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giovedì 30 agosto 2012

Inizia il conto alla rovescia per la personale di Armodio a Palermo

Inizia il conto alla rovescia per la personale di Armodio a Palermo, "La dimora delle verità silenti", a Palazzo Reale 14 settembre – 5 ottobre 2012, curata dalla Dott.ssa Daniela Brignone e del Prof. Giovanni Faccenda.

Armodio


In anteprima ecco il testo, in catalogo (Editoriale Giorgio Mondadori), del Prof. Faccenda:

Prof. Giovanni Faccenda


La dimora delle verità silenti


«Tutto è sospeso come in un'attesa.
Non penso più. Sono contento e muto.
 Batte il mio cuore al ritmo del tuo passo
Camillo Sbarbaro, Io come un sonnambulo cammino


Dopo un affascinante tragitto durato almeno tre anni nel più impervio ed essenziale versante della metafisica, scandito da un ciclo di opere vertiginose e dagli apici difficilmente uguagliabili, Armodio pare ora tornare a una dimensione più narrativa, diresti persino confidenziale, della propria aristocratica opera pittorica.
Una maggiore eloquenza delle immagini germinate dalla sua fervida fantasia risalta infatti in questo frangente rispetto al diffuso ermetismo caratterizzante la stagione espressiva a questa immediatamente prossima: sono composizioni, quelle alle quali il maestro ha lavorato negli ultimi dodici mesi, pervase da una tale prodigiosa naturalezza che è facile cedere, per chiunque sappia guardarle – ergo vederle –, al consueto, irresistibile incanto.
È evidentemente tempo di riscoperte e di ritorni, l’attuale, per Armodio. Tra il farsi e il disfarsi di quella «sua» luce magica e peculiare, ove albergano innumerevoli fremiti immateriali e fascinazioni recondite, è dato fra l’altro di ritrovare antiche adesioni sentimentali: cose che non hanno mai conosciuto l’oblio nel sempre inedito – peraltro – e magistrale repertorio. Ora, però, come evocati nel loro aspetto meno tradizionale, i medesimi oggetti diventano deliziose presenze all’interno di luoghi che odorano di una nostalgica memoria, stanze pensate come un disadorno teatro nel quale si susseguono suggestivi accadimenti.
Armodio è l’ispirato regista che orchestra simili apparizioni: la maschera che occhieggia chissà cosa (Poco prima), dalla curiosa ubicazione nella quale si trova, ovvero una pentola di cui lei stessa ha appena sollevato il coperchio, induce a pensare l’avverarsi di qualche inatteso evento. Sia, dunque, una Prova di volo, il più improbabile dei matrimoni sancito con un subito precario o un Vulcano di stoffa, cucito in quattro punti, che libra nell’aria piccole gemme preziose, qualcosa, ogni volta, finisce per succedere in tali, intriganti copioni. Ma è davvero tutto ciò che sembra oppure è bene limitarsi a semplici supposizioni?
L’argomento, nei più avvertiti, suscita al solito marginale interesse. Più che godere della consapevolezza data dall’aver risolto l’enigma occultato nei vari soggetti, vorremmo invero maggiormente saperne - per quanto naturalmente ci sia concesso - delle mille alchimie compenetrate dentro una così sbalorditiva pittura, addentrarci fra i segreti dei grigi che partoriscono bagliori zenitali, perdersi nei ricercati impasti e nelle stesure della tempera prima che essa raggiunga quella lievissima densità destinata a rabbrividire perpetua. Perché non ha sbagliato chi, per Armodio, anni fa ritenne di spendere la celebre definizione data da Giorgio Vasari ad Andrea del Sarto: «il pittore senza errori». Non ve ne sono, neanche se li voleste cercare per tutta l’eternità, in queste - piccole per dimensione, ma immense per qualità - tavole dipinte.
Un elemento di continuità con il periodo creativo vissuto da questo virtuosissimo artefice nel precedente arco di tempo è comunque testimoniato dal mantenimento di alcuni moduli architettonici di sapore quattrocentesco che certo impreziosiscono la cospicua identità della sua opera. Richiami, a Cosmè Tura (L’offerta, Forse) e più apertamente a Piero della Francesca (rimarchevole la sagacia con la quale Armodio ha trasfigurato la scena de La Madonna del parto ne L’ospite inatteso), ove è dato di scorgere l’affermazione dei propri mirabili modelli e, insieme, un inestinguibile desiderio di appartenenza ai valori autentici della pittura.
E allora, magari nell’inconscio dell’autore, altro è il significato delle lacerazioni, dei tagli (La fetta, Come mai) e dei buchi (Natura morta) con i quali, in ambito recente, egli ha deciso di raffigurare eleganti tovaglie di lino sistemate con cura su ignoti piani d’appoggio, e così certi spilli o minuscoli fermagli che simboleggiano senz’altro gli assilli e qualche remota ancora nella vita, ma, per chi ben conosce la vocazione e la capacità astrattiva di Armodio, da ritenere piuttosto invitanti quanto sibillini pretesti del suo agire.
Indizi, labili, altrimenti disseminati da un pittore impareggiabile, in grado di offrirci, a ogni attesa occasione, la percezione limpida di una realtà psichica abitata da entità mutevoli e silenti: oracoli invisibili che lui soltanto sa dove incontrare le rarissime volte in cui un pertugio mentale dischiude la soglia della più attraente e misteriosa dimora metafisica.

Firenze, giugno 2012.
 
la  copertina del catalogo della Mostra
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