autobiografia non esiste: è solo arte e menzogne” , dice Saffo nel romanzo di Jeanette Winterson, titolato appunto Arte e Menzogne. Ma io credo invece che menzognera sia l’affermazione secondo la quale l’arte può non essere autobiografica. A mio avviso lo è sempre. Lo è a prescindere. Il disegno di un bambino, ad esempio è altamente autobiografico , come direbbe Karl Kock, un albero disegnato da un bambino è una “grafologia amplificata”, quasi un autoritratto.  E allora come potrebbe non esserlo un’opera realizzata da un adulto? L’arte è autobiografica sempre.  Lo è anche nel caso di Frank Stella o Ellsworth Kelly. Anche il minimalismo più asettico  può esserlo. E lo è perché ogni scelta creativa ha la sua scaturigine nel serbatoio intimo e personale dell’artista. Sempre. Di qualsiasi scelta si tratti e qualsiasi tematica si decida di affrontare, lo slancio parte da dentro. Qualcosa in noi si muove, una corda viene toccata, vibra e ci permette  di udire quel suono, proprio quello e non un altro. E tutto questo accade “dentro”, prima ancora di essere portato fuori, prima ancora di essere espresso, e diventare un prodotto  artistico, una creazione.  Quanto c’è di autobiografico in quello che faccio? Tutto. Tutto quello che faccio è autobiografico. Tutto quello che disegno, dipingo, scrivo e performo è autobiografico. Le mie poesie sono autobiografiche. I testi critici e le recensioni che scrivo sul lavoro di altri artisti recano in sé brandelli di autobiografia. I miei disegni a carboncino su carta-caffè, poi,  lo sono spudoratamente. Ma anche il ciclo di dipinti su tela che portai avanti tra il 2006 e il 2009, intitolato “DISTANZE.SOLITUDINI CONTEMPORANEE” lo è stato: mediante una figurazione realistica ritraevo anonimi cittadini stipati nei vagoni del metrò o semiaddormentati sulle banchine d’attesa. Li catturavo a tradimento con la mia fotocamera digitale, rubandoli alla loro ordinarietà, portandoli nel bianco e nero della mia tavolozza, facendoli miei e parlando, attraverso loro, di me, della mia solitudine e della mia ordinarietà. Il tutto veniva risolto attraverso una scala di grigi raggelante e cristallizzante. Era sempre di me che parlavo, dipingendo il mondo fuori di me. Dipingendo l’anonima umanità, quella Comédie humaine – per dirla alla Balzac - della quale mi sentivo parte, era in verità di me che raccontavo.
Quando mi poni questa domanda, però, so che ti riferisci in  particolar modo al progetto performativo itinerante che porto avanti da ormai un anno e mezzo e che mi ha già vista esibirmi in dieci tappe in giro per l’Italia: “IO SOTTRAGGO. LA TRIANGOLAZIONE CIBO-CORPO-PESO”, una Performance Confessional (e prendo in prestito il termine Confessional da quel genere di poesia che particolarmente amo, sviluppatosi negli Stati Uniti tra gli anni Cinquanta e Sessanta e che ha come autrici di punta Anne Sexton e Sylvia Plath) riguardante la patologia anoressico-bulimica. Mi chiedi quanto c’è di autobiografico in questa Performance? Ribadisco: tutto. Il termine stesso “Confessional” lo svela. Questa performance è una confessione. È un progetto totalmente auotobiografico, in cui espongo non solo il corpo che ho per quindici anni martirizzato, ma anche il materiale autobiografico che ha registrato la mia patologia: 103 pagine di diari dall’anoressia-bulimia e una cinquantina di foto, autoscatti datati 2005 che fungono da vero e proprio reportage di quella discesa anoressica durante la quale il corpo si svuota, si scarnifica, si consuma fino a rischiare la morte. Ecco: il materiale di quella performance sono io. Sono io completamente! Mio è il corpo che agisce all’interno e all’esterno di un perimetro triangolare costituito da vasetti di yogurt vuoti (yogurt che ho mangiato realmente, vasetti che poi ho lavato e messo da parte) raccontando non del corpo di un’altra donna, ma del mio. Sono io la donna che ha vissuto per anni prigioniera di questa patologia. Sono io la vittima di quelle ossessioni. Io sono stata anoressica e bulimica per anni. Io. Ma come me, milioni di altre donne. Milioni di altre donne digiunano o si sfondano  pericolosamente di cibo per poi  autoindursi il vomito con violenza. Milioni di altre donne rischiano la morte dietro una facciata di perfezione. Milioni di altre donne vivono in un corpo rotto, vittima e carnefice di se stesso. Milioni di altre donne ricreano con l’anoressia-bulimia gli abusi subiti durante l’infanzia, quell’amore negato del quale hanno così tanta fame. Milioni di altre donne sono anoressiche e bulimiche. E per quei milioni di donne che non ne parlano, che si nascondono, che se ne vergognano, che si devastano e in troppi casi muoiono di anoressia o di bulimia, io agisco. Anche per loro io agisco, strattono il pubblico, divento una scossa sismica per le loro coscienze letargiche. Di anoressia e bulimia si muore. Anche l’arte può raccontarlo,, perché l’arte a mio avviso ha un dovere sociale, collettivo, culturale, pur muovendo da uno slancio autenticamente autobiografico. In buona sostanza tento di fare qualcosa che già grandi nomi dell’arte femminile e femminista hanno fatto decenni fa. Penso agli anni Sessanta /Settanta, penso all’Art Corporel e alle ferite di Gina Pane ma anche ai dipinti di Nancy Spero, alle Femmes-Maison di Louise Bourgeois, al dimagrimento volontario della Antin, o ancora a come la Wilke registrava negli anni Novanta le fasi degenerative del cancro. In tutti questi casi il corpo ha messo in atto una qualche verità, ha fatto riemergere un trauma rimosso, appartenuto magari  all’artista ma che nell’istante in cui veniva agito non era più soltanto suo, diveniva della collettività.
In un’azione performativa  come direbbe Bracha Ettinger “Le tracce di un trauma del mondo, sepolto vivo, rinascono dall’amnesia nella memoria co-emergente dell’opera d’arte”. Co-emergente, appunto. Un’emersione condivisa dall’artista e dal suo pubblico. Per cui, a mio avviso un’azione performativa è sempre un’azione culturale. Ha sempre una missione sociale. Sempre.  

Raccontami un po’ delle tue ultime ricerche e quale indirizzo prenderanno

Oh, il file rouge sarà rouge appunto. Relativo sempre all’universo femminile. Voglio portare avanti una ricerca che abbracci, avvolga, esamini e svisceri di volta in volta tematiche prettamente femminili. Più che tematiche, problematiche. Traumi, lotte, dinamiche. Sono una donna. Lo sono con orgoglio e con ansia. Lo sono nell’utero, nel cuore e nel cervello. “ Donna non si nasce, lo si diventa” , scrisse Simone de Boeauvoir. Non lo so, io so di esserlo e di volermelo ricordare ogni giorno attraverso il mio lavoro, attraverso il mio modo di fare arte. Voglio essere donna, ma soprattutto voglio esserne all’altezza. Per cui il mio lavoro, che attualmente sta affrontando un tema altamente femminile,quale quello della patologia anoressico-bulimica, vuole crescere sviluppando di volta in volta tematiche e travagli femminili, magari partendo anche da biografie o da opere letterarie e poetiche (di altre donne). Sono ancora troppe le verità che nel corso della storia le donne hanno preferito o sono state costrette a tacere. Anche con il progetto fotografico titolato “C’EST MOI: Le flux de quelque chose qui n'a pas de nom... “ realizzato in collaborazione con il bravissimo Pablo Peron per il Mediterraneo Foto Festival lo scorso gennaio, per il quale sono stata modella e autrice dei testi,  ho voluto affrontare una tematica analoga. “C’est Moi…” era un discorso visivo in cui  il bianco e nero della fotografia diventava narrativo quasi come inchiostro su carta bianca. Un progetto in cui  l’immagine  scriveva di una donna che dal buio irrompe in un’alba di pulsioni.
E anche nella mia attività di autrice preferisco dedicarmi all’universo creativo femminile: curo, infatti, per il portale Woman’s Journal una rubrica dedicata esclusivamente all’arte prodotta dalle donne – Woman’s Art – in cui scrivo di artiste contemporanee e non ( da Artemisia Gentileschi a  Vanessa Beecroft)  e in cui intervisto artiste del panorama italiano contemporaneo. Mi interessa scoprire cosa hanno da dire con la loro creatività, per questa ragione ho chiamato il mio ciclo di interviste “Per Voce Creativa”.

- Come reagisci alle critiche? 

Oh! Bella domanda, questa! Mi metti con le spalle al muro. Ma rispondo con franchezza anche stavolta: non sempre bene. Lo confesso: le critiche negative alle volte  riescono ancora a demolirmi. Questa resta una mia fragilità, che so non essere positiva.  Ma ci sto lavorando.

- Sei curatrice, performer, abilissima disegnatrice, regista, modella e immagino tante altre cose che non so, qual è l'aspetto del tuo lavoro che ti intriga di più?

Tante altre cose tra cui quotidianamente insegnante di disegno e storia dell’arte e di sostegno con alunni portatori di handicap anche gravi. Cosa mi intriga di più del mio lavoro legato all’arte? La mia versatilità. La possibilità di spostarmi da un ruolo all’altro, da un linguaggio all’altro:  dall’azione al segno, dalla pennellata  alla parola, pur di dire. Mi intriga sapere di avere a disposizione tante armi con le quali combattere, tanti strumenti coi quali veicolare i messaggi che desidero sguinzagliare.

- Ed il rapporto con il mercato? 

Sono ancora vergine. Dico davvero! Non ho rapporti con il mercato., Non ancora. E forse inconsciamente tento di difendere questa mia , forse inutile e ignorante verginità. Come performer porto avanti da un anno e mezzo un progetto itinerante no-profit, una specie di missione. Come disegnatrice e pittrice al momento sono meno prolifica e non ho in ogni caso mai avuto una galleria di riferimento che seguisse e vendesse il mio lavoro. Sono ancora randagia, ecco. Ma credo che presto o tardi questo rapporto dovrà nascere.

- Dimmi una cosa di te che non hai mai detto pubblicamente?

Ho una paura feroce, ancestrale, pietrificante…. dell’abbandono.

- Un colore?

Oh, sì! Questa la so! Su questa non nutro dubbi: il Blu di Prussia. Io amo il Blu di Prussia! Ecco, il giorno in cui riuscirò a tornare a dipingere  - perché da qualche anno vivo un vero e proprio blocco creativo in questa direzione   - farò del Blu di Prussia l’Imperatore assoluto della mia tavolozza.

- Progetti per il futuro?

Crescere come performer. Scrivere un libro a conclusione di “Io Sottraggo” in cui raccontare tutto quello che so sulla  patologia anoressico-bulimica. Crescere come curatrice. Tornare finalmente a dipingere su tele enormi (i grandi formati mi hanno sempre sedotta e parimenti spaventata, per cui vorrei riuscire a compiere questo atto di coraggio, vorrei riuscire a conquistare questa terra tanto agognata negli anni…). Se ancora non lo faccio è perché sto aspettando di aver chiaro cosa voglio dire e in quale modo, con quali soggetti e con quale tecnica, voglio dirlo. Non basta il talento, la cosiddetta “mano felice”. Fare arte, o perlomeno provarci, è una grande responsabilità. Bisogna essere certi di quello che si vuole dire. Per il momento io riesco a “dire” molte più cose con il mio corpo, performando. Per cui per ora la performing art è lo strumento e il linguaggio più consono per me. Ho in cantiere un paio di altri progetti performativi. Il primo, quello che intendo realizzare per primo, prende le mosse da una poesia di Sylvia Plath per affrontare un’altra problematica femminile decisamente attuale, delicata e graffiante. A differenza di “Io Sottraggo” questo nuovo progetto si avvarrà anche di una collaborazione maschile, nella persona, e soprattutto nella voce, di Roberto Milani.
Non in ultimo, come progetto per il futuro ci metterei anche un figlio. Chissà, magari tra qualche anno. Una bambina, il cui terzo nome (sì, voglio dargliene tre!) sarà Lilith.


un momento della performance "io sottraggo" foto di Massimo Prizzon 2011

Giovanna Lacedra performing "Cappuccetto Rosso Autistico" per "C'ero una volta"  - Anna Caruso solo show - Luglio 2012
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"DUALEM"

Tecnica mista (carboncino, biacca, acrilici liquidi e caffè) su carta a grammatura fine musure 42x30cm anno 2005



BREVE CURRICULUM

Giovanna Lacedra nasce a Venosa (PZ) il 15/11/1977. Dopo la maturità artistica si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Firenze dove nel 2000 consegue il diploma di laura in pittura, con una tesi in storia dell’arte relativa alla morte hegeliana dell’arte.  Sempre a Firenze frequenta il corso biennale  di specializzazione all’insegnamento presso la  facoltà di Architettura, abilitandosi nel 2004 come docente di Disegno e Storia dell’Arte. Nel 2004 si trasferisce a Milano dove acquisisce la specializzazione aggiuntiva come docente di sostegno per alunni portatori di handicap presso l’Università Cattolica. Attualmente vive, insegna, scrive e crea a Milano.
Negli anni sue poesie sono state pubblicate in diverse antologie. Ha pubblicato una silloge intitolata “Schegge”nel 2001 con la Casa editrice Libro Italiano.
Come pittrice:
 ha portato avanti dal 2006 al 2009 il ciclo pittorico “DISTANZE, SOLITUDINI CONTEMPORANEE” esponendo in diverse collettive 

  • 2006-10-07: SOLITUDINI CONTEMPORANEE, Palazzo Dugnani, Milano, mostra collettiva con gli artisti Nazareno Luciani e Veronica Menghi, all’interno del convegno organizzato dal Comitato Scientifico Jonas Onlus (centro per la ricerca psicoanalitica dei nuovi sintomi: anoressie-bulimie, dipendenze, attacchi di panico, depressioni) . In esposizione 5 dipinti datati 2006.
  • 2006. PREMIO CELESTE 2006, concorso per la promozione della pittura figurativa in Italia; partecipazione con il dittico su tela  “La solitudine l’assenza i suoi colpi di luce… (P.Eluard)”, opera selezionata e pubblicata nel Catalogo del Premio.
  • 2007. CATALOGO ARTE NUOVA – Catalogo Editoriale Giorgio Mondatori, Rassegna di artisti e partecipanti al Premio Arte 2006. Pubblicazione di due opere, breve biografia e testo critico del giornalista  Paolo Levi.
  • 2008. BIENNALE DELLE ARTI DELL’UNITA’ D’ITALIA, Complesso Monumentale Belvedere di San Leucio, Caserta:  dal 24 Aprile all’11 maggio , 80 artisti emergenti, 10 maestri contemporanei, 10 artisti stranieri e la sezione esclusiva dedicata a Pablo Picasso e la Tauromachia, madrina d’eccezione Lucia Bosè, con il Patrocinio della Regione Campania e della Provincia di Caserta. Pannello espositivo PERSONALE  con 23 opere. Pubblicazione all’interno del catalogo BIENNALE DELLE ARTI DELL’UNITA’ D’ITALIA – MAUI.
  • 2009. 18.24 Collective: Gerzeli, Lacedra e Pangerc: I vincitori del concorso 18.24 in mostra a Jesolo: dal 25 giugno all’8 luglio 2009, Park Hotel Brasilia - Shaker, Jesolo (VE).
  • 2010. Associazione Culturale Fonopoli. Roma. Concorso “Io e l’altro”: pubblicazione nel catalogo multimediale, sezione Arti Visive, con l’opera “Voice crying exclusion in my ear” (S. Plath)
  • 2010. Pubblicazione su “Young Blood 10, Annual dei Talenti Italiani Premiati nel Mondo. L’annuario che dal 2007  raccoglie il meglio del talento italiano premiato in concorsi nazionali ed internazionali, è realizzato dalla redazione di Next Exit. Due pagine, con traduzione in inglese della biografia
Ha esposto il ciclo di grafiche in tecnica mista su carta-caffè “HOC EST CORPUS MEUM” :
  • 2011 Dicembre: “Le Farfalle. Le donne si amano? Mostra collettiva femminile. a cura di Grace Zanotto e Massimiliano Bisazza della Galleria Famiglia Margini. Presso SCIMMIE on the boat – Milano. Dal 9 Dicembre 2011 al 9 Febbraio 2012.

Come Performer:

  • 2011. HAPPENING-PERFORMANCE:LA BARA DEL BASTARDO: INVITO AL FUNERALE” – Galleria Famiglia Margini, Milano. Esibizione all’interno del progetto di Daniele Alonge per Famiglia Margini – Martedì 19 aprile 2011, ore 19.30/21.00.
  • 2011. HAPPENING-PERFORMANCE: “Yummy Good !– Galleria  Famiglia Margini, Milano. Esibizione  all’interno del progetto di Manuela De Merito. Venerdì 13 maggio 2011, ore 19.30
  • 2011-2013. PERFORMANCE-CONFESSIONAL  “Io Sottraggo: La triangolazione cibo-corpo-peso” Tour: Un progetto itinerante riguardante la patologia anoressico-bulimica,  ideato, realizzato ed eseguito da Giovanna Lacedra,  per la prima volta  in data 30 giugno 2011presso la Galleria Famiglia Margini di Milano, portato più volte a Milano, poi a Pescara, Cesena, Nocciano, Napoli, Striano,  e  giunto alla sua decima tappa in data 29 marzo 2013 a Lecce, Palazzo Turrisi.
  • Gennaio 2013:“C’EST MOI: Le flux de quelque chose qui n'a pas de nom... “ Progetto fotografico realizzato in collaborazione con Pablo Peron per il Mediterraneo Foto Festival. Giovanna Lacedra modella e autrice dei testi,  ho voluto affrontare una tematica analoga

Come curatrice:

Dal 27 Aprile al 27 maggio 2012.: “New Pep: Il quadro non è che un prodotto”
Pep Marchigiani Solo Show. A cura di Grace Zanotto e Giovanna Lacedra. Galleria Famiglia Margini, Milano.
Dal 7 al 28 Luglio 2012 “C’ero una volta” – Anna Caruso Solo Show.A cura di Grace Zanotto e Giovanna Lacedra. Galleria Famiglia Margini, Milano. Con performance di Giovanna Lacedra in veste di Cappuccetto Rosso Artistico, durante il vernissage.
Dal 30 gennaio 2013 al 24 febbraio 2013,  “Cemento” – UrbanSolid Solo Show.A cura di Giovanna Lacedra. Square23 Contemporary Art Gallery, Torino.
Dal 28 febbraio 2013 al 30 marzo 2013,  “Arcanum” – Daniele Duò Solo Show.A cura di Giovanna Lacedra. Square23 Contemporary Art Gallery, Torino.

Come autrice di recensioni, articoli, interviste e testi critici:

Collabora con KritikaOnLine di Emanuele Beluffi.
Cura la rubrica Woman’s Art interamente dedicata all’arte prodotta dalle donne, all’interno del portale Woman’s Journal.



2 commenti:

  1. lavoro molto interessante, peccato che ancora sia pieno di superflua musica commerciale e superficialità varie che tendono a sminuire il vero senso del lavoro,
    di sicuro Vanessa Beecroft ha fatto meglio prima di lei marchiando questo mondo con forza...
    forse è meglio che non si confonda il fenomeno artistico con il fenomeno sociale in quanto non è ne uno ne l'altro.

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  2. Caro Anonimo,
    in tutta onestà non mi sono mai preoccupata di voler fare meglio (o di poter fare peggio) della Beecroft, artista della quale ho scritto, che conosco a fondo, e che apprezzo moltissimo. Mi sono piuttosto preoccupata di fare qualcosa che fosse mio. Mio soltanto. Certo è anoressia, certo è bulimia. Ma è la mia storia, è il mio dramma, è il mio trauma, è la mia memoria. Meglio o peggio non lo so. Per me meglio o peggio non esiste. Questo è quello che sono e questo è quello di cui mi faccio portatrice. E questo è il modo in cui sono in grado di farlo. Devi sapere, caro anonimo,che ogni elemento presente in IO SOTTRAGGO ha una profondissima ragione d'essere. Pensa: persino la musica che tu definisci commerciale! E se anche tu avessi brani musicali più sofisticati, ricercati, anticonformisti e colti da consigliarmi,ti confesso che non potrei mai accettarli... perchè toglierebbero senso al mio lavoro "autobiografico", totalmente "autobiografico", pur nella sua superficialità. In IO SOTTRAGGO, mio caro, nulla è superficiale. Neppure il brano che tu trovi tale. Ma questo è un tuo giudizio, è un tuo parere, dunque non ho premura di scardinarlo ad ogni costo. Devi restare di questa idea, se ti è necessario. Per te quel brano sarà sempre superfluo, per me invece sarà sempre carico di memorie dolorose, carico di tutti i miei digiuni, carico di tutte le notti trascorse coi crampi allo stomaco per la fame e 40 battiti cardiaci al minuto, ascoltandolo in loop e ripetendo con le dita tra le costole "indossi il vuoto con classe, ma è tutto ciò che avrai...". Avevo 26 anni e ascoltavo gli Afterhours mentre morivo di anoressia. Cosa c'è di tanto superficiale in questo? Chissà cosa può mai significare questa frase per te: "indossi il vuoto con classe, ma è tutto ciò che avrai...". Chi lo sa! Del resto...a chi scrive con tanta superficialità di quanto questo brano sia a suo avviso superfluo, cosa potrebbe mai interessare? Le altre "superficialità" cui ti riferisci me le hai gentilmente risparmiate? Grazie!
    Io non lo so se hai conosciuto l'anoressia e la bulimia da vicino. Perchè onestamente è il tuo giudizio che a me pare affrettato e superficiale. Nel 1993 Vanessa Beecroft affrontò il tema dei disturbi alimentari con una performance in cui, tra le altre cose fu esposto il suo libro del cibo, ovvero il suo diario di bulimica. Otto anni di bulimia ordinatamente raccolti in una lista quotidiana di cibi mangiati con i relativi apporti calorici. In quel diario tutto era metodico e ossessivo, solo nomi di alimenti e calorie. Bene: Hai mai visitato l'installazione di IO SOTTRAGGO? Hai mai letto qualche pagina dei miei diari? c'è dentro di tutto e disordinatamente: disegni, frammenti di poesie, confessioni intime e dolorose, dialoghi tra me e la malattia, addizioni in colonna degli apporti calorici, sottrazioni in colonna, registrazione del peso corporeo.. c'è di tutto. Ma il meglio e il peggio non esistono. Esistono le differenze.Pur affrontando lo stesso tema, su traccia esplicitamente autobiografica, ti garantisco che vi sono differenze sostanziali, differenze che dovresti aver notato, prima fra tutte: chi performa. Una differenza netta, direi: Lei scelse di far agire un gruppo di modelle, sue colleghe di studio all'accademia di Brera, facendo indossare loro della biancheria intima di sua appartenenza. Nella mia performance invece chi agisce sono io, ed io soltanto. Con lo stesso corpo che ha sofferto di anoressia e bulimia, con lo stesso corpo che puoi vedere scheletrico nelle foto-reportage del 2005, con lo stesso corpo che ho ammalato, io agisco il mio racconto.
    Perchè bisogna ragionare in termini di " meglio o peggio"?
    Che discorso è: "è meglio che non si confonda il fenomeno artistico con il fenomeno sociale in quanto non è ne uno ne l'altro"?
    E infine perchè scegli di fare un commento tanto superficiale senza metterci la faccia?

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