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lunedì 17 marzo 2014

Piero Manzoni 1933-1963 a cura di Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo Milano, Palazzo Reale

Vi avevo dato un'anteprima nel post "Manzoni a Palazzo Reale... ma non Alessandro, il grande Piero!" (http://lastanzaprivatadellarte.blogspot.it/2014/02/manzoni-palazzo-reale-ma-non-alessandro.html). Ora l'ufficialità dell'evento!



Piero Manzoni 1933-1963
a cura di Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo
26 marzo – 2 giugno 2014
Palazzo Reale | Milano


Dal 26 marzo al 2 giugno 2014 Palazzo Reale ospita una grande mostra dedicata a Piero Manzoni, uno degli artisti più geniali, innovatori e controversi del XX secolo,

nato a Soncino nel cremonese e morto a Milano nemmeno trentenne, nel 1963.

Promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale e SKIRA editore, la mostra è curata da Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo,

in collaborazione con la Fondazione Piero Manzoni ed è realizzata nell’ambito del progetto “Primavera di Milano”.

Milano è stata la sua città, dove ha operato da protagonista della stagione di maggior fervore del secondo dopoguerra, ponendosi a fianco di un maestro come Lucio Fontana e agendo da referente primario della neoavanguardia europea, tra la Francia di Yves Klein e la Germania del gruppo Zero, l’Olanda del gruppo Nul e la dimensione cosmopolita di Nouvelle Tendance.

Mezzo secolo è trascorso dalla sua scomparsa precoce, e il riconoscimento internazionale di Manzoni è un fatto compiuto.
Per questo Milano ha deciso di dedicargli un mostra, la più importante mai realizzata in città dalla sua morte, che ne documenti il percorso in tutta la sua ampiezza e ricchezza problematica attraverso la presentazione di circa 120 opere che rendono conto della sua intera parabola artistica.
Genialmente radicale, Manzoni viene raccontato dagli esordi in area postinformale alla concezione degli Achromes, dalle Linee alle Impronte, dal Fiato alla Merda d’artista, dal coinvolgimento del corpo fisico vivente nell’opera alla dimensione totalizzante dell’esperienza estetica di progetti come il Placentarium.

“Questa mostra è uno dei capisaldi della ‘Primavera di Milano’, il palinsesto di eventi culturali che abbiamo voluto dedicare a tutti gli artisti che hanno fatto grande la nostra città e la sua storia, con mostre, concerti, spettacoli e approfondimenti, che si snodano in giro per Milano lungo la primavera del 2014” – ha dichiarato l’Assessore alla Cultura Filippo Del Corno.


Oltre al catalogo della mostra, con testi di Flaminio Gualdoni, Giorgio Zanchetti, Francesca Pola, Gaspare Luigi Marcone,

SKIRA pubblica nella collana SMS SkiraMiniSaggi “Breve storia della merda d’artista” di Flaminio Gualdoni. (in allegato scheda e cover)


INFORMAZIONI:

Infoline: 02.92800375 (dal lunedì al sabato dalle 8.00 alle 18.30)

www.mostramanzonimilano.it


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COMUNICATO STAMPA

Piero Manzoni 1933-1963

a cura di Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo

Milano, Palazzo Reale
dal 26 marzo al 2 giugno 2014

Dal 26 marzo al 2 giugno 2014 Palazzo Reale ospita una grande mostra dedicata a Piero Manzoni, uno degli artisti più geniali, innovatori e controversi del XX secolo, nato a Soncino nel cremonese e morto a Milano nemmeno trentenne, nel 1963.

Promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale e Skira editore, la mostra è curata da Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo in collaborazione con la Fondazione Piero Manzoni ed è realizzata nell’ambito del progetto “Primavera di Milano”.
Questa mostra è uno dei capisaldi della ‘Primavera di Milano’, il palinsesto di eventi culturali che abbiamo voluto dedicare a tutti gli artisti che hanno fatto grande la nostra città e la sua storia, con mostre, concerti, spettacoli e approfondimenti, che si snodano in giro per Milano lungo la primavera del 2014” – ha dichiarato l’Assessore alla Cultura Filippo Del Corno.

Milano è stata la sua città, dove ha operato da protagonista della stagione di maggior fervore del secondo dopoguerra, ponendosi a fianco di un maestro come Lucio Fontana e agendo da referente primario della neoavanguardia europea, tra la Francia di Yves Klein e la Germania del gruppo Zero, l’Olanda del gruppo Nul e la dimensione cosmopolita di Nouvelle Tendance.
Mezzo secolo è trascorso dalla sua scomparsa precoce, e il riconoscimento internazionale di Manzoni è un fatto compiuto. Per questo Milano ha deciso di dedicargli una mostra, la più importante mai realizzata in città dalla sua morte, che ne documenti il percorso in tutta la sua ampiezza e ricchezza problematica attraverso la presentazione di oltre 130 opere che rendono conto della sua intera parabola artistica.

Genialmente radicale, Manzoni viene raccontato dagli esordi in area postinformale alla concezione degli Achromes, dalle Linee alle Impronte, dal Fiato alla Merda d’artista, dal coinvolgimento del corpo fisico vivente nell’opera alla dimensione totalizzante dell’esperienza estetica di progetti come il Placentarium.

Un apparato di materiali documentari originali: manifesti, fotografie, cataloghi, lettere integra il percorso espositivo, restituendo il clima fervido a cavallo tra anni '50 e '60, quando la città è già una delle autentiche capitali culturali europee. E viene proposto un filmato con documenti inediti che costituiscono rarissima testimonianza d’immagini registrate dell’artista in alcune tra le sue più note azioni creative, come le uova segnate dalla sua impronta digitale destinate alla Consumazione dell’arte o le persone firmate come Sculture viventi.

Il catalogo edito da Skira raccoglie i testi di Flaminio Gualdoni, Giorgio Zanchetti, Francesca Pola, Gaspare Luigi Marcone. In occasione della mostra, nella collana SMS Skira Mini Saggi, viene pubblicata anche Breve storia della merda d'artista, di Flaminio Gualdoni.

Ed è con l'aiuto di Gualdoni che percorriamo la breve ma intensa stagione artistica di Manzoni e la sua straordinaria produzione, di cui la mostra di Palazzo Reale presenta una significativa panoramica.

Manzoni presenta le sue prime creazioni a Cremona nel 1956 e subito viene definito "surrealista" dal giornale locale, non ha avuto una vera e propria formazione pittorica, ma ha letto molto e riflettuto moltissimo ed ha chiaro sin dall'inizio che la cosa che gli importa maggiormente è essere artista.
Artista alla Dubuffet dove l'operazione artistica è intesa come pulsione pura e spontanea, reinventata in tutte le sue fasi dall'autore. Manzoni parte così dalla stessa superficie del quadro che viene manomessa e contaminata: "egli punta a una aformalità fatta di gorghi impuri di materia bituminosa - dice Gualdoni - che saturano lo spazio disponendosi per comportamenti non orientati intorno a un asse che incardina lo spazio orizzontalmente". E Manzoni stesso dichiara nel 1957: "... consideriamo il quadro come nostra area di libertà in cui andiamo alla scoperta delle nostre immagini prime. Immagini quanto più possibile assolute, che non potranno valere per ciò che ricordano, spiegano, esprimono, ma solo in quanto sono: essere". "L'opera dunque - chiosa Gualdoni - non è figlia di un modo, d'uno stile. Non dice, semplicemente è, e nel suo essere si fa garante della propria stessa necessità".
Sul concetto di opera come presenza concreta Manzoni si confronta con vari altri artisti: Yves Klein con i suoi monocromi assoluti e immateriali, Lucio Fontana con i suoi fori sulla superficie e frammenti di vetro applicati alla tela, Alberto Burri con i suoi sacchi di juta, Conrad Marca-Relli con i suoi collage-paintings, Mimmo Rotella con i suoi manifesti murali strappati, Antoni Tàpies, punta di diamante di questa tendenza. Con Gastone Novelli Manzoni condivide la tensione verso "l'origine delle cose" e mette sempre più a fuoco - afferma Gualdoni - una " cruda e snudata materiologia del quadro, la configurazione di una presenza che si oggettiva come cosa tra le cose".
Da quadri scuri fortemente materici con impasti di olio, catrame, smalto e oggetti come sassi e chiavi concepiti senza titolo, Manzoni evolve poi verso quadri bianchi con rilievi plastici e ombre, con stesure grumose di gesso spatolato che poi definirà Achrome, di cui sono in mostra alcuni esempi fondamentali. "Il gesto - dice Gualdoni - è dunque l'essenza dell'operare". E ancora: "Segno oggettivo è la grinza, segno oggettivo è la griglia geometrica che compartisce in riquadri la superficie". Ma "per Manzoni la geometria è una sorta di grado sorgivo dell'essere, una minimalizzazione del fare che lo concentra sul proprio stesso darsi, senza implicazioni, senza premeditazioni, senza intenzioni". Un quadro dunque che si fa oggetto, desolata presenza, vuoto. Come scriveva nel 1970 Vincenzo Agnetti, storico compagno di Manzoni: "questi quadri bianchi, così semplici, così vicini al niente: queste tavole di bellezza ricordante, di tentativo autoconvincente nell'assenza per una possibilità x".

Mentre produce la serie degli Achrome, Manzoni esplora la pratica di segni di codice fortemente connotati. Sono lettere alfabetiche maiuscolo, tracciate con dime metalliche sulla superficie in sequenze ripetitive regolari, foglietti di calendario in ordine di successione, impronte digitali singole o in serie, fogli piegati a replicare le grinze delle tele, anche astrazioni cartografiche. "Segni insieme perfettamente concreti e ad altissimo tasso d'astrazione - afferma Gualdoni - dotati d'una identità pregnantissima e insieme rastremati a icona mentale definitiva. Parola, corpo, luogo. Pensiero". Nel 1962 nasce l'edizione 8 tavole di accertamento, repertorio dei segni essenziali. Molti di questi esperimenti vedono coinvolta la carta bianca che ben si presta al grado di astrazione concettuale che Manzoni mette in gioco. "Manzoni - dice Gualdoni - riflette sulla possibilità di sottrarsi dalla logica materica quantitativamente greve che le superfici acrome suggeriscono, puntando al pensiero della cosa più che alla percezione della cosa".

A volte Manzoni prende spunto da opere esistenti, per stravolgerle e trasformarle. Dal Rotolo di pittura industriale di Pinot Gallizio del 1958, basato sul principio dello svolgimento rotativo di un supporto per la realizzazione in continuo di tele che sia possibile vendere a metri, Manzoni prende la concezione - perfettamente congruente ai suoi ragionamenti dell'epoca sulla sostanza della carta, sul segno, lo spazio, il tempo - di un segno continuo d'inchiostro tracciato su un rotolo di carta che si svolge progressivamente, parcellizzabile in segmenti di qualsiasi lunghezza. Nasce così la Linea, definita da Gualdoni "estremo concettuale straordinario, affidato a un'economia esecutiva ridotta all'essenziale". La striscia di carta tracciata è avvolta e conservata in un cilindro di cartone sigillato, di cui un'etichetta dichiara il contenuto. "Non serve neppure - sostiene Gualdoni - che lo spettatore ne constati l'effettività: l'enunciato dell'autore fa da garanzia a un puro scambio di pensiero con il fruitore. Il doppio momento dell'effettività e della pura sensibilità è uno dei raggiungimenti più distillati di Manzoni". Alle Linee l'artista dedica la sua mostra personale nel dicembre 1959, la prima della galleria Azimut, lo spazio di tendenza fondato a Milano con Enrico Castellani. Sono dodici opere, con lunghezze che vanno da un massimo di 33,63 metri ad un minimo di 4,89: solo quest'ultima è esposta dispiegata e visibile. Di lì a poco Manzoni ne declina la versione massima, la Linea lunga 7200 m. Ospite a Herning in Danimarca dell'industriale mecenate Aage Damgaard, lavora nella sede del quotidiano Herning Avis, dove ha a disposizione un vero rullo continuo di carta da stampa. Gualdoni ne spiega così il procedimento: "facendolo scorrere tra due cavalletti metallici con assi rotanti approntati appositamente e azionati da manovelle manuali, l’artista traccia una linea ininterrotta grazie a un contenitore d’inchiostro culminante in un tampone: vista la dimensione del rullo, l’impresa assume un valore, oltre che epico, davvero in umore d’infinito. Conclusa l’operazione, il cospicuo rotolo viene contrassegnato da titolo, luogo, data, firma e da un’impronta digitale, poi collocato in un cilindro di zinco ricoperto da fogli di piombo recante la dichiarazione ormai usuale del contenuto in lettere lapidarie a rilievo. È evidente che tale contenitore intende assumere un aspetto paradossalmente monumentale, suggerire un senso di incorruttibilità e durata che amplifica la misura temporale implicita nell’idea stessa di linea. Inoltre Manzoni immagina, e ne scrive, di realizzare una serie di linee di lunghezza notevole da conservare sotto vuoto in contenitori d’acciaio inossidabile e da collocare in diversi punti del mondo, la cui somma equivalga a quella della circonferenza terrestre". "Il punto cruciale è, ora - conclude Gualdoni - un’idea di acromia non più solo concepita come oggettività plastica, ma a tutti gli effetti come demateriazione e nitore intellettuale, come pensiero che si conosce al limite minimo della fisicizzazione". A Palazzo Reale le Linee sono rappresentate da sette esemplari, tra cui appunto il cilindro con la Linea più lunga.

Nella mostra da Azimut del gennaio 1960 Manzoni presenta nuovi Achrome, decisamente trasformati rispetto alle prime versioni. Manzoni stesso dichiara: "La questione per me è dare una superficie integralmente bianca al di fuori di ogni fenomeno pittorico, di ogni intervento estraneo al valore di superficie; un bianco che non è un paesaggio polare, una materia evocatrice o una bella materia, una sensazione o un simbolo od altro ancora; una superficie bianca che è una superficie bianca e basta anzi, meglio ancora, che è e basta: essere". Manzoni assume la tela non più come supporto, ma come superficie in se stessa: i segni che la percorrono secondo la sua geometria minimale sono realizzati da una macchina per cucire. Man mano l'artista adotterà materiali come cotone idrofilo, panno, polistirolo espanso, sassolini, paglia, carta compressa, fibra sintetica per realizzare opere di grande valenza concettuale, dense della sua presenza. In mostra è allestita una grande sequenza di Achrome, alcuni decisamente spettacolari.

Nel maggio del 1960 la nuova mostra da Azimut è dedicata invece alle "sculture pneumatiche", definite poi Corpi d'aria. Un palloncino gonfiabile sino a un diametro di ottanta centimetri, un treppiede di quaranta centimetri per poggiarlo come su un piedistallo, un tubicino per gonfiarlo e una chiusura: il tutto è confezionato in una custodia di legno contenente anche le istruzioni per l’uso. L’artista determina il congegno e gli strumenti, disinteressandosi dell’esecuzione, che prevede la partecipazione attiva del fruitore stesso o di chiunque altro, indifferentemente. L’esito finale è un’opera dall’aspetto di essenziale scultura fatta d’aria, senza peso: corpo, ma evocante l’idea più corrente d’immaterialità. Manzoni sperimenta anche la possibilità di tenere in sospensione palloni gonfi d’aria grazie a una spinta verticale pneumatica, combinando immaterialità e assenza suggestiva di gravità. Come le Linee, anche i Corpi d’aria si presentano con l’aspetto di un prodotto seriale realizzato in numerosi esemplari. La confezione ricorda per certi versi la Boîte en valise duchampiana e annuncia una pratica che si diffonderà largamente negli anni ’60, gli Yearbox Fluxus in testa.
Come nelle Linee, allo spettatore è richiesto un atto di pura condivisione intellettuale, in assenza dell’esperienza fisica dell’opera. "Ancora una volta - afferma Gualdoni - Manzoni pone il pubblico nella condizione di dover accogliere l’autorità dell’artista sul piano di un nudo rapporto fiduciario: è un’opera d’arte perché è eseguita da un artista, e occorre aver piena confidenza nel suo enunciato. Anche in questo caso è decisivo il rapporto tra la fisicità della cosa e il suo prezzo in quanto opera d’arte: attribuire un valore mercantile secondo parametri artistici a qualcosa che non si può verificare (la Linea) o che è evidentemente una compaginazione di oggetti elementari senza pregio intrinseco e senza alcuna manipolazione (i Corpi d’aria) rende esplicito che l’oggetto della compravendita è l’adesione dell’acquirente all’identità, all’esistenza, al pensiero dell’autore. È “comprare Manzoni”, non “comprare un Manzoni”.
Manzoni introduce in questo caso una variante molto interessante. Nel caso l’acquirente voglia farsi gonfiare il palloncino dall’artista stesso, l’incremento di sostanza artistica dovuto al fiato autoriale sarà compensato a parte. Questa variante, che imprime una netta accelerazione all’identificazione dell’elemento artistico con il corpo stesso dell’artista, genera la serie Fiato d’artista. In questo caso un palloncino gonfiato e chiuso con appositi sigilli poggia su una base in legno su cui è applicata una targhetta in ottone, riproduzione fedele di una didascalia da museo, recante il nome dell’autore e il titolo dell’opera. "Il pubblico - afferma Gualdoni - è posto comunque nella condizione di decidere se sia disposto ad attribuire una qualità artistica agli atti ordinari dell’esistenza di un individuo, sulla base delle concezioni che essi mettono in gioco".

Le Uova, che nascono contemporaneamente, presentate nella personale da Køpcke a Copenhagen nel giugno 1960, sono uova sode che l’artista trasforma in opere contrassegnandole con la propria impronta digitale: un archetipo corporeo marcato dal segno più convenzionalmente identitario. Il fruitore le può ingerire, entrando fisicamente in comunione con l’identità e l’esistenza fisica dell’artista. Le “uova consacrate dalla mia impronta” vengono presentate nel luglio dello stesso anno in Consumazione dell’arte, dinamica del pubblico, divorare l’arte, ultima delle mostre della galleria Azimut. Il pubblico è invitato a consumare centocinquanta uova predisposte da Manzoni in un vero e proprio happening dalle apparenze alla prima giocose ma, a ben vedere, di ben diverso spessore. Il meccanismo concettuale e simbolico prevede, nel caso dell’ingestione dell’uovo, divenuto un corpo equivalente a quello di Manzoni, che gli spettatori presenti assumano nel proprio corpo stesso una quantità fisica di artistico, partecipando compiutamente dell’esperienza dell’autore e della sacralità che gli viene riconosciuta. Qualora invece l’uovo non venga ingerito ma conservato nella sua variante di oggetto sculturale, ci ritroviamo in un classico caso di feticismo o, più esattamente, di qualcosa che ha molto a che fare con una evocazione dell’antico culto delle reliquie. "In effetti - chiosa Gualdoni - la sacralizzazione dell’artista, della sua identità e financo del suo corpo è uno degli aspetti dell’artistico che fanno più riflettere Manzoni, in questo tempo. Il corpo dell’artista è assumibile per molti versi come un corpo sacro, e la sua opera la reliquia per eccellenza cui è dato accedere, che è massimamente desiderabile possedere".

Nel testo Progetti immediati Manzoni annuncia altre sperimentazioni possibili, molte delle quali destinate a rimanere inesplorate soprattutto per limiti tecnici ed economici. Racconta lui stesso che tra esse figura “un gruppo di corpi d’aria del diametro di circa m 2,50, da sistemarsi in un parco: mediante un piccolo dispositivo pulseranno con un lentissimo ritmo di respirazione, non sincronizzato. Nello stesso parco collocherò anche un piccolo boschetto di cilindri pneumatici allungati come steli che vibreranno sotto la spinta del vento. Ho anche in progetto, sempre per lo stesso parco, una scultura a movimenti autonomi. Questo animale meccanico trarrà il suo nutrimento dalla natura: di notte si fermerà e si rattrappirà su se stesso: di giorno compirà lenti spostamenti, emetterà suoni, proietterà antenne per cercare energia ed evitare ostacoli. Sto sviluppando inoltre una nuova serie di corpi di luce assoluti molto piccoli, tenuti in azione da un motore ridottissimo, indipendente, che non richiederà speciali installazioni”. Nasce in questo contesto anche la concezione del Placentarium, un teatro pneumatico immaginato per i Lichtballette, i “balletti di luce” di Piene, manifestazioni di puri eventi luminosi che comportano una condizione di immersione visiva da parte dello spettatore. Nell’involucro di diciotto metri di diametro retto da aria compressa possono trovare posto 73 spettatori ognuno dei quali non vede gli altri, è letteralmente circondato dallo schermo di proiezione e può vivere anche sensazioni acustiche e tattili. Qui entrano in gioco la coscienza della corporeità dello spettatore e quello del proprio stesso esistere.

Un ulteriore grado di delucidazione del corporeo e della non unidirezionalità del rapporto tra artista e pubblico si ha con la concezione delle Opere vive o Sculture viventi. La prima declinazione prevede che Manzoni apponga la propria firma al piedistallo su cui due modelle posano panneggiate come statue antiche, o che apponga firma e data direttamente sul loro corpo. "La tradizione fondatrice del nudo occidentale - afferma Gualdoni - quella per cui la statua è una finzione talmente perfetta da sostituirsi al vero, si ribalta qui nell’assunzione dell’essere vivente stesso nel cerchio dell’arte e della sua atmosfera magica, in virtù della firma di sacrazione dell’artista. Nell’evolversi delle riflessioni di Manzoni il piedistallo su cui mette in posa le modelle diventa la Base magica, ovvero una struttura in legno a tronco di piramide che simula il classico piedistallo da statua, con tanto di targhetta in ottone recante la didascalia “Piero Manzoni, Scultura vivente”, di cui un esemplare viene esposto a Palazzo Reale. Due sagome indicano la posizione in cui chi salga sulla base deve poggiare i piedi: fintantoché sarà sulla Base magica, la persona sarà a tutti gli effetti una Scultura vivente.

Manzoni interviene anche sulla regola che prevede che l’autenticità di un’opera debba essere certificata. Per questa ragione fa stampare dei blocchetti di Carte d’autenticità in tutto e per tutto simili a quelli ordinari, che consentono all’artista di dichiarare che la persona in questione è “a partire dalla data sottoindicata un’opera d’arte autentica e vera”. Lo spiega lui stesso: “Nel 1959 avevo pensato di esporre delle persone vive: nel ’61 ho cominciato a firmare, per esporle, delle persone. A queste mie opere do una carta d’autenticità. Sempre nel gennaio del ’61 ho costruito la prima “base magica”: qualunque persona, qualsiasi oggetto vi fosse sopra era, finché vi restava, un’opera d’arte...". E continua facendo riferimento all'opera che lo ha reso celeberrimo: "Nel mese di maggio del ’61 ho prodotto e inscatolato 90 scatole di “merda d’artista” (gr. 30 ciascuna) conservata al naturale (made in Italy). In un progetto precedente intendevo produrre fiale di “sangue d’artista”.
Si tratta di una scatoletta per conserve del diametro di sei centimetri, sigillata, su cui è apposta un’etichetta a stampa, con la scritta in stampatello maiuscolo “Piero Manzoni" e sovraimpressa in italiano, inglese, francese e tedesco la dicitura “Merda d’artista. Contenuto netto gr 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961”. Sul coperchio la scritta “Produced by” precede la firma autografa, che è seguita dalla numerazione progressiva delle singole scatolette. L’etichetta della parte inferiore reca stampato “Made in Italy”. "Chiara è l’ironia - scrive Gualdoni - nel mimare il tipico linguaggio delle conserve alimentari, ed esplicita la volontà di attribuire all’oggetto l’aspetto di un prodotto merceologico a pieno titolo. Che si tratti di porre in vendita degli escrementi è semplicemente l’estremizzazione di un pensiero già ampiamente esplicitato da Manzoni intorno alla concretezza materiale del corpo e alla artisticità implicita in ogni atto dell’autore, dunque nelle sue reliquie".
Il picco di massima controversia critica l’operazione lo raggiunge sul piano della questione del valore. Manzoni fissa il prezzo di Merda d’artista basandosi su un’arbitraria parità merda/oro, all’incirca 700 lire d’allora al grammo, indicandolo in trenta grammi d’oro.
"Lo scacco messo in atto da Manzoni - dichiara Gualdoni - consiste nel combinare prezzo dell’oro, merda e artisticità in un unico cortocircuito tanto pratico quanto mentale: è il “cupio dissolvi” dell’idea stessa di valore, in cui entrano in gioco elementi come la suggestione di reliquia, per paradosso negativo, del contenuto, e il pagamento di una merce/non merce di cui non si può accertare la natura ma solo accettarne in linea di principio la proclamata artisticità, secondo una parità aurea fattasi anch’essa ormai problematica".

L’autunno 1961 vede Manzoni nuovamente a Herning, per un’altra stagione di lavoro foriera di intuizioni fervide. Nell’imminenza della grande mostra Nul allo Stedelijk Museum di Amsterdam, annuncia da Herning all’amico Henk Peeters: “Ho abbandonato i quadri in cotone per realizzare dei quadri con del pelo lungo. Impiego fibre diverse e anche delle fibre di nylon, che sono vendute già imbevute d’olio antistatico. Avrei grandi progetti, se potessi fare una mostra in più sale (e con molti soldi): una sala tutta in pelo bianco, una in bianco fluorescente. Ma ahimè!” Nascono a Herning una sfera in pelle di coniglio bianca sovrastante un parallelepipedo di legno bruciato, un achrome in forma di quadro in paglia sbiancata, un parallelepiedo di paglia sbiancata con una materia che reagisce alla luce posto su una base di legno bruciato, una finestra fosforescente, una nuova Base magica. Molte di queste ultime opere sono esposte a Palazzo Reale.
Nel giardino della fabbrica danese Manzoni fa inoltre collocare un parallelepipedo in ferro sul quale compare la scritta in lettere lapidarie Socle du monde, base del mondo, quintessenza d’ogni Base magica. Nell’esperienza fisica la scritta si legge capovolta, perché in quella mentale è la base a sorreggere la sfera terrestre e non viceversa. "È un omaggio dichiarato a Galileo - dice Gualdoni - colui che ha insegnato all’uomo a vedere in modo nuovo. Anche questo è un modo di pensare la realtà tutto nuovo che Manzoni fissa con un gesto secco di bruciante genialità".
Nel marzo 1962 si inaugura ad Amsterdam la mostra Nul, prima grande celebrazione pubblica del clima di ricerca del quale Manzoni è caposcuola riconosciuto. Dalle lettere a Peeters sappiamo che Manzoni intende presentare una serie di achrome, tra i quali almeno uno fosforescente e uno con cobalto cloruro, datanti a ogni anno a partire dal 1957, e inoltre le uova con impronta digitale, serie di impronte digitali, linee di varia lunghezza compresa la versione da 1140 metri nata nel frattempo. Propone inoltre una sessione in cui firmare donne nude come Sculture viventi. Immagina anche possibilità ulteriori. Vorrebbe realizzare una parete tutta fosforescente, una linea lunga da sette a dieci chilometri, una stanza riempita sino al soffitto di Corpi d’aria oppure satura del suo respiro e sigillata come fosse un unico monumentale Fiato d’artista, una stanzetta tutta dipinta di bianchi luminosi, che sia come “una scatola di luce per gli spettatori”. Riesce a realizzare solo due progetti. Il primo è un vasto pannello con ciuffi di fibra sintetica di un metro e trentacinque centimetri per tre e trenta. Il secondo è una linea di grande lunghezza realizzata su un rullo di carta continua da stampa messo a diposizione dal quotidiano locale Het Vrije Volk, entrambe le opere saranno poi distrutte. Altri achrome nascono nel frattempo. Manzoni si concentra sulle sequenze seriali di batuffoli di cotone idrofilo o di panini, sulle possibilità dimensionali dei ciuffi di fibra sintetica, sul valore di superficie dei ciottoli e dei pallini di polistirolo espanso.
Nascono anche pacchi avvolti nella carta e sigillati con corda, piombo e ceralacca come se fossero invii postali, presentati a coppie, anch'essi esposti in mostra: quasi prosecuzioni, dal punto di vista del congegno intellettuale, della sottrazione dell’opera avviata con le Linee e proseguita con Merda d’artista. 

Si colloca in questo periodo anche l’incontro con Jes Petersen, editore d’avanguardia con il quale inizia a progettare una monografia sul suo lavoro. Egli la concepisce come un libro di cento pagine in plastica traslucida, senz’altro testo che il titolo, incarnazione perfetta del suo vivere l’acromia.
Piero Manzoni. Life and Works uscirà effettivamente nel 1963, a ridosso della morte dell’artista.

il 6 febbraio del 1963, infatti, nel culmine della sua attività e consacrazione artistica, Manzoni viene trovato morto nel suo studio di Via Fiori Chiari a Milano.

La sua città gli rende omaggio con una mostra di grande valore scientifico e forte impatto visivo, dove sono esposti gli esemplari più importanti di tutte le sue invenzioni, attraverso le quali ha scardinato il modo di operare artistico nella seconda metà del Novecento e imposto la sua personalissima visione del mondo.




INFORMAZIONI Piero Manzoni 1933-1963
a cura di Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo Palazzo Reale
Piazza Duomo 12 | Milano
26 marzo - 2 giugno 2014
Orari:
lunedì 14.30-19.30 da martedì a domenica 9.30-19.30 giovedì e sabato 9.30-22.30 Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura
Ingresso a pagamento

www.mostramanzonimilano.it

Ufficio Stampa Skira editore
Lucia Crespi tel. 0289415532 - 0289401645 lucia@luciacrespi.it

Ufficio Stampa Comune di Milano
Elena Conenna tel. 0288453314 elenamaria.conenna@comune.milano.it


NOTA BIOGRAFICA 
 
di Gaspare Luigi Marcone
In questa nota biografica essenziale, edita di recente in Piero Manzoni. Scritti sull’arte, a cura di G.L. Marcone, Abscondita, Milano 2013, pp. 131-140, sono citate solo le principali esperienze, mostre e pubblicazioni relative al percorso di Piero Manzoni e al suo contesto storico-artistico. Per ulteriori approfondimenti si vedano i testi e la bibliografia pubblicati in questo volume. Per le date delle mostre manzoniane, quando poco chiare da inviti o cataloghi, si è indicata solo la data di inaugurazione o soltanto il mese. 

1933
Piero Luigi Mario Manzoni nasce il 13 luglio a Soncino, piccolo paese in provincia di Cremona (Lombardia). Suo padre Egisto (1901-1948), conte di Chiosca e Poggiolo, è socio dell’azienda di prodotti alimentari Rinaldo Rossi e della libreria Antiquitas; sua madre Valeria Meroni (1907-1994), appartiene a una celebre famiglia soncinese, proprietaria di una storica filanda. Piero avrà quattro fratelli: Maria Melania (1937-2013), Elena (1939), Giacomo (1940) e Giuseppe (1946). Riceve un’educazione aristocratica e cattolica. Trascorrerà l’infanzia e la giovinezza tra Soncino (casa di via Matteotti 60), Milano (casa di via Cernaia 4), Soprazocco (nella villa di famiglia presso il Lago di Garda, provincia di Brescia) e le vacanze estive ad Albisola (rinomata località di villeggiatura in Liguria).
1948
Morte del padre a causa di un infarto.
1950
Prende lezioni private di disegno e pittura. La prima opera pervenuta è un acquerello su carta Senza titolo (paesaggio con case, luglio). In questi anni collabora con l’Associazione San Vincenzo, ente cattolico di assistenza a poveri e indigenti. A giugno con gli amici Corrado Sellaroli e Lorenzo Usellini viaggia in bicicletta da Milano a Roma in occasione dell’Anno Santo.
1951
Consegue la maturità classica al prestigioso Istituto Leone XIII, scuola fondata a Milano dalla Compagnia di Gesù nel 1893. Nello stesso istituto, dove Manzoni aveva anche collaborato al giornale scolastico «Giovinezza Nostra», studiano suoi futuri compagni di ricerca: Nanni Balestrini, Leo Paolazzi, Vanni Scheiwiller. In estate nuovo viaggio in bicicletta, in Costa Azzurra, con Corrado Sellaroli. Probabilmente ha già conosciuto Lucio Fontana, grazie all’amicizia delle rispettive famiglie. Si iscrive al corso di laurea in Giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Altri due quadri pervenuti: Veduta di Savona, olio su tavola, e Senza titolo, olio su tela (interno di una stanza con sedia). Un autoritratto e un ritratto della sorella Elena sono andati distrutti.
1952
Viaggia in autostop per il Nord Europa e in Francia conosce l’artista Alberto Zilocchi.
1953
In estate frequenta l’amico ceramista Beppe Mondinari a Santa Margherita Ligure; altri due lavori Senza titolo, olio su tela (veduta di case forse di Santa Margherita e una veduta di Albisola Marina). A Milano frequenta per poche settimane dei corsi di pittura all’Accademia di Brera.
1954
Dal marzo 1954 inizia la stesura di un «diario» (fino all’agosto del 1955). Nel diario scrive che vorrebbe dedicarsi sempre più assiduamente all’arte ma è anche indeciso se diventare pittore o scrittore; giudica le mostre coeve «penose» e tra gli artisti contemporanei stima solo Pablo Picasso. Guarda molti film al cinema e frequenta il Teatro alla Scala, ascolta musica eterogenea dal jazz alla musica classica e legge molti libri di diverse tipologie (dalle Commedie di Ludovico Ariosto ai romanzi di Hemingway, fino À l’ombre des jeunes filles en fleurs di Marcel Proust letto in francese, e molti altri); una lettura importante è l’Esistenzialismo di Pietro Prini (Roma, 1952) che gli farà conoscere la filosofia di Kierkegaard, Nietzsche, Sartre, Jaspers, Heidegger, Marcel, Abbagnano e altri. Reputa «fondamentale» l’estetica di Benedetto Croce. Nel diario inizia ad annotare riflessioni sulla vita, sull’essere, sul mito e sull’arte che in parte saranno ripresi nei suoi scritti teorici successivi. A dicembre lascia gli studi giuridici.
1955
A gennaio si trasferisce a Roma iscrivendosi al corso di laurea in Filosofia dell’Università di Roma dove segue vari corsi tra cui Letteratura italiana, Psicologia, Storia della filosofia. Verso la fine dell’anno lascia Roma e ritorna a casa, continua gli studi di filosofia all’Università degli Studi di Milano (dove risulta ufficialmente iscritto nell’aprile-maggio del 1956). Forse in questo periodo inizia a frequentare, a Milano e ad Albisola, alcuni esponenti dei movimenti d’avanguardia come il Movimento Arte Nucleare (Enrico Baj, Sergio Dangelo), il gruppo CoBrA (Asger Jorn), gli «spazialisti» guidati da Lucio Fontana e gli artisti Gianni Dova e Roberto Crippa di cui frequenterà lo studio. Successivamente altro luogo importante per i ritrovi artistici (oltre ai bar e osterie del quartiere di Brera come il Jamaica e il Genis’) sarà la tipografia di Antonio Maschera in via Palermo 14 a Milano. Albisola, oltre che luogo di villeggiatura, è anche rinomato centro artistico e di lavorazione della ceramica dove Manzoni «conoscerà» il caolino; la Liguria degli anni cinquanta sarà noto luogo di aggregazione artistica dove, ad esempio, sarà fondata l’Internationale Situationniste (Cosio di Arroscia, 28 luglio1957).
1956
Inizia la produzione di quadri con impronte di oggetti con olio e materiali eterogenei su tela e successivamente le prime composizioni con strane figure antropomorfe. Con le opere Papillon Fox e Domani chi sa partecipa alla 4A Fiera Mercato. Mostra d’Arte Contemporanea, al Castello Sforzesco di Soncino (11-16 agosto; prima mostra documentata). Espone al Premio di pittura San Fedele 1956 alla Galleria San Fedele di Milano (5-15 novembre). Il 9 dicembre pubblica il suo primo manifesto Per la scoperta di una zona di immagini (con Camillo Corvi-Mora, Ettore Sordini, Giuseppe Zecca). Visita moltissime mostre ma non sempre se ne conoscono riferimenti precisi. Si dedica totalmente all’arte e lascia gli studi universitari.
1957
A gennaio, a Milano, visita due mostre importanti per la sua ricerca: Proposte monocrome. Epoca blu di Yves Klein alla Galleria Apollinaire e la personale di Alberto Burri alla Galleria del Naviglio. Continua la produzione di opere simili all’anno precedente; inizia a elaborare lavori «materici» con catrame, olio, smalto e altri materiali. Prima mostra all’estero, con Baj, Dangelo, Fontana e altri, alla Galerie 17 di Monaco di Baviera (15-31 gennaio). Forse già da inizio anno ha uno studio in via Montebello. Ha una relazione, per circa due anni, con Mariangela Romano. Inizia a collaborare con il Movimento Arte Nucleare.
Esposizione Manzoni Verga Sordini alla Galleria Pater di Milano (29 maggio); nell’opuscolo della mostra vi è un breve testo di presentazione di Fontana e gli artisti
diffondono il manifesto L’arte non è vera creazione... A giugno firma con Guido Biasi, Mario Colucci, Ettore Sordini e Angelo Verga il manifesto Per una pittura organica e in estate gli stessi cinque artisti pubblicano lo scritto Albisola Marina (forse in concomitanza con una collettiva alla Trattoria La Lalla di Albisola Marina, 1-15 agosto). A settembre pubblicazione del manifesto Contro lo stile firmato da vari artisti e intellettuali tra cui, oltre Manzoni, anche Arman, Baj, Dangelo, Hundertwasser, Klein, Pierre Restany e altri. Partecipa alla collettiva Arte Nucleare 1957 alla Galleria San Fedele di Milano (12-30 ottobre) e contemporaneamente vi è la sua prima mostra personale nel foyer del Teatro alle Maschere di Milano (23 ottobre). Qualche giorno dopo partecipa alla Mostra di giovani pittori al bar Giamaica per la quale viene stampato l’omonimo scritto (9 novembre; firmato anche da Guido Biasi, Aldo Calvi, Silvio Pasotti, Antonio Recalcati, Ettore Sordini, Angelo Verga, Alberto Zilocchi). È citato nel volume Pittura italiana del dopoguerra (1945-1957) di Tristan Sauvage, pseudonimo di Arturo Schwarz, di cui già frequentava la libreria-galleria con mostre di arte dadaista e surrealista. Verso la fine dell’anno realizza i primi «quadri bianchi» (Senza titolo o con titoli vari come Nevicata e Ipotesi prima) inizialmente con gesso e successivamente con caolino e tela grinzata (nei mesi seguenti l’artista intitolerà Achromes tutti i «quadri bianchi» realizzati, con materiali diversi, dal 1957 fino alla sua morte). L’anno si chiude con un’altra personale presso la Galleria del Corriere della Provincia, a Como (3-10 dicembre); nel pieghevole della mostra vi è un nuovo testo, senza titolo, firmato solo da Manzoni (forse scritto già a marzo; poi pubblicato in francese con il titolo Prolégomènes à une activité artistique sulla rivista belga «Scherven», n. 3, Overboelare, [1959], e con minime varianti come Prolegomeni all’attività artistica su «Evoluzione delle lettere e delle arti», a. I, n. 1, Milano, gennaio 1963). Sarà importante l’amicizia con alcuni fotografi (Uliano Lucas, Giovanni Ricci, Ennio Vicario e altri) che documenteranno mostre, opere, progetti.
1958
Continua la produzione di Achromes sia con gesso e sia con caolino, tela grinzata e tela a riquadri. Esegue il primo Alfabeto con inchiostro e caolino su tela. Mostra Lucio Fontana Enrico Baj Piero Manzoni alla Galleria Bergamo di Bergamo (4-17 gennaio; testo di Luciano Anceschi). La stessa mostra sarà presentata alla Galleria del Circolo di Cultura di Bologna (23 marzo-8 aprile) ma con opere diverse: Manzoni infatti espone per la prima volta i suoi «quadri bianchi». A febbraio, alla Galleria Apollinaire di Milano, personale di Jean Fautrier. Pubblica, solo con il proprio nome, una nuova e più ampia versione del testo Per la scoperta di una zona di immagini, su Documenti d’arte d’oggi mac 58, Milano 1958 (marzo). Mostra personale alla Galleria Pater dove espone «quadri bianchi» (22 aprile-4 maggio). Sempre in aprile, a Düsseldorf, Heinz Mack e Otto Piene pubblicano il primo numero di «ZERO» e a Parigi, nella galleria di Iris Clert, vi è Le Vide di Yves Klein. Partecipa alla collettiva L’avanguardia, con opere di Francis Picabia, Antonio Sant’Elia, Fontana e Baj alla Galleria Montenapoleone di Milano (27 maggio). A giugno collettiva The new American painting, Galleria Civica d’Arte Moderna, Milano (opere di Franz Kline, Mark Rothko, Jackson Pollock e molti altri). In estate, in Olanda, stringe rapporti con artisti e galleristi come Gust Romijn e Hans Sonnenberg e proprio in Olanda (dove poi entrerà a far parte del gruppo Zero olandese e, successivamente, esporrà con i membri del gruppo Nul) vi sarà la sua prima mostra personale all’estero: Piero Manzoni Schilderijen, Rotterdamsche Kunstkring, Rotterdam (10-29 settembre). A Parigi conosce vari artisti francesi e Iris Clert gallerista di Klein. Contemporaneamente espone per la prima volta con Agostino Bonalumi ed Enrico Castellani, futuri compagni di ricerca, alla Galleria Pater di Milano (13 settembre; opere anche di Guido Biasi, Ralph Rumney, Douglas Swan). Sempre a Milano, viene pubblicato il terzo numero della rivista nucleare «Il Gesto»
(settembre, ma impostato già dall’anno precedente) redatto da Baj, Dangelo, Manzoni, copertina «bucata» ideata da Fontana e con testi e immagini di intellettuali e artisti eterogenei (da Édouard Jaguer a Edoardo Sanguineti, da Marcel Duchamp a Salvatore Scarpitta). In autunno John Cage è in Italia, partecipa a una nota trasmissione televisiva dove esegue alcuni suoi brani. A novembre, a Milano, nuova personale di Alberto Burri (Galleria Blu) e personale di Cy Twombly (Galleria del Naviglio).
1959
Vita sempre più frenetica tra intense ore di lavoro in studio, scrittura di lettere a molti artisti e galleristi europei, viaggi, mostre, lunghe serate in bar e trattorie con alcol, donne e amici. Inizia gli Achromes con tela cucita. Nuovo studio in via Fiori Oscuri. Mostra collettiva Bonalumi Castellani Manzoni alla Galleria del Prisma di Milano (16-28 febbraio). I tre artisti esporranno nuovamente insieme alla Galleria Appia Antica di Roma (3-15 aprile) con testo in «catalogo» scritto dal poeta sperimentale Leo Paolazzi, poi noto con lo pseudonimo di Antonio Porta. A Roma conosce galleristi e artisti della nuova avanguardia (Franco Angeli, Tano Festa, Mario Schifano e altri) e l’intellettuale, poeta e critico Emilio Villa che tra il 1960 e il 1961 scriverà un testo sul suo lavoro. Espone Achromes con tela grinzata nella personale olandese Relief-Schilderijen, Galerie de Posthoorn, L’Aia (21 aprile-9 maggio).
Il 27 maggio mostra personale al bar La Parete di Milano; sulla cartolina d’invito è riprodotta un’opera chiamata per la prima volta
Superficie acroma e in una fotografia dell’inaugurazione si vedono già le prime Linee allestite a parete. Un lavoro intitolato Superficie bianca del 1958 (caolino e tela grinzata) è pubblicato su «Direzioni» (rassegna d’arte e di poesia a cura di Fabrizio Mondadori, n. 3, giugno). Grazie a Sonnenberg espone nuovamente alla Rotterdamsche Kunstkring di Rotterdam, con Ian J. Pieters, Jan Schoonhoven e altri, alla collettiva Zero (1-28 luglio). In Germania partecipa alla collettiva Dynamo 1, Galerie Boukes, Wiesbaden (10 luglio-7 agosto; con Pol Bury, Oskar Holweck, Yves Klein, Heinz Mack, Almir Mavignier, Herbert Oehm, Otto Piene, Dieter Rot, Jesús- Rafael Soto, Daniel Spoerri, Jean Tinguely). Nella stessa città, nel 1962, George Maciunas organizzerà il primo «evento» Fluxus (1-23 settembre; Fluxus Internationale Festspiele Neuester Musik, Städtisches Museum).

Inizia la realizzazione delle Linee; una linea d’inchiostro scuro è tracciata sia su fogli rettangolari da allestire a parete (già da aprile-maggio) sia su fogli di carta poi arrotolati, firmati e chiusi in cilindri di cartone nero dove, su un’etichetta, sono riportate lunghezza, firma e data (da luglio-agosto). Prima personale monotematica delle Linee alla Galleria Pozzetto Chiuso di Albisola Marina (18-24 agosto); la mostra genera un po’ di scandalo mentre Lucio Fontana acquista un’opera esposta (Linea m 9,48).
A settembre viene pubblicato il primo numero della rivista «Azimuth», fondata e curata da Manzoni e Castellani; in questo numero vi sono testi di intellettuali eterogenei (tra cui Vincenzo Agnetti, Nanni Balestrini, Guido Ballo, Samuel Beckett, Gillo Dorfles, Carl Laszlo, Yoshiaki Tono) e sono riprodotte opere sia di artisti italiani coevi (come Angeli, Bonalumi, Fontana, Gino Marotta, Mimmo Rotella e altri) sia di artisti stranieri delle avanguardie storiche e delle neoavanguardie (da Kurt Schwitters a Otto Piene, da Jasper Johns a Robert Rauschenberg, da Yves Klein a Christian Megert e molti altri).
Nuova mostra Bonalumi Castellani Manzoni, questa volta in Svizzera, alla Galerie Kasper di Losanna (8-19 settembre). In Belgio altra collettiva promossa da Sonnenberg: Zero, G- 58 Hessenhuis, Antwerpen (12 settembre). L’artista collabora con tre articoli a tre numeri del bisettimanale di Roma «Il Pensiero Nazionale» (n. 17, 1-15 settembre; n. 19, 1-15 ottobre; n. 21, 1-15 novembre). Realizza un «collage» con fogli di calendario su carta («1- 30 settembre», progetto di serigrafia). Grazie alla gallerista francese Iris Clert partecipa alla collettiva Microsalon al Kunstamt Berlin-Charlottenburg, Berlino (10-31 ottobre). Ancora con il «gruppo olandese» espone in una nuova collettiva Zero, Galleria Appia
Antica, Roma (24 ottobre-4 novembre). A Milano, in un seminterrato di via Clerici, fonda con Castellani la Galleria Azimut, spazio autogestito parallelo alla quasi omonima rivista; la mostra inaugurale è la sua personale Linee (4 dicembre) con un fondamentale testo in «catalogo» di Agnetti. Tra la fine del 1959 e l’inizio del nuovo anno realizza la serie dei 45 Corpi d’aria: in una scatola di legno, insieme ad un foglio d’istruzioni, sono riposti un palloncino bianco da gonfiare con un tubicino e un treppiede dove poggiare la «scultura gonfiata». Con Gian Paolo Maccentelli (cineoperatore del Filmgiornale SEDI) realizza un filmato sulle «linee» e un filmato sui «corpi d’aria».
1960
Anno di frenetiche sperimentazioni. Molti giornali, italiani ed esteri, dedicano sempre più articoli al suo lavoro. Produce opere con le sue «impronte digitali» (inchiostro su carta). Pensa di realizzare un animale meccanico alimentato a energia solare. Il 4 gennaio alla Galleria Azimut si inaugura la mostra collettiva La nuova concezione artistica (oltre a Castellani e Manzoni partecipano anche Kilian Breier, Oskar Holweck, Yves Klein, Heinz Mack, Almir Mavignier); qualche mese dopo, con lo stesso titolo, uscirà il secondo e ultimo numero di «Azimuth» con testi di Castellani, Manzoni, Piene e Udo Kultermann pubblicati in quattro lingue (italiano, francese, tedesco, inglese). Il testo di Manzoni è il fondamentale Libera dimensione (in italiano, francese e inglese, poi edito anche in giapponese nella rivista «The Geijutsu-Shincho», n. 7, Tokyo, luglio; sul terzo numero della stessa rivista, a marzo, era già apparso un articolo sul suo lavoro firmato da Nobuya Abe). Con Bonalumi, Castellani, Megert, Henk Peeters, Kees van Bohemen e altri espone alla collettiva Neue Malerei, Berna, Galerie des Kleintheater (25 febbraio-7 marzo). Prima mostra inglese: Castellani Manzoni. A new artistic conception, al New Vision Centre di Londra (1-19 marzo). Partecipa alla grande mostra collettiva Monochrome Malerei, curata da Udo Kultermann, Städtisches Museum, Leverkusen (18 marzo-8 maggio, nel catalogo della mostra vi è una versione francese del suo testo Libera dimensione). Firma, con Biasi, Castellani, Mack e Manfredo Massironi, il manifesto La nuova concezione artistica edito per l’omonima mostra collettiva al Circolo del Pozzetto di Padova (9 aprile).
Alla Galleria Azimut presenta la personale dei Corpi d’aria (3-9 maggio); espone nell’asta/mostra collettiva Contemporary Italian Art all’Illinois Institute of Design di Chicago (9-20 maggio). Mostra personale Luftskulptur Billeder 9 Linier, alla Galerie Køpcke di Copenaghen (10 giugno-1 luglio) che suscita grande clamore mediatico; l’artista presenta Achromes, Linee, Corpi d’aria e, per la prima volta, uova sode «firmate» a inchiostro con la sua impronta digitale. Conosce l’imprenditore e collezionista Aage Damgaard che finanzia i suoi progetti e lo ospita nella sua azienda danese, a Herning, permettendogli di realizzare opere con nuovi materiali. Il 4 luglio, nella tipografia del giornale «Herning Avis», Manzoni realizza la Linea di m 7200, poi sigillata in un contenitore cilindrico di zinco e piombo (fotografano l’evento Ole Bjørndal Bagger e l’artista Eva Sørensen, poi sua futura intima amica che si trasferirà in Italia). Secondo le intenzioni dell’artista questa era la prima di una serie di linee, da seppellire nelle città più importanti del mondo, la cui somma totale doveva essere uguale alla lunghezza della circonferenza terrestre. Realizza Corpo di luce assoluto, sferoidi che grazie a un getto d’aria ruotano su sé stessi creando un «volume virtuale» (distrutti), e Scultura nello spazio, palloni sorretti da getti di aria compressa (distrutti; fotografie di Ole Bjørndal Bagger). Conosce Jes Petersen con cui progetterà una sua «monografia» composta solo da pagine trasparenti (Piero Manzoni life and works).
Nel corso dell’anno varie tipologie di Achromes con materiali diversi: cotone idrofilo, panno cucito, polistirolo espanso con vernice fosforescente, cloruro di cobalto (questi ultimi cambiano colore in base all’umidità e alla temperatura), piccole sculture con oggetti ricoperti di caolino e vari esemplari di Fiato d’artista (base quadrangolare di legno su cui è
fissato un palloncino di gomma gonfiato dall’artista), Uova scultura e di Linea di lunghezza infinita (semplice cilindro di legno dipinto di nero con sull’etichetta titolo, firma e data). Elabora due versioni del Placentarium, «teatro pneumatico per balletti di luce, di gas ecc...» (pubblicate l’anno successivo, insieme ai Progetti immediati, sulla rivista «ZERO», n. 3, Düsseldorf, [luglio 1961]).
Opere di Manzoni, Burri, Castellani, Fontana e altri sono allestite nella sala d’ingresso, curata da Ettore Sottsass jr, alla XII Triennale di Milano (16 luglio-4 novembre).
L’ultima esposizione della Galleria Azimut è la mostra-evento di Manzoni
Consumazione dell’arte Dinamica del pubblico Divorare l’arte (21 luglio) dove l’artista offre da mangiare al pubblico uova sode «firmate» con la sua impronta digitale. Sempre con Maccentelli, realizza un filmato sulle «uova». Alla Galleria Azimut in otto mesi di programmazione sono state allestite tredici mostre (di cui tre personali di Manzoni e quattro collettive con sue opere) ospitando molti giovani artisti sperimentali (tra cui gli esponenti del gruppo Zero di Düsseldorf, Motus e gli italiani del Gruppo T). Juan-Eduardo Cirlot pubblica: ¿Un nuevo idealismo? Piero Manzoni y la nueva concepción artística (in «Correo de las Artes», n. 27, Barcelona, settembre).

Il 23 novembre scrive il testo di risposta all’Inchiesta sulla pittura per l’«Almanacco letterario Bompiani» (edito postumo). Partecipa all’International Abstract Painting Exhibition, The Shen Sheng Pao Press Building, Taipei (11-14 novembre). Con Castellani, Laszlo, Mack, Piene e altri firma il Manifesto contro niente per l’esposizione Internazionale di niente.
1961
A gennaio inizia a firmare le persone come Sculture viventi poi «certificate» dalle Carte di autenticità (l’8 aprile firmerà anche sé stesso come «opera d’arte vivente»); realizza un nuovo film con Maccentelli sulle Sculture viventi. Produce vari esemplari di Base magica- Scultura vivente. Per «Gorgona» («gruppo» nonché rivista d’avanguardia croata) elabora tre progetti di Tavole di accertamento.
Mostra Castellani&Manzoni alla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis a Roma (22 aprile). Per la personale della sua amica Dadamaino allo Studio Gruppo N di Padova (20 maggio) scrive un testo riformulando alcuni passi del suo Libera dimensione. Partecipa a Zero Edition Exposition Demonstration alla Galerie Schmela di Düsseldorf (5 luglio) e nello stesso periodo espone nella collettiva Internationale Malerei 1960-61, Deutsch-Ordens- Schloss, Wolframs-Eschenbach (15 luglio-24 settembre).
Partecipa alla mostra Nove tendencije alla Galerija Suvremene Umjetnosti di Zagabria (3 agosto-14 settembre) con molti artisti di matrice «cinetico-visuale». A maggio aveva realizzato le famose 90 scatolette di Merda d’artista esposte per la prima volta in estate nella mostra collettiva In villeggiatura da Pescetto alla Galleria Pescetto di Albisola Capo (12-19 agosto) e poi nella personale milanese alla Galleria Luca Scacchi Gracco (settembre). Aveva pensato anche alla realizzazione di fiale di «sangue d’artista». Ritorna in Danimarca con una nuova personale Kunstnerlort Levende Kunstværk alla Galerie Køpcke di Copenaghen (18 ottobre; espone Merda d’artista e firma Sculture viventi). A Herning realizza il celebre Socle du monde, una base in metallo, con il titolo dell’opera rovesciato, sulla quale è poggiato l’intero globo terrestre come opera d’arte. Scriverà inoltre di voler tracciare una linea bianca lungo il meridiano di Greenwich.
Nel corso dell’anno altre tipologie di Achromes (fibra naturale, fibra artificiale, pallini di ovatta, peluche) e due sculture «acrome», una sferica con pelo bianco di coniglio e un parallelepipedo di paglia e caolino (entrambe con base in legno bruciato).
Per la musica
compone due «afonie» (Afonia Herning, orchestra e pubblico; Afonia Milano, cuore e fiato). Per la radicalità delle sue opere il percorso di Manzoni diventa sempre più
autonomo e solitario.
Partecipa al XII Premio Lissone al Palazzo del Mobile di Lissone con gli amici Bonalumi,
Dadamaino, Castellani con la denominazione Gruppo Milano 61 (ottobre).
Altre due collettive in Germania: Avantgarde 61, Städtisches Museum, Trier (7 ottobre-5
novembre) e Exposition Dato 1961, Galerie Dato, Frankfurt am Main (1-31dicembre).
1962
Continua la produzione di Achromes e ne realizza altre varianti (con carta di giornale e
carta da imballo, panini e caolino,
sassi e caolino). Nuovo studio in via Fiori Chiari 16.
Conosce
Nanda Vigo con cui ha una relazione. Partecipa alla prestigiosa
collettiva
Ekspositie Nul allo Stedelijk Museum di Amsterdam (9-25 marzo) e, sempre in Olanda, alla mostra Castellani Manzoni Schoonhoven alla Galerie Delta di Rotterdam (4-25
agosto).
L’editore milanese Vanni Scheiwiller pubblica le 8 Tavole di accertamento
(cartella con 8 fotolitografie in 60 esemplari numerati, progettate già dal 1958-1960) con
prefazione di Agnetti.
Su «Settimana INCOM Illustrata» Franco Serra pubblica un articolo-intervista sul suo percorso (16 dicembre). Scrive il fondamentale testo Alcune realizzazioni – alcuni
esperimenti – alcuni progetti dove ripercorre tutti i suoi propositi artistici ed estetici
dal
1957 al presente (pubblicato, in versione ridotta e senza titolo, in «Evoluzione delle lettere e delle arti», a. I, n. 1, Milano,gennaio 1963). Pensa di realizzare un «labirinto controllato elettronicamente, che potrà servire per test psicologici e lavaggi del cervello»
(progetto già abbozzato nel 1960).
1963
Espone alla Mostra monocroma, Galleria Il Fiore, Firenze (16 gennaio) e qualche giorno dopo si inaugura una sua personale alla Galerie Smith di Bruxelles (25 gennaio-12 febbraio). Il 6 febbraio Piero Manzoni muore a causa di un infarto nel suo studio di via Fiori
Chiari 16 a Milano.

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