RITENGO CHE SIA DOVERE DI CHIUNQUE E A MAGGIOR RAGIONE DI NOI ITALIANI, FARE DI TUTTO PER PROMUOVERE, SALVAGUARDARE E DIVULGARE L'ARTE IN TUTTE LE SUE ESPRESSIONI.
UNA SOCIETA' DISTRATTA SUI FATTI DELL'ARTE E' UNA SOCIETA' VOTATA ALL'IMPOVERIMENTO... E NOI, DA QUESTO PUNTO DI VISTA, LO SIAMO GIA' ABBASTANZA!






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giovedì 29 dicembre 2011

Il grande bluff della curatela all’italiana di Micol Di Veroli

Ancora una significativa riflessione della brava Micol Di Veroli su GlobArtMagazine, autrice dell'ottimo volume -oltre ogni limite- del ho già parlato in occasione della sua uscita...



Nel sistema dell’arte contemporanea Made In Italy ed in particolar modo all’interno della scena curatoriale c’è qualcosa che non va, qualcosa che la sottoscritta non riesce proprio a digerire ma per meglio analizzare questo profondo stato di malessere bisogna initiare ab ovo. Durante la fine degli anni ’90 e sino al 2005 (circa), la pratica curatoriale nel nostro bel paese ha subito una brusca sterzata, trasformandosi in qualcosa di molto simile alla professione di P.R.

Alcuni curatori hanno mantenuto una visione per così dire critica, perseguendo un tradizionale percorso fatto di saggi, testi, esperienze sia domestiche che oltreconfine, fino al conseguimento degli strumenti  necessari per emergere, misurarsi e “fare sistema”. Altri invece, come si diceva, hanno preferito darsi alle pubbliche relazioni ed al management,  promuovendo artisti a iosa (con scelte discutibili) e promettendo mari e monti alle gallerie private per poi deluderle sistematicamente al mancato arrivo di collezionisti dotati di moneta sonante. Infine c’è chi ha scelto di ricavarsi una figura professionale starting from scratch, illudendo ed illudendosi sul fatto di poter assurgere al ruolo di consulente onnipotente/onnisciente, quando di fatto il nostro mercato era già ottenebrato da scelte operative del tutto inconcludenti. Nel corso del tempo questo scenario si è lentamente sgonfiato, lasciando posto ad un salutare caos. Il guaio è che lo step successivo di questo bailamme, invece di crear sfogo ad una nuova generazione curatoriale costruita su solide basi, è stato quello di mutare in un vero e proprio maelström dove è la chiacchiera a regnare sovrana. Critici e curatori che si autonominano tali, giovani che gonfiano le loro seppur impalpabili referenze, magazine d’arte che inventano l’inutile e l’inesistente per far piacere ai loro inserzionisti, lobby che pensano in grande ma agiscono in piccolo. Tutte queste figure tentano di accattivarsi i favori di chi è più in alto di loro ma chi è più in alto di loro cerca a sua volta di fare lo stesso.
Il vero dramma è rappresentato dal fatto che l’artista e la pratica creativa vengono sistematicamente evitate. La visione curatoriale, qualora esista ancora, è divenuta l’unica opera d’arte. Dovremmo forse fermarci un attimo e pensare a ciò che va cambiato, prima di aggiungere altra legna ad un fuoco ormai spento.

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