A Cagliari, Silvia Mei e Roberta Vanali per AD MIRABILI... da non perdere!
AD MIRABILIA
personale di Silvia Mei
personale di Silvia Mei
a cura di Roberta Vanali
Exmà, Sala della Torretta
Via San Lucifero 71, 09125 Cagliari
dal 13 al 28 ottobre 2012
Exmà, Sala della Torretta
Via San Lucifero 71, 09125 Cagliari
dal 13 al 28 ottobre 2012
"Il culto del bello può funzionare come una sorta di amuleto per
scongiurare lo spettro del reale, per difendere l’uomo dall’incontro con
il non senso del reale, con il suo volto più terrificante."
(Massimo Recalcati, Il miracolo della forma. Per un’estetica psicoanalitica)
"Non è esattamente l’arte che si ignora, che non conosce il proprio
nome, prodotta dell’ebrezza creativa senza alcuna definizione", come
Dubuffet definisce l’Art Brut. Quella di Silvia Mei è un’arte spontanea
scevra di facili compiacimenti estetici, dalla lucida e cupa spietatezza
frutto della pulsione emotiva immediata ma consapevole. Se da un lato
l’innocenza infantile è esibita quasi perversamente dall’altro emerge un
substrato primitivo dominato dall’istintività che interrompe
bruscamente il contatto con la realtà per dare vita a creature
spiazzanti, ibridi animali che provengono dai meandri dell’inconscio,
dal momento che soltanto attraverso l’estrema qualità catartica,
liberatoria, non censurata dalla coscienza, si è resa possibile la
creazione di moltissime opere d’arte nelle quali, anche a una modesta
analisi, è possibile scoprire vasti panorami di elementi rimossi o
inibiti.1 Il decadimento fisico, l’animalità repressa che richiama una
natura primigenia e la controversa condizione femminile sono i punti di
forza della sua disamina per esorcizzare timori e incubi repressi e
rievocare ricordi d’infanzia attraverso l’ambiguità di un mondo
psicotico, dove destrutturazione formale, trasfigurazioni ibride e
torsioni innaturali lasciano spazio a diversi livelli di
interpretazione. "Fanciulli e pazzi, scarabocchiando e dipingendo,
scolpendo raccontano le paure, gli incubi, i traumi del loro
egocentrico, chiuso, mondo nascosto. Gli artisti veri, infantili o folli
che siano, con le loro visioni entrano nella storia e ci aprono il
mondo."2
Dalle brutture della mitologia greca alla vituperatio nei confronti della donna, dal perturbante di Freud all’antigrazioso dei futuristi il concetto di bruttezza, come quello di bellezza, attraversa tutte le epoche e le diverse culture con risvolti imprevedibili, poichè il brutto e il bello sono aspetti correlati e indivisibili ma assolutamente relativi: "il bello è brutto e il brutto è bello" urlano le streghe di Macbeth. Per Silvia Mei il sovvertimento della realtà è incarnato dalla brutalità della resa formale sprovvista di freni inibitori e dai titoli che richiamano il nonsense. Il suo è un mondo selvatico che prende forma man mano che cresce inglobando l’essenza tragica della natura umana. Per Remo Bodei "il brutto non si sceglie. L’arte esprime così il grido di orrore che sale dalla realtà mortalmente ferita, rivelando sia lo strazio della vita, sia la negazione di essa"3. Da Fautier a Baselitz, da Matisse a Martin Maloney fino al graffitismo rupestre, questi i riferimenti a cui l’artista attinge e reinventa con assoluta libertà estetica per costruire volti privi del corpo che rappresentano le diverse realtà di appartenenza e i molteplici aspetti di un singolo carattere. Per raccontare di rapporti familiari conflittuali come i matrimoni indesiderati, di uomini violenti portati all’altare e di figli non voluti che rimangono eternamente minuscoli e aggrappati alla madre. Il tutto attraverso colori sgargianti di una pittura dalla pennellata volutamente incerta che si alterna ad una resa più pastosa e ispessita che sembra sciogliersi al calore del sole.
Creature antropomorfe di un’umanità alla deriva, oramai alienata, si muovono su fondi silvestri o del tutto neutri a rimarcare il non luogo, restituendo un’espressività ambivalente nel tentativo inatteso di motivi decorativi che ritroviamo nel velo delle spose-vittime e nei copricapi dei personaggi. Figure enigmatiche dai tratti elementari e al contempo grotteschi che intrise dal peccato cercano di rimediare ai propri errori, magari ripetendoli. "Siamo qui testimoni di un’operazione artistica completamente pura, grezza e rozza e interamente reinventata in tutte le sue fasi solo per mezzo dell’impulso degli artisti. Si tratta dunque di un’arte che manifesta un’inventiva ineguagliata"4.
Roberta Vanali
1 Gillo Dorfles, Elogio della disarmonia. Arte e vita tra logico e mito, Skira, Milano 2009, pp 40/41.
2 Francesco Bonami, Dopotutto non è brutto. Artisti, grattacieli ed ecomostri: viaggio in un Italia più bella del previsto, Oscar Mondadori, Milano 2009, p. 69.
3 cit. in Angela Vattese, Ma questo è un quadro? Il valore dell’arte contemporanea, Carocci, Roma 2008, p. 98.
4 Dubuffet, Dell’Outsider cit. in Nigel Warburton, La questione dell’arte, Einaudi, Torino 2004, p. 90.
Dalle brutture della mitologia greca alla vituperatio nei confronti della donna, dal perturbante di Freud all’antigrazioso dei futuristi il concetto di bruttezza, come quello di bellezza, attraversa tutte le epoche e le diverse culture con risvolti imprevedibili, poichè il brutto e il bello sono aspetti correlati e indivisibili ma assolutamente relativi: "il bello è brutto e il brutto è bello" urlano le streghe di Macbeth. Per Silvia Mei il sovvertimento della realtà è incarnato dalla brutalità della resa formale sprovvista di freni inibitori e dai titoli che richiamano il nonsense. Il suo è un mondo selvatico che prende forma man mano che cresce inglobando l’essenza tragica della natura umana. Per Remo Bodei "il brutto non si sceglie. L’arte esprime così il grido di orrore che sale dalla realtà mortalmente ferita, rivelando sia lo strazio della vita, sia la negazione di essa"3. Da Fautier a Baselitz, da Matisse a Martin Maloney fino al graffitismo rupestre, questi i riferimenti a cui l’artista attinge e reinventa con assoluta libertà estetica per costruire volti privi del corpo che rappresentano le diverse realtà di appartenenza e i molteplici aspetti di un singolo carattere. Per raccontare di rapporti familiari conflittuali come i matrimoni indesiderati, di uomini violenti portati all’altare e di figli non voluti che rimangono eternamente minuscoli e aggrappati alla madre. Il tutto attraverso colori sgargianti di una pittura dalla pennellata volutamente incerta che si alterna ad una resa più pastosa e ispessita che sembra sciogliersi al calore del sole.
Creature antropomorfe di un’umanità alla deriva, oramai alienata, si muovono su fondi silvestri o del tutto neutri a rimarcare il non luogo, restituendo un’espressività ambivalente nel tentativo inatteso di motivi decorativi che ritroviamo nel velo delle spose-vittime e nei copricapi dei personaggi. Figure enigmatiche dai tratti elementari e al contempo grotteschi che intrise dal peccato cercano di rimediare ai propri errori, magari ripetendoli. "Siamo qui testimoni di un’operazione artistica completamente pura, grezza e rozza e interamente reinventata in tutte le sue fasi solo per mezzo dell’impulso degli artisti. Si tratta dunque di un’arte che manifesta un’inventiva ineguagliata"4.
Roberta Vanali
1 Gillo Dorfles, Elogio della disarmonia. Arte e vita tra logico e mito, Skira, Milano 2009, pp 40/41.
2 Francesco Bonami, Dopotutto non è brutto. Artisti, grattacieli ed ecomostri: viaggio in un Italia più bella del previsto, Oscar Mondadori, Milano 2009, p. 69.
3 cit. in Angela Vattese, Ma questo è un quadro? Il valore dell’arte contemporanea, Carocci, Roma 2008, p. 98.
4 Dubuffet, Dell’Outsider cit. in Nigel Warburton, La questione dell’arte, Einaudi, Torino 2004, p. 90.
Nessun commento:
Posta un commento