Leggo su www.ilgiornale.it questo interessante articolo a firma di Luca Beatrice su di un tema a mecaro: il Low Brow... da leggere!
articolo originale su: http://www.ilgiornale.it/cultura/la_salvezza_pittura_arriva_pop_surrealismo/26-08-2011/articolo-id=541976-page=0-comments=1
La salvezza della pittura? Arriva dal «Pop Surrealismo»
Il mondo dell’arte periodicamente si interroga sul destino della pittura, se sia o meno un linguaggio ancora in grado di esprimere il senso del nuovo. Ma mentre in Europa (in Italia soprattutto) da tempo non si riesce a trovare nulla di entusiasmante e i giovani pittori sembrano ancorati a stili vecchi e passatisti, dall’America proviene una pattuglia di ex-ragazzi (tutti ben oltre la quarantina) all’insegna dell’energia, della contaminazione e dell’entusiasmo. Per comodità li hanno inquadrati dentro il movimento del Pop Surrealism, noto anche come Low Brow, ma dimostrano di avere ciascuno una precisa individualità. I loro punti di riferimento si chiamano Robert Williams, inventore della rivista alternative Juxtapoz ed autore della copertina censurata per Appetite for Destruction dei Guns and Roses, e Mark Ryden, pittore di culto che dipinge come un fiammingo immagini goticheggianti, forse l’unico a essere stato accettato dai musei che contano, con valutazioni di conseguenza molto alte. Gli altri se ne fregano della poca considerazione della critica. Lavorano con un paio di ottime gallerie quali La Luz de Jesus a Los Angeles e Jonathan Levine a New York, collaborano con Iguanapop che da Barcellona si sta trasferendo a Madrid, Magda Danys a Parigi, Mondo Bizzarro a Roma e soprattutto Antonio Colombo a Milano, che dal prossimo autunno presenterà in serie i più intriganti del mucchio. Nessuno di loro però crede che il sistema di vendita tradizionale possa raggiungere il pubblico di fan cui si rivolgono: perciò hanno tutti un website dove si possono comprare stampe, oggetti, edizioni limitate a prezzi modici, quasi mai sopra i 1.000 dollari.
Ciò che unisce l’esperienza Low Brow è il continuo remixaggio delle fonti, tra alto e basso, popolare e colto, tradizione americana fondata sugli stereotipi figurativi dei miti della strada e della frontiera e conoscenza della pittura classica dalla quale, bene o male, è necessario partire.
Fuori i nomi, dunque. Il più «pittore» È certamente Eric White che viene dal Michigan, appassionato di cinema di genere bianconero e a colori di cui si diverte a immaginare scene che non esistono. Lo stesso criterio lo applica al mondo della musica (i Pop Surrealisti sono rocchettari autentici), stravolgendo copertine celebri di LP come se fosse entrato un virus malefico; tra le vittime illustri, Köln Concert di Keith Jarrett, Houses of the Holy dei Led Zeppelin e Who’s Next degli Who. Uno di cui si sta parlando molto è Anthony Ausgang, nato a Trinidad e Tobago, che ha illustrato la cover dell’ultimo album dei MGMT. Il suo segno rappresenta l’anti-cartoon disneyano popolato da gatti che ricordano il mitico Felix. Prima di acquisire la consapevolezza di essere un artista era specializzato nella customizzazione di automobili, e proprio per questo non ha nessun problema a lavorare su commissione per aziende e concept store. A dicembre è atteso un suo intervento sulle vetrine della Rinascente in piazza del Duomo. Vanta, tra i suoi collezionisti, Nicholas Cage, David Arquette e Perry Farrell.
Viene dal mondo del disegno animato il californiano Gary Baseman, inventore per la Disney di Teacher’s Pet con cui ha vinto diversi premi. Recupera una figurazione prebellica mescolandola allo stile Manga di Murakami. Nessun problema ad autonominarsi artista commerciale, più designer che pittore.
Nel 2010 ha fondato i Nightmare and the Cat, che definisce la prima art-jockey band. Rimanendo nel medesimo ambito, figura di culto, adorato dagli specialisti del Southern Rock e di tutti gli stereotipi che gli girano attorno, è Wes Freed che da diversi anni illustra i dischi dei Drive-By Truckers ed è inventore del marchio Willard’s Garage, universo nero che ricorda i film di Tim Burton e i romanzi di Joe Lansdale. Altro californiano è Tim Biskup, matrice punk e buona conoscenza dell’avanguardia storica che distorce mescolando Picasso e il Pop, l’Afro e Paul Klee.
A testimonianza che il fenomeno Low Brow comincia a essere globale e non solo americano, da segnalare Gary Taxali, nato in India e operante a Toronto, che recupera il modernismo “minore” delle riviste pulp, dipinge senza dimenticare di essere un illustratore apprezzato e che il suo primo mestiere è l’insegnamento del design. «Impagina» i quadri come fossero copertine di riviste o manifesti, ironizzando sulla seriosità di certi autori pop diventati strafamosi, come Lichtenstein. Nel suo shop on line a disposizione anche accessori, giocattoli e skateboard a buoni prezzi. Canadese puro sangue è Ryan Heshka, che reinventa lo stile delle vecchie copertine Urania e dei romanzi di fantascienza popolati di straordinari mostri e vampiri dell’età atomica. Un vintage intrigante e in fondo nostalgico.
Si può dunque parlare a proposito di questa tendenza come dell’ultima vera avanguardia pittorica? Sì, se diamo retta all’istinto, molto meno se ci sottomettiamo delle regole del sistema, a meno che dal «culturale» si passi, finalmente, al «cultuale».
Ciò che unisce l’esperienza Low Brow è il continuo remixaggio delle fonti, tra alto e basso, popolare e colto, tradizione americana fondata sugli stereotipi figurativi dei miti della strada e della frontiera e conoscenza della pittura classica dalla quale, bene o male, è necessario partire.
Fuori i nomi, dunque. Il più «pittore» È certamente Eric White che viene dal Michigan, appassionato di cinema di genere bianconero e a colori di cui si diverte a immaginare scene che non esistono. Lo stesso criterio lo applica al mondo della musica (i Pop Surrealisti sono rocchettari autentici), stravolgendo copertine celebri di LP come se fosse entrato un virus malefico; tra le vittime illustri, Köln Concert di Keith Jarrett, Houses of the Holy dei Led Zeppelin e Who’s Next degli Who. Uno di cui si sta parlando molto è Anthony Ausgang, nato a Trinidad e Tobago, che ha illustrato la cover dell’ultimo album dei MGMT. Il suo segno rappresenta l’anti-cartoon disneyano popolato da gatti che ricordano il mitico Felix. Prima di acquisire la consapevolezza di essere un artista era specializzato nella customizzazione di automobili, e proprio per questo non ha nessun problema a lavorare su commissione per aziende e concept store. A dicembre è atteso un suo intervento sulle vetrine della Rinascente in piazza del Duomo. Vanta, tra i suoi collezionisti, Nicholas Cage, David Arquette e Perry Farrell.
Viene dal mondo del disegno animato il californiano Gary Baseman, inventore per la Disney di Teacher’s Pet con cui ha vinto diversi premi. Recupera una figurazione prebellica mescolandola allo stile Manga di Murakami. Nessun problema ad autonominarsi artista commerciale, più designer che pittore.
Nel 2010 ha fondato i Nightmare and the Cat, che definisce la prima art-jockey band. Rimanendo nel medesimo ambito, figura di culto, adorato dagli specialisti del Southern Rock e di tutti gli stereotipi che gli girano attorno, è Wes Freed che da diversi anni illustra i dischi dei Drive-By Truckers ed è inventore del marchio Willard’s Garage, universo nero che ricorda i film di Tim Burton e i romanzi di Joe Lansdale. Altro californiano è Tim Biskup, matrice punk e buona conoscenza dell’avanguardia storica che distorce mescolando Picasso e il Pop, l’Afro e Paul Klee.
A testimonianza che il fenomeno Low Brow comincia a essere globale e non solo americano, da segnalare Gary Taxali, nato in India e operante a Toronto, che recupera il modernismo “minore” delle riviste pulp, dipinge senza dimenticare di essere un illustratore apprezzato e che il suo primo mestiere è l’insegnamento del design. «Impagina» i quadri come fossero copertine di riviste o manifesti, ironizzando sulla seriosità di certi autori pop diventati strafamosi, come Lichtenstein. Nel suo shop on line a disposizione anche accessori, giocattoli e skateboard a buoni prezzi. Canadese puro sangue è Ryan Heshka, che reinventa lo stile delle vecchie copertine Urania e dei romanzi di fantascienza popolati di straordinari mostri e vampiri dell’età atomica. Un vintage intrigante e in fondo nostalgico.
Si può dunque parlare a proposito di questa tendenza come dell’ultima vera avanguardia pittorica? Sì, se diamo retta all’istinto, molto meno se ci sottomettiamo delle regole del sistema, a meno che dal «culturale» si passi, finalmente, al «cultuale».
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