Luigi Massari
LA VERA NAVIGAZIONE E' MORTA
a cura di Andrea Lacarpia
con un intervento sonoro di TERZO FUOCO
giovedì 31 Ottobre ore 18:30
Studio Vetusta, via Carteria 60, Modena
__________________________ ___________________
"Quando il mare immobile congiura un’ armatura
e le sue correnti cupe e abortite
generano piccoli mostri
la vera navigazione è morta."
(J.Morrison, “Horse Latitudes”)
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Giovedì 31 Ottobre alle 18,30 lo Studio Vetusta presenta LA VERA NAVIGAZIONE E’ MORTA, mostra personale di Luigi Massari a cura di Andrea Lacarpia, con un intervento sonoro di TERZO FUOCO previsto per le 21:30.
L’artista esporrà un’installazione composta da tre dipinti inediti accostati ai materiali collaterali che hanno contribuito a generarli: immagini fotografiche e oggetti sensibili, dispositivi di lavoro per la pittura o strani strumenti musicali, mutati di segno e promossi a residui celebrativi e catalizzatori energetici.
Incrociando i riferimenti visivi alle partiture musicali della performance, il progetto espositivo resta come traccia di una riflessione più ampia attorno ai meccanismi oscuri dei processi creativi, proponendo una sintesi personale di tradizione e contemporaneità.
La navigazione antica, la vera navigazione, era essenzialmente una navigazione empirica. Era il senso nautico dei marinai, l’esperienza e la capacità di porsi in ascolto e percepire i messaggi dall’ambiente che li circondava a permettere loro di orientarsi. Senza perdere contatto con il punto d’origine da cui erano salpati.
La vera navigazione è basata sui fattori della ricettività e dell’esplorazione, è un’attività densa di opportunità, ma rischiosa, un’apertura accidentale di possibilità che espone ad errori e ripensamenti. Ma è l’unica navigazione possibile. O forse la sola autentica.
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La vera navigazione è morta, lunga vita alla vera navigazione (Testo di Andrea Lacarpia)
Nel linguaggio del mito la navigazione è spesso rappresentazione del travaglio personale, dei patimenti di ogni uomo che intraprende l’arduo viaggio interiore in cerca della propria identità autentica. Il mare diviene quindi il luogo nel quale temprare lo spirito eroico, il coraggio di fronteggiare le difficoltà della vita, che sia essa personale o sociale. Se la terraferma, come indica la stessa parola, è espressione di una certa stabilità adatta ad ospitare insediamenti umani, il mare invece riporta all’imprevisto e all’idea di caos: la terra può ospitare la civiltà mentre i mari e gli oceani, con le loro imprevedibili correnti e il mistero degli abissi, riflettono i moti dell’inconscio, nei quali a regnare è la follia.
Il mondo greco ha narrato la contrapposizione di caos e civiltà, elemento fondante della cultura occidentale tradizionale, come uno scontro tra divinità: Atena e Poseidone, una divinità della téchne e l’altro dio del mare, lottano come in precedenza fece Zeus contro i l padre Kronos, vinto il quale, il nuovo sovrano degli dei chiuse il ciclo cosmico dei Titani, legato alla natura selvatica, per avviare l’era della tecnica, l’età olimpica. Come erede dei rudi Titani, Poseidone è un prolungamento della forza primordiale proveniente da tempi più antichi, alla quale ora viene relegata una porzione limitata del mondo: il perimetro di essa corrisponde ai confini tra civiltà e caos, ragione e follia.
Ulisse, noto archetipo dell’eroe navigatore, attraversa il mare in balia di un destino mutevole, agitato dai contrasti tra divinità che rappresentano posizioni psicologiche contrapposte: le potenti forze degli abissi gli rendono difficile il ritorno in patria, mentre le forze celesti lo aiuteranno nell’impresa fino al lieto fine del ritorno ad Itaca, compimento della vittoria sul caos grazie all’arte che rende l’uomo “simile agli dei”. La tecnica che assiste Ulisse nel governare un mare ostile non è meramente razionale, ma si tratta piuttosto di capacità di adattamento agli eventi imprevisti associata ad un’impertinente curiosità quasi fanciullesca, quindi un modo d’agire più vicino all’intuizione istintiva che all’attuazione di regole prestabilite, nel quale le azioni variano a seconda delle necessità e del cambiamento del fato.
Se nel mondo greco era l’idea di misura a differenziare civiltà e barbarie, nel mondo moderno, ed ancora più in quello d’oggi, si attua un’inversione tale che il senso della misura e del limite è dileggiato in virtù di una rampante perdita nell’infinito mare del profitto economico. Con la perdita del limite si perde anche la possibilità di scontro ideologico: oggi è annullata ogni possibilità di proporre un’utopia di benessere che non sia legata all’accumulazione del profitto, unica ideologia accettata perché mascherata da anti-ideologia. L’economia ha spodestato ogni valore per assumere un’assolutezza metafisica, nonostante l’apparente razionalità con la quale si presenta.
Il mare nel quale viaggiano i nuovi eroi non è più separato dalla civiltà, ma è un’onda che ha sommerso ogni luogo: l’impresa della rivoluzione, personale come sociale, è impresa ancor più ardua perché tutto è livellato nel fatalismo del denaro, nella logica del debito oramai assunta come incontestabile legge metafisica, quando invece non è altro che uno strumento di controllo delle masse fondato sulla paura.
La capacità inventiva dei naviganti, l’abilità nel fronteggiare le difficoltà interpretando i segni dell’arcaico linguaggio della natura, utilizzando semplicemente il proprio corpo e le proprie percezioni sensoriali, viene indicata da Luigi Massari come mezzo con il quale poter far fronte alla decadenza della civiltà occidentale. Affermando che la vera navigazione è morta, considerando come vera quella libera dalla meccanizzazione del mondo moderno, l’artista non fa altro che ricordarne l’esistenza, che resiste nascosta sotto l’abitudine capitalista, e nel contempo agevolarne la risurrezione: è con l’elaborazione del lutto che si può avviare un nuovo inizio, il quale per la concezione ciclica dell’esistenza è sempre un ritorno all’origine.
Nell’oblio delle acque infinite, dell’indefinito assoluto generato dal mondo del capitale, appaiono vascelli spettrali che indicano una speranza, la possibilità che si crei un nuovo limite, in altri termini una nuova avanguardia, senza essere fagocitati dalla palude nichilista della mancanza di valori. Lo spirito che anima queste imbarcazioni non è quello nostalgico o totalmente rivolto ad un futuro luccicante, ma è quello di una sospensione temporale. Si tratta di affioramenti che emergono dall’impalpabile dimensione psichica, ologrammi di una defunta realtà che fu integra, oramai smembrata in più frammenti, che torna dapprima come immagine incorporea, per poi farsi sempre più definita e reale. Un territorio dalla sospensione onirica, una terra di mezzo nella quale elaborare un nuovo modo di vivere la realtà, e nella quale unire in modo organico unità e molteplice, tradizione e contemporaneità. Luigi Massari assembla i frammenti che insieme compongono la civiltà occidentale, salvandoli dall’oblio, tratti da una realtà liquida da governare e nello stesso tempo assimilare, estrapolando da essa un pensiero ed un modo d’essere che sia stabile e fluido allo stesso tempo.
Liberandosi dalle superfetazioni del tempo e squarciando il pesante velario che nasconde la luce divina, l’archetipo torna nella sua essenza scevra da condizionamenti, mostrandosi nella sua verità originaria, irrompendo come un’epifania.
Andrea Lacarpia
LA VERA NAVIGAZIONE E' MORTA
a cura di Andrea Lacarpia
con un intervento sonoro di TERZO FUOCO
giovedì 31 Ottobre ore 18:30
Studio Vetusta, via Carteria 60, Modena
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"Quando il mare immobile congiura un’ armatura
e le sue correnti cupe e abortite
generano piccoli mostri
la vera navigazione è morta."
(J.Morrison, “Horse Latitudes”)
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Giovedì 31 Ottobre alle 18,30 lo Studio Vetusta presenta LA VERA NAVIGAZIONE E’ MORTA, mostra personale di Luigi Massari a cura di Andrea Lacarpia, con un intervento sonoro di TERZO FUOCO previsto per le 21:30.
L’artista esporrà un’installazione composta da tre dipinti inediti accostati ai materiali collaterali che hanno contribuito a generarli: immagini fotografiche e oggetti sensibili, dispositivi di lavoro per la pittura o strani strumenti musicali, mutati di segno e promossi a residui celebrativi e catalizzatori energetici.
Incrociando i riferimenti visivi alle partiture musicali della performance, il progetto espositivo resta come traccia di una riflessione più ampia attorno ai meccanismi oscuri dei processi creativi, proponendo una sintesi personale di tradizione e contemporaneità.
La navigazione antica, la vera navigazione, era essenzialmente una navigazione empirica. Era il senso nautico dei marinai, l’esperienza e la capacità di porsi in ascolto e percepire i messaggi dall’ambiente che li circondava a permettere loro di orientarsi. Senza perdere contatto con il punto d’origine da cui erano salpati.
La vera navigazione è basata sui fattori della ricettività e dell’esplorazione, è un’attività densa di opportunità, ma rischiosa, un’apertura accidentale di possibilità che espone ad errori e ripensamenti. Ma è l’unica navigazione possibile. O forse la sola autentica.
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La vera navigazione è morta, lunga vita alla vera navigazione (Testo di Andrea Lacarpia)
Nel linguaggio del mito la navigazione è spesso rappresentazione del travaglio personale, dei patimenti di ogni uomo che intraprende l’arduo viaggio interiore in cerca della propria identità autentica. Il mare diviene quindi il luogo nel quale temprare lo spirito eroico, il coraggio di fronteggiare le difficoltà della vita, che sia essa personale o sociale. Se la terraferma, come indica la stessa parola, è espressione di una certa stabilità adatta ad ospitare insediamenti umani, il mare invece riporta all’imprevisto e all’idea di caos: la terra può ospitare la civiltà mentre i mari e gli oceani, con le loro imprevedibili correnti e il mistero degli abissi, riflettono i moti dell’inconscio, nei quali a regnare è la follia.
Il mondo greco ha narrato la contrapposizione di caos e civiltà, elemento fondante della cultura occidentale tradizionale, come uno scontro tra divinità: Atena e Poseidone, una divinità della téchne e l’altro dio del mare, lottano come in precedenza fece Zeus contro i l padre Kronos, vinto il quale, il nuovo sovrano degli dei chiuse il ciclo cosmico dei Titani, legato alla natura selvatica, per avviare l’era della tecnica, l’età olimpica. Come erede dei rudi Titani, Poseidone è un prolungamento della forza primordiale proveniente da tempi più antichi, alla quale ora viene relegata una porzione limitata del mondo: il perimetro di essa corrisponde ai confini tra civiltà e caos, ragione e follia.
Ulisse, noto archetipo dell’eroe navigatore, attraversa il mare in balia di un destino mutevole, agitato dai contrasti tra divinità che rappresentano posizioni psicologiche contrapposte: le potenti forze degli abissi gli rendono difficile il ritorno in patria, mentre le forze celesti lo aiuteranno nell’impresa fino al lieto fine del ritorno ad Itaca, compimento della vittoria sul caos grazie all’arte che rende l’uomo “simile agli dei”. La tecnica che assiste Ulisse nel governare un mare ostile non è meramente razionale, ma si tratta piuttosto di capacità di adattamento agli eventi imprevisti associata ad un’impertinente curiosità quasi fanciullesca, quindi un modo d’agire più vicino all’intuizione istintiva che all’attuazione di regole prestabilite, nel quale le azioni variano a seconda delle necessità e del cambiamento del fato.
Se nel mondo greco era l’idea di misura a differenziare civiltà e barbarie, nel mondo moderno, ed ancora più in quello d’oggi, si attua un’inversione tale che il senso della misura e del limite è dileggiato in virtù di una rampante perdita nell’infinito mare del profitto economico. Con la perdita del limite si perde anche la possibilità di scontro ideologico: oggi è annullata ogni possibilità di proporre un’utopia di benessere che non sia legata all’accumulazione del profitto, unica ideologia accettata perché mascherata da anti-ideologia. L’economia ha spodestato ogni valore per assumere un’assolutezza metafisica, nonostante l’apparente razionalità con la quale si presenta.
Il mare nel quale viaggiano i nuovi eroi non è più separato dalla civiltà, ma è un’onda che ha sommerso ogni luogo: l’impresa della rivoluzione, personale come sociale, è impresa ancor più ardua perché tutto è livellato nel fatalismo del denaro, nella logica del debito oramai assunta come incontestabile legge metafisica, quando invece non è altro che uno strumento di controllo delle masse fondato sulla paura.
La capacità inventiva dei naviganti, l’abilità nel fronteggiare le difficoltà interpretando i segni dell’arcaico linguaggio della natura, utilizzando semplicemente il proprio corpo e le proprie percezioni sensoriali, viene indicata da Luigi Massari come mezzo con il quale poter far fronte alla decadenza della civiltà occidentale. Affermando che la vera navigazione è morta, considerando come vera quella libera dalla meccanizzazione del mondo moderno, l’artista non fa altro che ricordarne l’esistenza, che resiste nascosta sotto l’abitudine capitalista, e nel contempo agevolarne la risurrezione: è con l’elaborazione del lutto che si può avviare un nuovo inizio, il quale per la concezione ciclica dell’esistenza è sempre un ritorno all’origine.
Nell’oblio delle acque infinite, dell’indefinito assoluto generato dal mondo del capitale, appaiono vascelli spettrali che indicano una speranza, la possibilità che si crei un nuovo limite, in altri termini una nuova avanguardia, senza essere fagocitati dalla palude nichilista della mancanza di valori. Lo spirito che anima queste imbarcazioni non è quello nostalgico o totalmente rivolto ad un futuro luccicante, ma è quello di una sospensione temporale. Si tratta di affioramenti che emergono dall’impalpabile dimensione psichica, ologrammi di una defunta realtà che fu integra, oramai smembrata in più frammenti, che torna dapprima come immagine incorporea, per poi farsi sempre più definita e reale. Un territorio dalla sospensione onirica, una terra di mezzo nella quale elaborare un nuovo modo di vivere la realtà, e nella quale unire in modo organico unità e molteplice, tradizione e contemporaneità. Luigi Massari assembla i frammenti che insieme compongono la civiltà occidentale, salvandoli dall’oblio, tratti da una realtà liquida da governare e nello stesso tempo assimilare, estrapolando da essa un pensiero ed un modo d’essere che sia stabile e fluido allo stesso tempo.
Liberandosi dalle superfetazioni del tempo e squarciando il pesante velario che nasconde la luce divina, l’archetipo torna nella sua essenza scevra da condizionamenti, mostrandosi nella sua verità originaria, irrompendo come un’epifania.
Andrea Lacarpia
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