RITENGO CHE SIA DOVERE DI CHIUNQUE E A MAGGIOR RAGIONE DI NOI ITALIANI, FARE DI TUTTO PER PROMUOVERE, SALVAGUARDARE E DIVULGARE L'ARTE IN TUTTE LE SUE ESPRESSIONI.
UNA SOCIETA' DISTRATTA SUI FATTI DELL'ARTE E' UNA SOCIETA' VOTATA ALL'IMPOVERIMENTO... E NOI, DA QUESTO PUNTO DI VISTA, LO SIAMO GIA' ABBASTANZA!






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martedì 28 gennaio 2014

GOLA - Arte e Scienza del gusto

 

GOLA - Arte e Scienza del gusto

31 Gennaio. 12 Marzo 2014.

Triennale di Milano
Orari
Martedi - Domenica
10.30 - 20.30
Giovedi
10.30 - 23.00
 
Ingresso
8,00/6,50/5,50 Euro
Gratuito per i gruppi prenotati con Fondazione Golinelli*

 
Il cibo è sempre stato fonte di uno dei maggiori piaceri della vita. Il buon cibo gratifica, appaga, consola, ed è una risorsa che ci sostiene persino quando i nostri affetti non lo fanno. Se tante scuole morali ci hanno sempre messo in guardia dai suoi eccessi, è proprio perché si tratta di un piacere universale, accessibile a tutti, a ogni età, condizione sociale e livello culturale.
Se il gusto è sempre stato riconosciuto come un ingrediente chiave della nostra vita emotiva, oggi la scienza sta cercando di capire perché lo sia.
Anche molti artisti ne hanno fatto l’oggetto esplicito della loro ricerca, della loro curiosità e del loro divertimento, mettendone a fuoco aspetti che nelle nostre vite distratte spesso ci sfuggono.
La risposta alla domanda “si può discutere del gusto?” è dunque: sì, si può parlare del gusto. Non solo per celebrarlo o al contrario per mortificarlo. Ma per capirlo. Forse, anzi, non solo si può, ma si deve.
Prova certamente a farlo la nuova mostra di arte e scienza “Gola. Arte e scienza del gusto”, prodotta da Fondazione Marino Golinelli in partnership con La Triennale di Milano. Progetto di Giovanni Carrada a cura di Giovanni Carrada e Cristiana Perrella.
La mostra si snoda attraverso cinque aree tematiche all’interno di ognuna della quali viene sviluppato un tema mediante: un video che presenta il racconto scientifico di base, una o più opere d’arte, e uno o più exhibit che illustrano aspetti e curiosità collaterali:
I dilemmi dell’onnivoroIn che modo e perché  l’evoluzione ci ha “nascosto” una scelta alimentare complessa e difficile dietro un meccanismo emotivo basato sul piacere.
I sensi del gustoCome tutti i sensi partecipano alla valutazione del cibo in base a criteri incisi nel nostro DNA, quindi molto simili in ciascuno di noi, per poi integrare tutte le informazioni in un’unica sensazione.
Buono da pensareDove non arriva la biologia, arriva l’esperienza – nostra, ma soprattutto degli altri – attraverso una serie di meccanismi di apprendimento dai quali dipendono la straordinaria diversità delle culture alimentari del mondo e l’identità stessa di ciascuno di noi.
I segreti dei cibi-spazzaturaOggi alcuni cibi iper-appetibili, creati dall’industria in modo da risultare “irresistibili”, grazie al loro mix di nutrienti stimolano in maniera innaturale i meccanismi cerebrali della gratificazione e dell’attenzione, fino a creare forme di vera e propria dipendenza.
La ri-costruzione del gustoCome superare il conflitto che si è creato fra meccanismi naturali del piacere a tavola e le esigenze di un’alimentazione sana?

Artisti presenti:
Cheryl Donegan, Marina Abramovic, Sophie Calle, Ernesto Neto, Anri Sala, Boaz Arad, Gabriella Ciancimino, Jørgen Leth, Sharmila Samant
, Martin Parr, Christian Jankowski, Hannah Collins, Marilyn Minter.

Per il pubblico la mostra sarà fruibile sia liberamente che attraverso percorsi di visite guidate (su prenotazione).
Per le scuole è previsto un intenso programma di visite e attività didattiche  di laboratorio studiate (prenotazione obbligatoria).

sabato 8 giugno 2013

“Icastica: le più grandi artiste di tutto il mondo convinte da Arezzo”





“Icastica: le più grandi artiste di tutto il mondo convinte da Arezzo”


Presentata la biennale d'arte


La presentazione di Icastica nella Sala delle Muse del Museo di Arte Medievale e Moderna. Le considerazioni dell'assessore alla cultura del Comune di Arezzo Pasquale Macrì: “Perché l'ente promotore, il Comune, sceglie di presentare l'arte contemporanea in un museo medievale? Questa domanda è la chiave di interpretazione di Icastica, che affronta nella sua ragion d'essere il tema culturale di fondo dell'epoca attuale, ovvero che cos'è una città d'arte. È città d'arte, oggi, Firenze o Dubai? Dobbiamo dire che città d'arte sono quelle che nel tempo producono arte, chiamano artisti e danno loro la possibilità di lasciare opere in quella città. Si tratta cioè di rifiutare una visione dell'arte meramente storicistica.

L'altro tema fondamentale è il colloquio: tra i grandi monumento di Arezzo, sempre celebrati e con Icastica celebrati in un altro modo perché messi a confronto con i linguaggi contemporanei. Icastica vuol dire indicare il modo giusto di vedere le cose. Chi di noi non ricorda che Van Gogh è morto povero e suicida? È stato rifiutato perché identificato con il modo sbagliato di fare arte. Da domani potrete assistere a 40 modi diversi di vedere l'arte. Chi pensa di chiudere la visione alla propria conoscenza è ora costretto a confrontarsi con la grande contemporaneità. E perché sono venite le più grandi interpreti di questa? Perché gli abbiamo mostrato un progetto che è sembrato loro convincente. Primo perché femminile. Su questo tema ha aderito Yoko Ono. Le donne sono soggetto che crea opera d'arte e non più solo oggetto riprodotto nell'opera d'arte.

Perché invece Marina Abramovic ha detto sì a Icastica e no alla Expo di Milano? Il colloquio, ecco l'altro elemento fondamentale. Alla Abramovic abbiamo detto: sarai l'unica a esporre in un luogo unico, la Casa Vasari. A questo suggestione ha risposto anche Mona Atum a cui abbiano offerto di esporre sotto il crocifisso di Cimabue. Nella basilica di San Francesco ci sarà Ike Weber. Sto parlando della storia dell'arte contemporanea, sulla quale ora siamo costretti a entrare, anzi vi invito a inciamparvi.

Un ringraziamento a Banca Etruria, main sponsor con il suo contributo forte e significativo, anche eticamente. Chi ha fatto questa scelta credo abbia riflettuto sul progetto, anche considerando il momento attuale, e ci ha dato la speranza di condividere Icastica all'interno della città”.

“Abbiamo riconosciuto in Icastica un’iniziativa che punta a valorizzare la città nella sua capacità espressiva di reale contenitore culturale. Un posizionamento coerente con l’attenzione di Banca Etruria allo sviluppo della qualità sociale e culturale del territorio – dichiara il Direttore Generale di Banca Etruria, Luca Bronchi. Per potenziare tale impegno, ospitiamo volentieri due installazioni anche alla Casa Museo di Ivan Bruschi”.

E ora appuntamento con le artiste suddivise in 13 sedi, anche quelle appena inaugurate come l'Urban Center. Poi sedi storiche come le basiliche, palazzo comunale, museo archeologico, casa Vasari, Sant'Ignazio, Palazzo Chianini-Vincenzi, la Galleria Comunale di Arte Contemporanea, Casa Bruschi. Sono già visibili le installazioni all'aperto, sotto le Logge Vasari, i portici, Piazza della Libertà, che sono micro-storie che foderano la città con i loro colori, la loro originalità e i concetti che sottendono.

E ancora teatro, danza, letteratura, musica, filosofia anche qui nomi eccezionali, da Monica Guerritore a Luciana Savignano a Emma Dante, alle prese con i classici come Medea e la sperimentazione più variegata, da Salvatore Natoli ad Andrée Ruth Shammah, da Roy Assaf e Noa Shadur, coreografi e compagnie israeliane, da Anat Cohen a Maya Beisa. Spettacoli in Piazza San Domenico, un piazza che viene dunque coinvolta come merita. Fa eccezione Skin, sabato alle 22,30 alla ex Cadorna.

Michele Loffredo, direttore di Casa Vasari: “la Soprintendenza affianca il Comune perché crede nel progetto. Visto il ruolo che ricopro, non posso che dirmi onorato di ospitare Marina Abramovic. In questo momento abbiamo un'altra mostra, quella su alcune carte dell'archivio vasariano finalmente esposte. Casa Vasari diventa dunque in questo momento un luogo dall'alto peso culturale specifico. Visto che tutte le professioni si sono specializzate, con un linguaggio specifico, non si può non pensare che anche l'arte contemporanea non abbia maturato questa caratteristica”.

mercoledì 7 marzo 2012

Marina Abramovic dal 21 marzo al PAC di Milano. In anteprima un articolo/intervista che uscirà sul numero di Io Donna del 10 marzo.

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In anteprima pubblico l'articolo che uscirà sul numero di Io Donna del 10 marzo.  
Intervistata a Marina Abramovic che realizzerà la sua performance dal 21 marzo al PAC di Milano.


“Il corpo è la mia casa. E la mia arte”
Potrebbe abitare ovunque, dice. “L’importante è portarsi dietro
le cicatrici”. Quelle vere, inflitte alla pelle nelle performance
estreme. In attesa di assistere alla prossima, a Milano, abbiamo
incontrato Marina Abramovic. Per parlare di installazioni
e amori. E, a sospresa, di buoni affari immobiliari
di Camilla Baresani, foto di Steve Pyke per Io donna
Marina Abramovic, 65 anni. Dal 21 marzo al Pac
di Milano con The Abramovic Method.


 Seducente e suadente, istrionica e imperiosa, concentrata e coerente. Sono definizioni calzanti per la fenomenale Marina Abramovic, imperatrice della performance art, celebrity con folle di devoti, donna passionale che è riuscita a trasformare gli elementi della sua lunga e complicata vita in un’esplorazione dei limiti fisici e mentali dell’esistenza. Diversamente da altri celebri artisti contemporanei, la Abramovic non crea un’opera per poi lasciarla in una galleria in attesa che qualcuno la compri: è lei stessa l’opera. La sua essenza di artista è nelle performance in cui si mette in gioco davanti al pubblico. «Nel mio caso, se non c’è pubblico non c’è arte. Il pubblico e l’artista sono elementi complementari e inseparabili» spiega. Tagliarsi con rasoi, farsi avvolgere da serpenti, spezzare bicchieri con le mani, frustarsi, stare nuda sdraiata sul ghiaccio, svenire per il fumo dentro una stella dai contorni infuocati, digiunare dodici giorni in un box senza pareti davanti ai visitatori di una galleria; o ancora: spazzolare femori di bovino cercando per tre giorni di pulirli dai brandelli di carne. Tutto questo davanti al pubblico, con gli spettatori che finiscono per sentirsi talmente parte della performance da trasformarsi n tifosi, non semplici appassionati come capita con altre forme d’arte. Ormai Marina è diventata una sorta di icona pop: una sua performance è finita in una puntata del serial di Sex & the City; Lady Gaga, in un video cliccatissimo su YouTube, dichiara la propria devozione al suo culto; l’anno scorso Marina Abramovic. The artist is present al MoMA di New York ha prodotto 500mila visitatori, di cui ben 1.400 si sono avvicendati al tavolo dove lei è rimasta seduta per 700 ore, senza muoversi, limitandosi a guardare, a sua volta guardata. E ora arriva a Milano con un nuovo lavoro: dal 21 marzo sarà al Pac con The Abramovic Method, una mostra e una performance basata sulle tre posizioni basilari del corpo (seduto, in piedi, sdraiato) e sull’interazione tra artista, pubblico, materiali, spazio e tempo. In pratica, la summa della sua riflessione artistica. Il 22 marzo, al cinema Apollo verrà proiettato il documentario sulla performance del MoMA , mentre il 20 marzo alla Galleria Lia Rumma si inaugurerà una seconda mostra sui suoi lavori. abbiamo incontrato marina a casa sua, un loft al terzo piano di un edificio di Soho, a Manhattan, dove si era trasferita nel 2002 con l’artista italiano Paolo Canevari, un grande amore ormai finito (ma non dimenticato). Il cognome sul citofono, scale ripide senza ascensore, un grande spazio che ha al centro una cucina il cui frigo contiene acqua e poco altro, sul pavimento un vogatore che Marina usa con regolarità. Qualche libro, un altarino con foto di un prozio patriarca della chiesa ortodossa, del suo cane Alba, morto tanti anni fa, del maresciallo Tito con la moglie campeggiano quattro pacchi di Costume National. Marina è orgogliosa dei nuovi vestiti e li appoggia sul bancone della  cucina per mostrarmeli. Cresciuta a Belgrado, nel tetro ascetismo comunista, la diverte la frivolezza ed è entusiasta di finire sulle copertine dei giornali di moda, non solo su quelli d’arte. Mi mostra le pagine di Harper’s Bazaar, dov’è fotografata con abiti del suo amico Riccardo Tisci, stilista di Givenchy. «Quanti artisti conosce che finiscono sulle pagine dei fashion magazine di tutto il mondo?». Descrive la nuova casa in cui sta per trasferirsi, «una townhouse (un’elegante casa a schiera urbana) a King Street, molto concettuale, con un giardino». Mi mostra anche le foto di un’altra dimora, che ha comprato vicino a Hudson, a un paio d’ore da New York. Le chiedo quale consideri sua vera casa, New York o Hudson. «La mia casa è il mio corpo. Io cambio luoghi come cambio un paio di scarpe. Sono totalmente nomade. Posso vivere ovunque. Ma sono molto brava negli affari immobiliari!» aggiunge divertita. Le chiedo delle sue due grandi storie d’amore. Dodici anni col fotografo tedesco Ulay, con cui ha vissuto una simbiosi artistica e sentimentale («Lo amavo tanto da non riuscire a respirare»), terminata nel 1989 con una performance memorabile: camminarono lungo la Grande Muraglia per 2.500 chilometri ciascuno - a lei il percorso più duro, sui monti – fino all’incontro in cui si dissero addio, continuando poi a litigare per un decennio. E altri dodici anni di amore con Paolo Canevari. Uomini pacati e riservati, mentre lei è entusiasta, volitiva, comunicativa: «Io do amore incondizionato». Le manca un nuovo legame? «Non ho tempo, adesso. È importante sapere qual è il proprio ruolo nella vita. Io ho delle motivazioni fortissime e molti progetti. La realtà è che la mia vita privata non conta, perché la nostra esistenza è breve, mentre l’arte dura molto più a lungo». Ha un corpo sodo e molto attraente. Le chiedo se
le siano rimaste cicatrici dalle performance. «Sì, dappertutto! È magnifico, è la vita. Mi sento piena di salute. E non fumo, non bevo, faccio ginnastica» dice mostrandomi i segni come fossero una mappa del tesoro. Si sente sexy? «Lo sono!».
Non è stanca di forzare i limiti della resistenza fisica? «Sin dall’inizio mi sono resa conto che il soggetto e l’oggetto del mio lavoro era il mio corpo, e sono diventata una performance artist. Erano gli anni Settanta ed è stato molto duro. Un po’ come essere la prima donna a camminare sulla luna. Allora si trattava di una prateria inesplorata. Oggi faccio il possibile per creare situazioni in cui le performance siano mainstream art». In luglio, a Manchester, Marina ha interpretato se stessa in una produzione teatrale di Bob Wilson, The life and death of Marina Abramovic. «Recito con Willem Dafoe, e le musiche sono di Antony and the Johnsons. È uno spettacolo che fonde musica, teatro e cinema, molto pazzo ed emozionante. L’ho dedicato a Paolo. La prossima tappa è a Madrid. Poi seguirò la tournée, almeno per un po’. Ma Bob mi ha detto di non preoccuparmi. Quando sarò stanca, mi vuole sostituire con Sharon Stone». Leggendo Quando Marina Abramovic morirà (di James Westcott, Johan & Levi editore), la sua biografia avvincente quanto una fiction, si rimane affascinati nello scoprire con quale determinazione Marina abbia lavorato, sin dagli anni Settanta, alla costruzione della propria mitografia. Il titolo è dovuto al fatto che Marina ha voluto che il libro si aprisse con le sue disposizioni per il funerale, dettaglio che la dice lunga sulla sua concezione della vita: una lunga performance, funerale incluso. 
 
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Le ferite di un’artista
Silenzi e coltelli.
Tatuaggi e lamette.
Sguardi e serpenti.
Quarant’anni
on the stage
 
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1973 
Rhythm 10
L’opera, teatro della crudeltà. L’artista poggia una mano a terra. Nell’altra, tiene un coltello. Prova a non colpirsi. Quando si ferisce, urla di dolore.

1974
Rhythm 0
Pratiche di autolesionismo. Resta ferma sei ore. Prima, sguardi curiosi. Poi, il pubblico la colpisce. I vestiti sono tagliati con lamette. La pelle è ferita.

1975
Lips of Thomas
Esplorare i limiti del corpo, fino all’autopunizione. Con un rasoio incide sulla pelle una stella a più punte. Un gesto che è tatuaggio e memoria mistica.

1983
Anima Mundi
Riscritture storicoartistiche.
Evidente il richiamo alla Pietà di Michelangelo. Sguardo al cielo, Marina sorregge il corpo del fotografo Ulay.


1988
The Lovers, 1988
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Il momento della sospensione. Un viaggio solitario lungo la Grande Muraglia. Per trasformare l’artista in una pellegrina in cerca di salvezza.


1990
Dragon Heads
Energie letali. Seduta su una poltrona rossa, è avvolta da cinque pitoni. Il corpo diviene “spazio” immobile, attraversato dai movimenti dei serpenti.

2010
The Artist is Present
Esercizi di silenzio. Per tre mesi resta seduta su una sedia del MoMA, senza dire una parola: i visitatori possono accomodarsi, in un dialogo muto