Caro premier, salva l’arte . Di Salvatore Settis — l’Espresso, 25.01.2013.
Un grande storico e archeologo scrive al capo del governo che
verrà. Perché nella sua agenda metta al primo posto la difesa di
ambiente e cultura
Al prossimo presidente del
Consiglio (chiunque sia). Signor Presidente, negli ultimi anni,
principi costituzionali e pratiche politiche consolidate
hanno subito una continua erosione. Sotto il peso (o con l’alibi)
della crisi economica, tagli spietati hanno colpito la spesa
sociale: scuola, cultura, università, tutela del patrimonio e
dell’ambiente, ricerca, teatro e musica, sanità. Anche quando i
“tagli lineari” (cioè ciechi) dei governi di destra sono stati
ribattezzati spending review, in nulla hanno giovato al pubblico
interesse: al contrario, h anno ridotto il livello dei servizi ai
cittadini, favorito la recessione, incrementato la
disoccupazione. Colpendo la dignità di chi (non) lavora e
l’equità, questa politica mina alla radice democrazia e libertà.
La nuova legislatura può segnare una svolta, reinnescando quel
che da tempo manca al nostro Paese: creazione di competenze,
creatività, innovazione, occupazione. Al vertice delle
priorità del governo devono essere la cura dell’ambiente e la messa
in sicurezza del territorio. E un compito immane, perché questi
temi sono stati trascurati per decenni. Ma è un traguardo
essenziale, che merita investimenti sostanziosi e può
assorbire più forza lavoro di quella per “grandi opere”, spesso
invecchiate prima di nascere. Cura dell’ambiente vuoi dire tutela
della salute, ma anche tutela del paesaggio, a cominciare dal
paesaggio agrario; vuol dire promozione dell’agricoltura di
qualità, con potenti ricadute economiche. Vuol dire protezione
del patrimonio culturale, e saltato a parole come maggior
ricchezza d’Italia, ma di fatto abbandonato al degrado. Questi
temi sono fortemente legati fra loro. È perciò urgente agire sulle
istituzioni, ponendo fine alla condizione residuale del
ministero dei Beni culturali e alla scelta di ministri incapaci.
Esso può essere accorpato al ministero dell’Ambiente, per una
nuova politica fondata sulla cultura della prevenzione, dal
controllo del rischio idrogeologico alla conservazione
programmata del patrimonio culturale. Ma anche questa “mossa”
sarebbe inefficace, se non si accompagnasse a un torte
reinvestimento sui Beni culturali, che quanto meno rimedi al
cinico taglio di oltre un miliardo perpetrato da Berlusconi nel
2008. È inoltre necessario il rinnovo del personale, ibernato
dal blocco del turn-over, mediante una sana politica di assunzioni
per merito, aperta a esperti non solo italiani.
Il futuro di un Paese dipende da tre fattori: lungimiranza
degli obiettivi, formazione dei giovani, innesco di energie
creative. In Italia da decenni accade il contrario: le riforme
della scuola e dell’universirà sono ispirate non da un qualsivoglia
progetto culturale, ma dalla decisione di tagliare a ogni costo i
bilanci nel segno di un miope neoliberismo. La ricerca di base
(la sola che produca esiti, anche economici, di lungo periodo) è
accantonata in favore di uno “sguardo corto” che pretende
risultati misurabili in tempi brevi; la qualità viene esiliata in
favore della quantità. Riportare il futuro al centro della
politica rilanciando scuola, università e ricerca mediante
accorti investimenti sulla qualità e nuove assunzioni in base al
merito: ecco un’altra prioritàdel governo. Altri Paesi, dagli
Stati Uniti alla Germania alla Francia, stanno investendo in
istruzione e ricerca come mezzi per combattere la crisi economica;
in Italia si fa l’opposto. E tempo di rompere questo isolamento,
recuperando l’alta tradizione italiana e ricollocando al
centro il sistema pubblico di istruzione anziché, come si è fatto
negli ultimi anni, depotenziarlo in favore del settore privato.
Questi obiettivi minimi non sono degli optional. Essi corrispondono all’orizzonte dei diritti prescritto dalla Costituzione. La Costituzione, per intenderci, a cui il nuovo governo presterà giuramento, e non una pretesa “Costituzione materiale”. La centralità della cultura è scolpita nell’art.9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Autonomia delle università, centralità della scuola pubblica, diritto allo studio (art. 33–34), libertà di pensiero (art. 21) sono aspetti del diritto alla cultura, essenziale allo sviluppo della personalità individuale (art. 3) e al «progresso spirituale della società»(art.4).
Questi obiettivi minimi non sono degli optional. Essi corrispondono all’orizzonte dei diritti prescritto dalla Costituzione. La Costituzione, per intenderci, a cui il nuovo governo presterà giuramento, e non una pretesa “Costituzione materiale”. La centralità della cultura è scolpita nell’art.9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Autonomia delle università, centralità della scuola pubblica, diritto allo studio (art. 33–34), libertà di pensiero (art. 21) sono aspetti del diritto alla cultura, essenziale allo sviluppo della personalità individuale (art. 3) e al «progresso spirituale della società»(art.4).
Questi principi fondamentali dello Stato sono costantemente
disattesi con l’alibi di una “tecnicità” che produce tagli, ma non
sviluppo. Devono tornare al centro delle politiche del governo,
nel loro nesso con altri diritti essenziali sanciti dalla
Costituzione: il diritto alla salute (art. 32), il diritto al
lavoro (art. 4), la «pari dignità sociale». (art. 3). La
disgregazione, anzi la “macelleria sociale” che è sotto i nostri
occhi ha in questi principi il suo rimedio: perché solo se i
diritti sono riconosciuti è possibile esigere «l’adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e
sociale» (art. 2).
I problemi globali dell’economia e la pessima gestione dei
bilanci hanno messo in ombra questi principi, e il “governo
tecnico” ha interpretato il proprio mandato alla luce di un
precetto che la Costituzione non contiene, anzi nega: la priorità
dell’economia sui diritti. È tempo di mettere sul tavolo il
contrasto fra la necessità (che tutti riconoscono) di
risanamento dei bilanci e l’obbligo (che molti dimenticano) di
rispettare la legalità costituzionale. La “ricetta tecni ca” di
tagliare alla cieca la spesa sociale ha prodotto solo recessione,
disoccupazione, disordine. Per uscire da questo vicolo cieco
occorre reperire con urgenza nuove risorse, combattendo con fatti
e non parole l’enorme evasione fiscale: 142,47 miliardi di euro di
tasse non pagare nel solo 201 l (dati Confcommercio).
Recuperandone almeno la metà, si potrebbe cominciare a sanare
il debito pubblico e investire in scuola, ricerca, patrimonio,
sanità, innescando processi virtuosi di stimolo della creatività
e dell’economia. Una sana spending review dovrebbe cancellare
spese vane o dannose, a cominciare dal ponte sullo Stretto e da
altre “grandi opere”, dall’acquisto insensato di aerei da guerra e
sommergibili, da interventi onerosi e fallimentari come il
“salvataggio” Alitalia.
Qualificare la spesa capovolgendo le priorità dei governi di
questa legislatura è il primo passo verso un rinnovato ruolo
dell’Italia in Europa. Per non essere a rimorchio degli gnomi delle
Borse, l’Italia deve fare appello alle enormi energie creative dei
cittadini, che hanno nella nostra storia, arte, cultura il loro
inesauribile tesoro. È un “conto in banca” che non è quotato in
Borsa, ma vale più di qualsiasi spread. Dimenticarlo è delittuoso,
anche perché condanna l’Italia a un ruolo gregario indegno delle
sue potenzialità. Promuoverloè necessario, per rilanciare
un’idea di Stato-comunità che costruisce e difende i diritti delle
generazioni future. La Costituzione non va cambiata, va riletta
alla luce del presente, come la Carta della nostra identità
culturale. Perché, molti economisti oggi lo riconoscono, la
distruzione dell’identità storica disgrega la società e ne riduce
la produttività, mentre ogni “crescita endogena” si fonda sul
pieno recupero dell’autocoscienza culturale delle comunità. Uno
sguardo lungimirante, una consapevole capacità di futuro:
questo, signor presidente, gli italiani aspettano dal nuovo
governo.
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