Giovanna Lacedra è una artista intelligente. Produce un'arte utile, fuori dalla ragnatela del mercato. Coinvolgente, emozionale e di disarmate attualità. Le ho posto alcune domande...
Foto di Pablo Peron - progetto fotografico "C'est Moi" |
In dieci righe, chi è Gio Lacedra?
E’ una creatura con lo stomaco nel cuore e il cuore nello
stomaco. Che ha le vertigini entrando in una cattedrale gotica, girando attorno
ad una scultura di Rodin o leggendo una poesia della Haddad. E’ una donna vulnerabile, vulcanica,
violabile. Apparentemente altera, ma intimamente fluida. È una ex
bambina-soprammobile. Di quelle timidissime, che sono cresciute standosene in
un angolo, tacite e indisturbanti, ad osservare il mondo inglobandone il gelo e
assorbendone la ferocia, inghiottendone le inafferrabili meraviglie e desiderando,
senza mai chiedere, quello sguardo che non arrivava. Il mio immaginario è stato
negli anni arredato di tutto quanto ho assorbito. Creare - con le mani, con la
parola, con il corpo – ad un certo punto è diventato un bisogno. Una necessità.
Un atto salvifico. Il mio modo di sentirmi vivere. Perché se non trovi un
veicolo per portare fuori, per rielaborare ed in ultima istanza “esprimere”
tutto ciò che hai, in anni di silenzio, interiorizzato, quel “tutto” diventa
una amalgama corrosiva, un mordente che da dentro si sfama di te. Ti divora
piano piano. O s’incancrenisce, avvelenandoti. L’azione creativa è il processo
alchemico che oggi mi permette – come diciamo noi buddisti – di “trasformare il
veleno in medicina”.
La tua ricerca è molto intelligente e pone
l'accento su problemi e tematiche sociali che orami hanno raggiunto livelli di
guardia preoccupanti. Quanto c'è di autobiografico in tutto quello che fai?
“L’autobiografia non esiste: è solo arte e menzogne” , dice
Saffo nel romanzo di Jeanette Winterson, titolato appunto Arte e Menzogne. Ma
io credo invece che menzognera sia l’affermazione secondo la quale l’arte può
non essere autobiografica. A mio avviso lo è sempre. Lo è a prescindere. Il
disegno di un bambino, ad esempio è altamente autobiografico , come direbbe
Karl Kock, un albero disegnato da un bambino è una “grafologia amplificata”,
quasi un autoritratto. E allora come
potrebbe non esserlo un’opera realizzata da un adulto? L’arte è autobiografica
sempre. Lo è anche nel caso di Frank
Stella o Ellsworth Kelly. Anche il minimalismo più asettico può esserlo. E lo è perché ogni scelta
creativa ha la sua scaturigine nel serbatoio intimo e personale dell’artista.
Sempre. Di qualsiasi scelta si tratti e qualsiasi tematica si decida di
affrontare, lo slancio parte da dentro. Qualcosa in noi si muove, una corda viene
toccata, vibra e ci permette di udire
quel suono, proprio quello e non un altro. E tutto questo accade “dentro”,
prima ancora di essere portato fuori, prima ancora di essere espresso, e diventare
un prodotto artistico, una creazione. Quanto c’è di autobiografico in quello che
faccio? Tutto. Tutto quello che faccio è autobiografico. Tutto quello che
disegno, dipingo, scrivo e performo è autobiografico. Le mie poesie sono
autobiografiche. I testi critici e le recensioni che scrivo sul lavoro di altri
artisti recano in sé brandelli di autobiografia. I miei disegni a carboncino su
carta-caffè, poi, lo sono
spudoratamente. Ma anche il ciclo di dipinti su tela che portai avanti tra il
2006 e il 2009, intitolato “DISTANZE.SOLITUDINI CONTEMPORANEE” lo è stato:
mediante una figurazione realistica ritraevo anonimi cittadini stipati nei
vagoni del metrò o semiaddormentati sulle banchine d’attesa. Li catturavo a
tradimento con la mia fotocamera digitale, rubandoli alla loro ordinarietà, portandoli
nel bianco e nero della mia tavolozza, facendoli miei e parlando, attraverso
loro, di me, della mia solitudine e della mia ordinarietà. Il tutto veniva
risolto attraverso una scala di grigi raggelante e cristallizzante. Era sempre
di me che parlavo, dipingendo il mondo fuori di me. Dipingendo l’anonima
umanità, quella Comédie humaine – per dirla alla Balzac - della quale mi
sentivo parte, era in verità di me che raccontavo.
Quando mi poni questa domanda, però, so che ti riferisci in particolar modo al progetto performativo
itinerante che porto avanti da ormai un anno e mezzo e che mi ha già vista
esibirmi in dieci tappe in giro per l’Italia: “IO SOTTRAGGO. LA TRIANGOLAZIONE
CIBO-CORPO-PESO”, una Performance Confessional (e prendo in prestito il termine
Confessional da quel genere
di poesia che particolarmente amo, sviluppatosi negli Stati Uniti tra gli anni
Cinquanta e Sessanta e che ha come autrici di punta Anne Sexton e Sylvia Plath)
riguardante la patologia anoressico-bulimica. Mi chiedi quanto c’è di
autobiografico in questa Performance? Ribadisco: tutto. Il termine stesso
“Confessional” lo svela. Questa performance è una confessione. È un progetto
totalmente auotobiografico, in cui espongo non solo il corpo che ho per
quindici anni martirizzato, ma anche il materiale autobiografico che ha
registrato la mia patologia: 103 pagine di diari dall’anoressia-bulimia e una
cinquantina di foto, autoscatti datati 2005 che fungono da vero e proprio
reportage di quella discesa anoressica durante la quale il corpo si svuota, si
scarnifica, si consuma fino a rischiare la morte. Ecco: il materiale di quella
performance sono io. Sono io completamente! Mio è il corpo che agisce
all’interno e all’esterno di un perimetro triangolare costituito da vasetti di
yogurt vuoti (yogurt che ho mangiato realmente, vasetti che poi ho lavato e
messo da parte) raccontando non del corpo di un’altra donna, ma del mio. Sono
io la donna che ha vissuto per anni prigioniera di questa patologia. Sono io la
vittima di quelle ossessioni. Io sono stata anoressica e bulimica per anni. Io.
Ma come me, milioni di altre donne. Milioni di altre donne digiunano o si
sfondano pericolosamente di cibo per
poi autoindursi il vomito con violenza.
Milioni di altre donne rischiano la morte dietro una facciata di perfezione.
Milioni di altre donne vivono in un corpo rotto, vittima e carnefice di se
stesso. Milioni di altre donne ricreano con l’anoressia-bulimia gli abusi
subiti durante l’infanzia, quell’amore negato del quale hanno così tanta fame.
Milioni di altre donne sono anoressiche e bulimiche. E per quei milioni di
donne che non ne parlano, che si nascondono, che se ne vergognano, che si
devastano e in troppi casi muoiono di anoressia o di bulimia, io agisco. Anche
per loro io agisco, strattono il pubblico, divento una scossa sismica per le
loro coscienze letargiche. Di anoressia e bulimia si muore. Anche l’arte può
raccontarlo,, perché l’arte a mio avviso ha un dovere sociale, collettivo,
culturale, pur muovendo da uno slancio autenticamente autobiografico. In buona
sostanza tento di fare qualcosa che già grandi nomi dell’arte femminile e
femminista hanno fatto decenni fa. Penso agli anni Sessanta /Settanta, penso
all’Art Corporel e alle ferite di Gina Pane ma anche ai dipinti di Nancy Spero,
alle Femmes-Maison di Louise Bourgeois, al dimagrimento volontario della Antin,
o ancora a come la Wilke registrava negli anni Novanta le fasi degenerative del
cancro. In tutti questi casi il corpo ha messo in atto una qualche verità, ha
fatto riemergere un trauma rimosso, appartenuto magari all’artista ma che nell’istante in cui veniva
agito non era più soltanto suo, diveniva della collettività.
In un’azione performativa come direbbe Bracha Ettinger “Le tracce di un
trauma del mondo, sepolto vivo, rinascono dall’amnesia nella memoria
co-emergente dell’opera d’arte”. Co-emergente, appunto. Un’emersione condivisa
dall’artista e dal suo pubblico. Per cui, a mio avviso un’azione performativa è
sempre un’azione culturale. Ha sempre una missione sociale. Sempre.
Raccontami un po’ delle tue ultime ricerche e quale indirizzo
prenderanno
Oh, il file rouge sarà rouge appunto. Relativo sempre all’universo femminile. Voglio portare avanti una ricerca che abbracci, avvolga, esamini e svisceri di volta in volta tematiche prettamente femminili. Più che tematiche, problematiche. Traumi, lotte, dinamiche. Sono una donna. Lo sono con orgoglio e con ansia. Lo sono nell’utero, nel cuore e nel cervello. “ Donna non si nasce, lo si diventa” , scrisse Simone de Boeauvoir. Non lo so, io so di esserlo e di volermelo ricordare ogni giorno attraverso il mio lavoro, attraverso il mio modo di fare arte. Voglio essere donna, ma soprattutto voglio esserne all’altezza. Per cui il mio lavoro, che attualmente sta affrontando un tema altamente femminile,quale quello della patologia anoressico-bulimica, vuole crescere sviluppando di volta in volta tematiche e travagli femminili, magari partendo anche da biografie o da opere letterarie e poetiche (di altre donne). Sono ancora troppe le verità che nel corso della storia le donne hanno preferito o sono state costrette a tacere. Anche con il progetto fotografico titolato “C’EST MOI: Le flux de quelque chose qui n'a pas de nom... “ realizzato in collaborazione con il bravissimo Pablo Peron per il Mediterraneo Foto Festival lo scorso gennaio, per il quale sono stata modella e autrice dei testi, ho voluto affrontare una tematica analoga. “C’est Moi…” era un discorso visivo in cui il bianco e nero della fotografia diventava narrativo quasi come inchiostro su carta bianca. Un progetto in cui l’immagine scriveva di una donna che dal buio irrompe in un’alba di pulsioni.
E anche nella mia attività di autrice preferisco dedicarmi
all’universo creativo femminile: curo, infatti, per il portale Woman’s Journal una rubrica dedicata
esclusivamente all’arte prodotta dalle donne – Woman’s Art – in cui scrivo di
artiste contemporanee e non ( da Artemisia Gentileschi a Vanessa Beecroft) e in cui intervisto artiste del panorama
italiano contemporaneo. Mi interessa scoprire cosa hanno da dire con la loro
creatività, per questa ragione ho chiamato il mio ciclo di interviste “Per Voce
Creativa”.
- Come reagisci alle critiche?
Oh! Bella domanda, questa! Mi metti con le spalle al muro.
Ma rispondo con franchezza anche stavolta: non sempre bene. Lo confesso: le
critiche negative alle volte riescono ancora
a demolirmi. Questa resta una mia fragilità, che so non essere positiva. Ma ci sto lavorando.
- Sei curatrice, performer, abilissima disegnatrice, regista, modella e immagino tante altre cose che non so, qual è l'aspetto del tuo lavoro che ti intriga di più?
Tante altre cose tra cui quotidianamente insegnante di disegno
e storia dell’arte e di sostegno con alunni portatori di handicap anche gravi. Cosa
mi intriga di più del mio lavoro legato all’arte? La mia versatilità. La
possibilità di spostarmi da un ruolo all’altro, da un linguaggio
all’altro: dall’azione al segno, dalla
pennellata alla parola, pur di dire. Mi
intriga sapere di avere a disposizione tante armi con le quali combattere,
tanti strumenti coi quali veicolare i messaggi che desidero sguinzagliare.
- Ed il rapporto con il mercato?
Sono ancora vergine. Dico davvero! Non ho rapporti con il
mercato., Non ancora. E forse inconsciamente tento di difendere questa mia ,
forse inutile e ignorante verginità. Come performer porto avanti da un anno e
mezzo un progetto itinerante no-profit, una specie di missione. Come
disegnatrice e pittrice al momento sono meno prolifica e non ho in ogni caso
mai avuto una galleria di riferimento che seguisse e vendesse il mio lavoro. Sono
ancora randagia, ecco. Ma credo che presto o tardi questo rapporto dovrà nascere.
- Dimmi una cosa di te che non hai mai detto pubblicamente?
Ho una paura feroce, ancestrale, pietrificante….
dell’abbandono.
- Un colore?
Oh, sì! Questa la so! Su questa non nutro dubbi: il Blu di
Prussia. Io amo il Blu di Prussia! Ecco, il giorno in cui riuscirò a tornare a
dipingere - perché da qualche anno vivo
un vero e proprio blocco creativo in questa direzione - farò del Blu di Prussia l’Imperatore
assoluto della mia tavolozza.
- Progetti per il futuro?
Crescere come performer. Scrivere un libro a conclusione di
“Io Sottraggo” in cui raccontare tutto quello che so sulla patologia anoressico-bulimica. Crescere come curatrice.
Tornare finalmente a dipingere su tele enormi (i grandi formati mi hanno sempre
sedotta e parimenti spaventata, per cui vorrei riuscire a compiere questo atto
di coraggio, vorrei riuscire a conquistare questa terra tanto agognata negli
anni…). Se ancora non lo faccio è perché sto aspettando di aver chiaro cosa
voglio dire e in quale modo, con quali soggetti e con quale tecnica, voglio
dirlo. Non basta il talento, la cosiddetta “mano felice”. Fare arte, o
perlomeno provarci, è una grande responsabilità. Bisogna essere certi di quello
che si vuole dire. Per il momento io riesco a “dire” molte più cose con il mio
corpo, performando. Per cui per ora la performing art è lo strumento e il
linguaggio più consono per me. Ho in cantiere un paio di altri progetti
performativi. Il primo, quello che intendo realizzare per primo, prende le
mosse da una poesia di Sylvia Plath per affrontare un’altra problematica
femminile decisamente attuale, delicata e graffiante. A differenza di “Io
Sottraggo” questo nuovo progetto si avvarrà anche di una collaborazione
maschile, nella persona, e soprattutto nella voce, di Roberto Milani.
Non in ultimo, come progetto per il futuro ci metterei anche
un figlio. Chissà, magari tra qualche anno. Una bambina, il cui terzo nome (sì,
voglio dargliene tre!) sarà Lilith.
un momento della performance "io sottraggo" foto di Massimo Prizzon 2011 |
Giovanna Lacedra performing "Cappuccetto Rosso Autistico" per "C'ero una volta" - Anna Caruso solo show - Luglio 2012 |
"DUALEM" Tecnica mista (carboncino, biacca, acrilici liquidi e caffè) su carta a grammatura fine musure 42x30cm anno 2005 |
BREVE CURRICULUM
Giovanna Lacedra nasce a Venosa (PZ) il 15/11/1977. Dopo la
maturità artistica si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Firenze dove nel
2000 consegue il diploma di laura in pittura, con una tesi in storia
dell’arte relativa alla morte hegeliana dell’arte. Sempre a Firenze frequenta il corso
biennale di specializzazione
all’insegnamento presso la facoltà di
Architettura, abilitandosi nel 2004 come docente di Disegno e Storia dell’Arte.
Nel 2004 si trasferisce a Milano dove acquisisce la specializzazione aggiuntiva
come docente di sostegno per alunni portatori di handicap presso l’Università
Cattolica. Attualmente vive, insegna, scrive e crea a Milano.
Negli anni sue poesie sono state pubblicate in diverse
antologie. Ha pubblicato una silloge intitolata “Schegge”nel 2001 con la Casa
editrice Libro Italiano.
Come pittrice:
ha portato avanti dal
2006 al 2009 il ciclo pittorico “DISTANZE, SOLITUDINI CONTEMPORANEE” esponendo
in diverse collettive
- 2006-10-07: SOLITUDINI CONTEMPORANEE, Palazzo Dugnani, Milano, mostra collettiva con gli artisti Nazareno Luciani e Veronica Menghi, all’interno del convegno organizzato dal Comitato Scientifico Jonas Onlus (centro per la ricerca psicoanalitica dei nuovi sintomi: anoressie-bulimie, dipendenze, attacchi di panico, depressioni) . In esposizione 5 dipinti datati 2006.
- 2006. PREMIO CELESTE 2006, concorso per la promozione della pittura figurativa in Italia; partecipazione con il dittico su tela “La solitudine l’assenza i suoi colpi di luce… (P.Eluard)”, opera selezionata e pubblicata nel Catalogo del Premio.
- 2007. CATALOGO ARTE NUOVA – Catalogo Editoriale Giorgio Mondatori, Rassegna di artisti e partecipanti al Premio Arte 2006. Pubblicazione di due opere, breve biografia e testo critico del giornalista Paolo Levi.
- 2008. BIENNALE DELLE ARTI DELL’UNITA’ D’ITALIA, Complesso Monumentale Belvedere di San Leucio, Caserta: dal 24 Aprile all’11 maggio , 80 artisti emergenti, 10 maestri contemporanei, 10 artisti stranieri e la sezione esclusiva dedicata a Pablo Picasso e la Tauromachia, madrina d’eccezione Lucia Bosè, con il Patrocinio della Regione Campania e della Provincia di Caserta. Pannello espositivo PERSONALE con 23 opere. Pubblicazione all’interno del catalogo BIENNALE DELLE ARTI DELL’UNITA’ D’ITALIA – MAUI.
- 2009. 18.24 Collective: Gerzeli, Lacedra e Pangerc: I vincitori del concorso 18.24 in mostra a Jesolo: dal 25 giugno all’8 luglio 2009, Park Hotel Brasilia - Shaker, Jesolo (VE).
- 2010. Associazione Culturale Fonopoli. Roma. Concorso “Io e l’altro”: pubblicazione nel catalogo multimediale, sezione Arti Visive, con l’opera “Voice crying exclusion in my ear” (S. Plath)
- 2010. Pubblicazione su “Young Blood 10, Annual dei Talenti Italiani Premiati nel Mondo. ” L’annuario che dal 2007 raccoglie il meglio del talento italiano premiato in concorsi nazionali ed internazionali, è realizzato dalla redazione di Next Exit. Due pagine, con traduzione in inglese della biografia
Ha esposto il ciclo di grafiche in
tecnica mista su carta-caffè “HOC EST CORPUS MEUM” :
- 2011 Dicembre: “Le Farfalle. Le donne si amano? Mostra collettiva femminile. a cura di Grace Zanotto e Massimiliano Bisazza della Galleria Famiglia Margini. Presso SCIMMIE on the boat – Milano. Dal 9 Dicembre 2011 al 9 Febbraio 2012.
Come Performer:
- 2011. HAPPENING-PERFORMANCE: “LA BARA DEL BASTARDO: INVITO AL FUNERALE” – Galleria Famiglia Margini, Milano. Esibizione all’interno del progetto di Daniele Alonge per Famiglia Margini – Martedì 19 aprile 2011, ore 19.30/21.00.
- 2011. HAPPENING-PERFORMANCE: “Yummy Good !– Galleria Famiglia Margini, Milano. Esibizione all’interno del progetto di Manuela De Merito. Venerdì 13 maggio 2011, ore 19.30
- 2011-2013. PERFORMANCE-CONFESSIONAL “Io Sottraggo: La triangolazione cibo-corpo-peso” Tour: Un progetto itinerante riguardante la patologia anoressico-bulimica, ideato, realizzato ed eseguito da Giovanna Lacedra, per la prima volta in data 30 giugno 2011presso la Galleria Famiglia Margini di Milano, portato più volte a Milano, poi a Pescara, Cesena, Nocciano, Napoli, Striano, e giunto alla sua decima tappa in data 29 marzo 2013 a Lecce, Palazzo Turrisi.
- Gennaio 2013:“C’EST MOI: Le flux de quelque chose qui n'a pas de nom... “ Progetto fotografico realizzato in collaborazione con Pablo Peron per il Mediterraneo Foto Festival. Giovanna Lacedra modella e autrice dei testi, ho voluto affrontare una tematica analoga
Come curatrice:
Dal 27 Aprile al 27
maggio 2012.: “New Pep: Il quadro non è che un prodotto”
Pep Marchigiani Solo Show. A cura di Grace Zanotto e Giovanna
Lacedra. Galleria Famiglia Margini, Milano.
Dal 7 al 28 Luglio
2012 “C’ero una volta” – Anna Caruso Solo Show.A cura di Grace Zanotto e
Giovanna Lacedra. Galleria Famiglia Margini, Milano. Con performance di
Giovanna Lacedra in veste di Cappuccetto
Rosso Artistico, durante il vernissage.
Dal 30 gennaio 2013
al 24 febbraio 2013, “Cemento” –
UrbanSolid Solo Show.A cura di Giovanna Lacedra. Square23 Contemporary Art
Gallery, Torino.
Dal 28 febbraio 2013
al 30 marzo 2013, “Arcanum” –
Daniele Duò Solo Show.A cura di Giovanna Lacedra. Square23 Contemporary Art
Gallery, Torino.
Come autrice di
recensioni, articoli, interviste e testi critici:
Collabora con KritikaOnLine
di Emanuele Beluffi.
Cura la rubrica Woman’s
Art interamente dedicata all’arte prodotta dalle donne, all’interno del
portale Woman’s Journal.
lavoro molto interessante, peccato che ancora sia pieno di superflua musica commerciale e superficialità varie che tendono a sminuire il vero senso del lavoro,
RispondiEliminadi sicuro Vanessa Beecroft ha fatto meglio prima di lei marchiando questo mondo con forza...
forse è meglio che non si confonda il fenomeno artistico con il fenomeno sociale in quanto non è ne uno ne l'altro.
Caro Anonimo,
RispondiEliminain tutta onestà non mi sono mai preoccupata di voler fare meglio (o di poter fare peggio) della Beecroft, artista della quale ho scritto, che conosco a fondo, e che apprezzo moltissimo. Mi sono piuttosto preoccupata di fare qualcosa che fosse mio. Mio soltanto. Certo è anoressia, certo è bulimia. Ma è la mia storia, è il mio dramma, è il mio trauma, è la mia memoria. Meglio o peggio non lo so. Per me meglio o peggio non esiste. Questo è quello che sono e questo è quello di cui mi faccio portatrice. E questo è il modo in cui sono in grado di farlo. Devi sapere, caro anonimo,che ogni elemento presente in IO SOTTRAGGO ha una profondissima ragione d'essere. Pensa: persino la musica che tu definisci commerciale! E se anche tu avessi brani musicali più sofisticati, ricercati, anticonformisti e colti da consigliarmi,ti confesso che non potrei mai accettarli... perchè toglierebbero senso al mio lavoro "autobiografico", totalmente "autobiografico", pur nella sua superficialità. In IO SOTTRAGGO, mio caro, nulla è superficiale. Neppure il brano che tu trovi tale. Ma questo è un tuo giudizio, è un tuo parere, dunque non ho premura di scardinarlo ad ogni costo. Devi restare di questa idea, se ti è necessario. Per te quel brano sarà sempre superfluo, per me invece sarà sempre carico di memorie dolorose, carico di tutti i miei digiuni, carico di tutte le notti trascorse coi crampi allo stomaco per la fame e 40 battiti cardiaci al minuto, ascoltandolo in loop e ripetendo con le dita tra le costole "indossi il vuoto con classe, ma è tutto ciò che avrai...". Avevo 26 anni e ascoltavo gli Afterhours mentre morivo di anoressia. Cosa c'è di tanto superficiale in questo? Chissà cosa può mai significare questa frase per te: "indossi il vuoto con classe, ma è tutto ciò che avrai...". Chi lo sa! Del resto...a chi scrive con tanta superficialità di quanto questo brano sia a suo avviso superfluo, cosa potrebbe mai interessare? Le altre "superficialità" cui ti riferisci me le hai gentilmente risparmiate? Grazie!
Io non lo so se hai conosciuto l'anoressia e la bulimia da vicino. Perchè onestamente è il tuo giudizio che a me pare affrettato e superficiale. Nel 1993 Vanessa Beecroft affrontò il tema dei disturbi alimentari con una performance in cui, tra le altre cose fu esposto il suo libro del cibo, ovvero il suo diario di bulimica. Otto anni di bulimia ordinatamente raccolti in una lista quotidiana di cibi mangiati con i relativi apporti calorici. In quel diario tutto era metodico e ossessivo, solo nomi di alimenti e calorie. Bene: Hai mai visitato l'installazione di IO SOTTRAGGO? Hai mai letto qualche pagina dei miei diari? c'è dentro di tutto e disordinatamente: disegni, frammenti di poesie, confessioni intime e dolorose, dialoghi tra me e la malattia, addizioni in colonna degli apporti calorici, sottrazioni in colonna, registrazione del peso corporeo.. c'è di tutto. Ma il meglio e il peggio non esistono. Esistono le differenze.Pur affrontando lo stesso tema, su traccia esplicitamente autobiografica, ti garantisco che vi sono differenze sostanziali, differenze che dovresti aver notato, prima fra tutte: chi performa. Una differenza netta, direi: Lei scelse di far agire un gruppo di modelle, sue colleghe di studio all'accademia di Brera, facendo indossare loro della biancheria intima di sua appartenenza. Nella mia performance invece chi agisce sono io, ed io soltanto. Con lo stesso corpo che ha sofferto di anoressia e bulimia, con lo stesso corpo che puoi vedere scheletrico nelle foto-reportage del 2005, con lo stesso corpo che ho ammalato, io agisco il mio racconto.
Perchè bisogna ragionare in termini di " meglio o peggio"?
Che discorso è: "è meglio che non si confonda il fenomeno artistico con il fenomeno sociale in quanto non è ne uno ne l'altro"?
E infine perchè scegli di fare un commento tanto superficiale senza metterci la faccia?