GIANNI MORETTI | IL TRENTACINQUESIMO ANNO
a cura di Martina Cavallarin
Da martedì 7 maggio 2013 la project room di Fabbri Contemporary Art espone le opere di Gianni Moretti
Inaugurazione: martedì 7 maggio dalle 18.30
Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.- Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede Kublai Kan.- Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra – risponde Marco – ma dalla linea dell’arco che esse formano. Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: – Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che m’importa. Polo risponde: - Senza pietre non c’è arco. [Italo Calvino, Le Città Invisibili]
Sebbene esistano possibilità di sistemi non strutturati, ai limiti per intenderci, il nostro modello sociale principale, quello che definisce i rapporti tra esseri umani, vede la società come un sistema organizzato e gerarchicamente ordinato, dove ognuno occupa delle posizioni collettive, politiche ed economiche.
L’arte per sua natura - una natura instabile, equilibrata sulla soglia, con un limite da spostare in avanti infrangendolo e riproponendolo costantemente a temperatura più alta - sfugge al destino entropico cui è soggetto l’universo biologico e a quello precostituito dalle strutture sociali. L’artista crea e denuncia l’opera, un’impertinenza endemica sia alla superficie pellicolare che al nucleo interno. Tuttavia anche l’artista abita la società e come ogni essere vivente è soggetto alle regole preordinate. Gianni Moretti, nell’installazione satura e in costante stato di mutazione concepita nel grembo della Galleria Fabbri, pone l’accento sulla dicotomia che si crea tra la sua genesi di essere umano - il suo abitare il mondo civile e mantenersi quindi all’interno delle sue norme - e il suo essere artista che genera un’opera indenne da limiti e ordine. IL TRENTACINQUESIMO ANNO racconta di scadenze coatte, termini obbligati, rinvii, deadline imposta dal sistema arte mentre la verità e la presenza del percorso artistico procedono in un flusso fluido e costante di ricerca e sperimentazione. I fogli di velina nera, che saranno costantemente sostituiti e integrati nel corso dell’intera esposizione a testimonianza dello scorrere dell’esistenza e del processo creativo, accolgono delle immagini stampate - nero su nero, quasi impalpabili e invisibili - di organismi in divenire interrotti o a volte mutilati dalla piegatura morbida, ma inesorabile della superficie della carta. Le figure rappresentano corpi del soggettivo e del privato, brani di un’anatomia individuale dell’artista che si fa simbolo di ogni essere e del suo abitare il mondo. La ruga sulla carta è metafora della forzatura sociale e dei limiti imposti, scansione e singhiozzo di un procedere che ammette errori e fallimenti.
In questa esposizione raccolta e densa, Gianni Moretti ci pone con raffinata bellezza e flessuoso modulo poetico di fronte ai temi più caldi e intensi del cammino dell’uomo e dello stato di crisi presente. La sua installazione apre il pensiero sui rapporti di potere, su soggettivo e collettivo, privato e pubblico, minimo e massimo espressi dalla potenza di un’opera che condiziona la percezione e dialoga in sussurrata e misurata polemica sui pesi che determinano le leggi interne ed esterne dell’universo e della sua ordinata o preordinata struttura.
Martina Cavallarin
a cura di Martina Cavallarin
Da martedì 7 maggio 2013 la project room di Fabbri Contemporary Art espone le opere di Gianni Moretti
Inaugurazione: martedì 7 maggio dalle 18.30
Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.- Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede Kublai Kan.- Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra – risponde Marco – ma dalla linea dell’arco che esse formano. Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: – Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che m’importa. Polo risponde: - Senza pietre non c’è arco. [Italo Calvino, Le Città Invisibili]
Sebbene esistano possibilità di sistemi non strutturati, ai limiti per intenderci, il nostro modello sociale principale, quello che definisce i rapporti tra esseri umani, vede la società come un sistema organizzato e gerarchicamente ordinato, dove ognuno occupa delle posizioni collettive, politiche ed economiche.
L’arte per sua natura - una natura instabile, equilibrata sulla soglia, con un limite da spostare in avanti infrangendolo e riproponendolo costantemente a temperatura più alta - sfugge al destino entropico cui è soggetto l’universo biologico e a quello precostituito dalle strutture sociali. L’artista crea e denuncia l’opera, un’impertinenza endemica sia alla superficie pellicolare che al nucleo interno. Tuttavia anche l’artista abita la società e come ogni essere vivente è soggetto alle regole preordinate. Gianni Moretti, nell’installazione satura e in costante stato di mutazione concepita nel grembo della Galleria Fabbri, pone l’accento sulla dicotomia che si crea tra la sua genesi di essere umano - il suo abitare il mondo civile e mantenersi quindi all’interno delle sue norme - e il suo essere artista che genera un’opera indenne da limiti e ordine. IL TRENTACINQUESIMO ANNO racconta di scadenze coatte, termini obbligati, rinvii, deadline imposta dal sistema arte mentre la verità e la presenza del percorso artistico procedono in un flusso fluido e costante di ricerca e sperimentazione. I fogli di velina nera, che saranno costantemente sostituiti e integrati nel corso dell’intera esposizione a testimonianza dello scorrere dell’esistenza e del processo creativo, accolgono delle immagini stampate - nero su nero, quasi impalpabili e invisibili - di organismi in divenire interrotti o a volte mutilati dalla piegatura morbida, ma inesorabile della superficie della carta. Le figure rappresentano corpi del soggettivo e del privato, brani di un’anatomia individuale dell’artista che si fa simbolo di ogni essere e del suo abitare il mondo. La ruga sulla carta è metafora della forzatura sociale e dei limiti imposti, scansione e singhiozzo di un procedere che ammette errori e fallimenti.
In questa esposizione raccolta e densa, Gianni Moretti ci pone con raffinata bellezza e flessuoso modulo poetico di fronte ai temi più caldi e intensi del cammino dell’uomo e dello stato di crisi presente. La sua installazione apre il pensiero sui rapporti di potere, su soggettivo e collettivo, privato e pubblico, minimo e massimo espressi dalla potenza di un’opera che condiziona la percezione e dialoga in sussurrata e misurata polemica sui pesi che determinano le leggi interne ed esterne dell’universo e della sua ordinata o preordinata struttura.
Martina Cavallarin
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