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venerdì 15 febbraio 2013

Daniele Duò -Arcanum- a cura di Giovanna Lacedra


Daniele Duò
Arcanum
a cura di Giovanna Lacedra
28.02 - 23.03. 2013


SQUARE23 Contemporary Art gallery
Via San Massimo 45, 10123, Torino

Orari di apertura:
11-20, da martedì a sabato
Info:334.9980390 info@square23.net



Associazione MOMUS arte e design
Info:347.6870457
lorenza.capitano@momustorino.com

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a cura di Giovanna Lacedra

“Ho bucato nel muro di tela una finestra.
Nuotando traditore con gambe e braccia sciolte”
[Stephane Mallarmé]

Sono i versi scritti da uno dei più celebri poeti simbolisti, ma potrebbero anche essere le parole di un pittore, che – spinto da un’urgenza disvelante – decidesse di trasformare le proprie tele in finestre schiuse su mondi apparentemente inaccessibili. Mondi “altri”. Misteriosi e misconosciuti, eppure prodigiosamente vicini. Mondi dentro al mondo. Conglobati, come scatole cinesi. O realtà parallele. Rasenti come stanze attigue.

Luoghi non immediatamente percepibili. Ma intuibili e limitrofi. Territori di un altrove che sta alla realtà, così come il cielo sta al mare.

Gli artisti Pre-Simbolisti – Goya, Rossetti, Füssli e Blake – e Simbolisti – Moreau, Klimt, Von Stuck , Delville, Knopff –, hanno trattato la figura umana come padrona dell’immaginifico spazio pittorico e magnificamente capace di spalancare finestre sull’ignoto. Insomma, come il significante per eccellenza.

Ancora oggi vi sono artisti convinti che l’arte sia uno strumento capace di sondare l’occulto, rendere manifesta la sovra-natura ed esorcizzare i fantasmi interiori. E a dispetto di una postmoderna deflagrazione di tecniche e contenuti, continuano ad adoperare la pittura ad olio con questa precisa finalità. Uno di questi è Daniele Duò (Torino, 1986) . Muovendosi in una dialettica pittorica di matrice Neo-Simbolista, Duò sembra fare di questo verso mallarmeano l’incipit al proprio agire. Pittore di sguardi eloquenti e graffianti, sin dagli esordi popola le sue tele di creature che appaiono avulse dal tempo reale e collocate in un tempo astrale . Deificate e demonizzate dal particolare uso del bianco e nero, queste donne hanno occhi che sembrano discorsi aperti; tagli che si affacciano su una sorta di quinta dimensione. Pin-up o dark lady – un po’ aliene e un pò virago – queste creature sembrano vivere da sempre in un remote viewing.

Il suo nuovo ciclo pittorico, dal titolo Arcanum, ripropone le medesime atmosfere mediante una figurazione sempre molto accurata, ma oggi rinnovata da una scelta stilistica che si avvale anche del segno grafico. In queste nuove opere, infatti, Duò sceglie di sintetizzare, attraverso la linea nera di un pennarello, determinati dettagli della composizione o del soggetto. Tutto il resto è pittura ad olio che crea volumi e profondità mediante l’uso sapiente dello sfumato, basandosi su una tavolozza ridotta alla mescolanza dei non-colori. Il bianco ed il nero risolvono ogni tela in una scala di grigi, e talvolta il contrasto si fa netto. Senza gradazioni. L’altra grande novità delle opere presenti in mostra, risiede nella scelta del soggetto ritratto, il quale non muta più di tela in tela, come accadeva nel ciclo Black Candy (esposto presso lo Spazio Orlandi di Milano nel giugno del 2011), ma resta ossessivamente lo stesso: Lei.

Lei. L’enigma, l’arcano, il mistero. La sintesi di tutte le cose. La roccaforte dell’increato. L’androginia, già incontrata con i Simbolisti storicizzati, torna a manifestarsi nel corpo esile della semidea di Arcanum. È un corpo quasi del tutto scevro da connotati che possano definirne l’identità di genere. La modella scelta dal pittore sembra includerlo nella sua fisicità. Sembra essere l’altra parte di sé. Come Knopff si autoritrae guancia a guancia con la personificazione dell’ispirazione creativa, allo stesso modo Duò inserisce nel ritratto di Lei, elementi della propria fisicità, quasi a tentare quella fusione platonica mai più ritrovata dal tempo in cui Zeus separò l’essere completo in due metà complementari: il maschio e la femmina. Lei ne è la fusione ricreata: un essere etereo e completo. È il segreto della vita raccolto in uno sguardo. E non chiude mai gli occhi, né li rivolge altrove. Quello sguardo esiste per catturare lo spettatore: scruta, svela, indaga. Inchioda chi le sta di fronte, e riassume la luce di tutte le vite che ha vissuto

Lei è madre e amante, è adulta e bambina. È l’amore ed è la morte. Ma non si tratta di una femme fatale klimtiana, né di una peccatrice Vonstuckiana. Si tratta piuttosto di un’anima veggente. O più chiaramente, di quel buco nella tela suggerito Mallarmè. Lei è l’uomo nella donna. È il figlio della Luna. È la presentificazione del mistero. E di tela in tela, muta: ora è una donna-farfalla, ora è la protettrice dei bambini abusati; ora catalizza l’energia della luna, ora diventa padrona del tempo. È sempre una metafora. È simbolo per eccellenza. La sua chioma ribelle si ramifica all’infinito, perché lei è un albero, è un fiore, è un nido ed è una nuvola. Presente a se stessa anche quando si perde, perché resta una scheggia nell’universo. E di tela in tela, procede nel suo cammino, smarrendosi in boschi soleggiati o paesaggi lunari.

Arcanum è un ciclo in cui ogni tela ha una funzione analoga a quella dei Tarocchi nella cartomanzia, e va dunque letta come summa allegorica delle vita stessa.

L’atto creativo è in tal caso è un processo alchemico, una sorta di un rituale magico. È un veicolo capace di condurre artista e fruitore in territori che trascendono la realtà fruibile, pur dimorandovi ad un differente livello vibrazionale. La monocromia adottata da Duò sa eternare l’immagine di questa creatura enigmatica. E in alcune tele, la sua centralità e lo scorcio prospettico del sottoinsù la rendono memore della “Parsifal” di Delville.

Arcanum. Quando la pittura si fa finestra sull’ignoto.

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