RITENGO CHE SIA DOVERE DI CHIUNQUE E A MAGGIOR RAGIONE DI NOI ITALIANI, FARE DI TUTTO PER PROMUOVERE, SALVAGUARDARE E DIVULGARE L'ARTE IN TUTTE LE SUE ESPRESSIONI.
UNA SOCIETA' DISTRATTA SUI FATTI DELL'ARTE E' UNA SOCIETA' VOTATA ALL'IMPOVERIMENTO... E NOI, DA QUESTO PUNTO DI VISTA, LO SIAMO GIA' ABBASTANZA!






Vota questo blog

Siti
Visualizzazione post con etichetta Giovanna Lacedra. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Giovanna Lacedra. Mostra tutti i post

martedì 9 maggio 2017

Giovanna Lacedra LASCIARSI CADERE a Monza

La nuova performance di Giovanna Lacedra

 

LASCIARSI CADERE
Una performance scritta e agita da Giovanna Lacedra con la partecipazione di Barbara Raccuglia
Giovedì 18 maggio ore 21

Villa contemporanea
via Bergamo 20, 20900 Monza

Nello sforzo di dimenticare, la memoria cementifica.
Invece di lasciare andare, trattiene.
La fatica di azzerare non è mai “azzeramento” portato a compimento.
Perché ciò che vogliamo recidere per illusione salvifica, ha in realtà scaturigine nel nostro cuore. È in noi che si radica profondamente.
E allora obbligarsi a dimenticare non è altro che una straziante mutilazione. È bendarsi, tapparsi le orecchie, stringere i pugni e serrare le labbra. È imporsi di non sentire.
Un atto violento verso noi stessi, prima di tutto. Qualcosa di antitetico alla più autentica liberazione.
Non si è liberi se non restando. E attraversando ciò che ci fa più paura.
Il vuoto, l’assenza, l’abbandono.
La memoria.
Non c’è fuga che possa salvarci dalla consistenza e dal peso di ciò che ci domanda di essere vissuto.
E affrontato. E poi lasciato andare, petalo dopo petalo, pagina dopo pagina.
Non si può realmente tornare ad essere liberi se non cedendo.
E guardando, annusando, ascoltando, toccando, sviscerando.
Lasciandosi cadere.
Fino a quando il veleno diverrà dolce.
E poi da dolce, diverrà minimo.
E poi da minimo, diverrà distante.
E da distante, diventerà quasi-niente.
È il quasi-niente che va accettato. Perché ogni solco è traccia del proprio vissuto. E quella traccia non deve svanire. Non va cancellata.
Scappare dal vuoto non porta in nessun dove, se non ancor più testardamente nel luogo dal quale vogliamo evadere.
Tutto ci appartiene e dunque in noi soltanto esiste la cura. Soltanto restare ci può liberare.
Il vero atto di coraggio è “starsi dentro”. Scivolarsi nel profondo. Cadere tra le proprie invisibili braccia.
Sentire il vuoto, sotto. Sentire la paura.
Eppure andare. Andare verso. In uno scoscendimento gravitazionale.
E sentire. Ogni cosa, totalmente. Il tumulto, il disagio, lo shock e lo stupore.
Perché qualunque sia la piaga, sarà sempre e soltanto nostra.
La solitudine ci terrorizza. Perché ci obbliga all’ascolto.
E il fragore di quel silenzio è poco confortevole.
Ma recidere è un atto frettoloso.
È un’amputazione. E tutto ciò che offre è la percezione di un arto fantasma.
I rami secchi non si tagliano. Sanno quando è tempo di cadere. E cadranno da soli.
Estirpare. Strappare. Tagliare. Nulla di tutto questo serve a lasciare andare.
Il solo modo per lasciare andare è lasciarsi cadere. Trattando il proprio dolore come fosse acqua. Una notte liquida. Una danza fluviale su cui galleggiano pagine e petali.
E respiri spezzati.
Ed il peso schiacciante di qualcosa che non si può spostare. Ma soltanto attraversare.
Inutile agire con violenza.
La sola cosa che si può fare è fluire.
La sola cosa che si può fare è lasciarsi cadere.

giovedì 8 settembre 2016

PARÀDEIGMA performance di GIOVANNA LACEDRA

Con piacere vi do notizia della performance inedita di Giovanna Lacedra PARÀDEIGMA a cura di Alessandra Redaelli.

 

Sabato 22 ottobre alle ore 18 presso la Galleria PUNTO SULL’ARTE a Varese (Casbeno), nel contesto della mostra DAIMON (in corso fino al 5 novembre, protagonisti Claudia Giraudo e Matthias Verginer), si svolgerà la perfomance PARÀDEIGMA di GIOVANNA LACEDRA. 

L’infanzia, il passato, gli incubi, ma anche i traumi irrisolti, la violenza di genere, i disturbi alimentari; Giovanna Lacedra non ha paura di toccare con il suo lavoro di pittrice e di performer i temi più difficili di quella che si potrebbe definire la femminile quotidianità. E di fare del proprio corpo un prezioso strumento al servizio dell’arte.
Una delle prime performance con cui si è fatta conoscere, Io sottraggo, affrontava senza sconti il dramma durissimo dell’anoressia. Esile fino alla trasparenza, fino all’annullamento, lei incantava il pubblico costringendolo a fissare lo sguardo su un male dell’anima che non è circoscritto e lontano, ma al contrario subdolamente radicato nella società contemporanea. La poesia struggente di Sylvia Plath è al centro di potenti lavori installativi e di una performance sull’amore malato, L’aspirante, dove l’artista, sposa dal volto tumefatto, lavando coltelli insanguinati ascolta le parole dell’uomo, dure come schiaffi. E ancora Non sono mai stata una bambina, ricostruzione incantata e tragica di un’infanzia rubata.
Temi insidiosi, sempre gestiti da Giovanna Lacedra con impeccabile grazia. Come accade nella nuova performance PARÀDEIGMA, dove due voliere – simbolo delle gabbie in cui sigilliamo le nostre vocazioni più autentiche – si spalancano davanti agli occhi dello spettatore, e dove lui è invitato a cercare tra le foglie la parola emblematica del proprio destino, la chiave della propria realizzazione, mentre l’artista, sacerdotessa e fata, muovendosi leggera sulle note del violino ci aiuta a riaccendere dentro di noi quella fiamma che non dovrebbe spegnersi mai.

GIOVANNA LACEDRA: Venosa (PZ), 1977. Ha conseguito il diploma di laurea in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze (2000) e l’abilitazione all’insegnamento di Storia dell’Arte e Disegno presso l’Università di Pisa (2004). È artista visiva, performer, autrice e docente di storia dell’arte e disegno presso un Liceo Scientifico Statale. Scrive per Wall Street International Magazine, sezione Arte e cura un proprio Blog, titolato Ellepourart e dedicato esclusivamente all'arte e alla poesia fatte dalle donne. Vive e lavora a Milano.

mercoledì 22 giugno 2016

EMOTIONAL REVOLUTION [Le mani in pasta al cuore] Una performance di e con Giovanna Lacedra

Una cosa è certa:
Giovanna non teme il confronto e lo dimostra mettendosi in gioco ogni volta!

 

EMOTIONAL REVOLUTION [Le mani in pasta al cuore]
Una performance di e con
Giovanna Lacedra

Al Festival “LA VOCE DEL CORPO” IV Edizione

Sabato 25 giugno ore 21.00
Spazio Opera Fabrizio De Andrè
Via Giacomo Matteotti
Osnago (Lecco)
Ingresso libero
Info:
info.lavocedelcorpo@gmail.com

Emotional Revolution è un’azione di delicato ribaltamento.
Da vuoto a pieno. Da resa a rinascita.
Da rabbia a tregua. Da fame a pane.
È l’azione di un lento germogliare.
Una richiesta di requie che l’anima fa a se stessa.
Del resto la vita può ripartire – e riparte – quasi sempre da ciò che resta:
da una desolazione che può mutare in pienezza.

Prendere consapevolezza. Di ciò che è stato. Di ciò che manca.
Adagiarsi persino nella resistenza ad abbandonare quel vuoto.
Ma poi, risollevarsi.
Ed essere Rivoluzione.

Voglio nutrirmi di un nuovo inizio.
Invece di affamarmi ancora, rallento.
Faccio un passo indietro. Poi uno in avanti.
Cerco la tregua.
Osservo l’impronta di una mancanza, domanda sterrata da mani bambine.
Appare indelebile. Ma laddove qualcosa manca, qualcosa di nuovo fiorisce.
Guardo le briciole appese.
Ne afferro ancora una e la infilo sotto il palato.
Per dimenticare bisogna rievocare. Un’ultima volta.
Sento il sapore della memoria.
Le briciole non possono bastarmi più.
Un’ultima volta, ancora, accarezzo il vuoto.
E poi.
Le dita si sporcano di desiderio.
E le mani, piano, impastano speranza.

Avviene sempre una rivoluzione bianca quando, dopo un’atroce battaglia, macerie ricordano che ancora può esserci vita. Lentamente abbandoni il vuoto per creare, da sola, quel nutrimento che ti è stato negato.
Là, dove l’aratro di mani nervose ha preso il niente.
Là, dove si annidano impronte dell’assenza, ogni ferita non è vuoto, ma varco sulla luce.

Non fingerò ancora pane alla mia fame.
L’impronta mnemonica è sotto le dita e dentro agli occhi.
La sento vivere come un rumore.
Ma le dita in pasta al cuore sono la mia rivoluzione.
Si rimpolpa la vita con un gesto materno e lieve.
Questo è il mio cortocircuito.
Un inedito sogno di pace.
Un ribaltamento.
Le mani fanno. Le mani sanno.
In una lotta senz’armi, senza artigli, senza piaghe.
Una Rivoluzione Emozionale che in luogo a ciò che rimane ricrea il nutrimento primario.
Dalle briciole alla sostanza.
Dall’assenza a me stessa.

(Gio Lacedra)

Giovanna Lacedra: Nasce a Venosa (PZ) nel 1977. Studia presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, si specializza come docente di storia dell’arte e disegno. Attualmente vive a Milano, dove lavora come docente, artista visiva e autrice. La sua ricerca in ambito performativo è incentrata su tematiche delicate come: anoressia, abuso all’infanzia, prevaricazione di genere, corpo somatizzante. Tra le sue performances: “Io sottraggo. La triangolazione cibo-corpo-peso”; “L’aspirante” con Roberto Milani; “Nonsonomaistataunabambina” con Massimo Festi; “EDGE | Ultimo Ritr-Atto”; “Come il mare in un bicchiere”. Nel 2015 ha partecipato a: V edizione di “Corpo | festival delle arti performative” di Pescara; V edizione della “Biennale di Anzio e Nettuno; Performance “Io sottraggo” a Venezia in concomitanza con l’inaugurazione della Biennale. In ambito grafico e pittorico è sempre la condizione umana ad essere indagata. Il ritratto come traccia lirica, sindone, memoria. Tra le ultime esposizioni: “Femminile Plurale” – novembre 2014, a cura di Alessandra Redaelli presso Galleria Biffi Arte di Piacenza; “La neve non ha voce” – marzo 2015 presso il Chiostro di Voltorre a cura di Alessandra Redaelli, "L’uovo e la Croce” ai Magazzini Criminali di Sassuolo. Per l’XI giornata del Contemporaneo indetta da AMACI ha realizzato la performance “EDGE | Ultimo Ritr-Atto” presso la MAG Gallery di Como.

martedì 10 maggio 2016

Anche Giò Lacedra a ART ACTION 13th International Performance Art Festival



ART ACTION
13th International Performance Art Festival
Performance e Poetiche Interdisciplinari

Un festival organizzato dall'Associazione Harta Performing, da ormai tredici edizioni, con la direzione artistica di Nicola frangione, Roberto Rossini e Giovanni Fontana.
Con il Patrocinio del Comune di Monza e Assessorato alle Politiche Culturali, dei Musei Civici e della Fondazione Monza e Brianza Onlus,

Per questa edizione il Festival si svolgerà il 13 e 14 maggio, sa partire dalle ore 20.45, con 5 performance per serata.

Giovanna Lacedra aprirà la seconda serata, quella di
Sabato 14 maggio alle ore 20,45 con la performance
"FEELING-CAGE | CATTIVITA' DI UN IO MINIMIZZATO"

"Cosa ti rende meno di quello che sei?
Cosa ti blinda o chi ti ingabbia?
Dove sono le chiavi per liberarti da questa cattività?
Ricordi ancora chi eri, quale volto avevi o chi saresti potuto essere se soltanto non fossi finito in questa prigione? Se non fossi tu stesso diventato il nodo che ti stringe, la rabbia che ti ingabbia, il sentimento-limite che attanaglia la possibilità di essere totalmente nella tua vita?
C'è stato un giorno in cui hai detto di sì.
Un giorno in cui ti sei arreso. Un giorno in cui hai perso il tuo coraggio.
E' stato quello il giorno in cui ti sei lasciato catturare.
La cattura è qualcosa di dolce, che non consideriamo di subire.
E solo quando ci accorgiamo di osservare il mondo da un luogo lontano comprendiamo di aver scelto una trappola.
Una creatura addestrata a farsi bastare quel che le viene offerto
si convince di stare comoda anche in uno spazio considerevolmente ristretto.
Le gabbie sono anguste, piccole e scomode.
Ma pur di starci dentro ci si annoda, ci si raccoglie, si rimpicciolisce.
Si smarrisce, giorno dopo giorno, la propria identità.
E questo perché si ha fame, una fame atavica.
Si è belve estenuate in cerca di nutrimento.
E quando lo si trova si vive nel terrore di perderlo.
L’adattamento deriva da questo terrore.
Il terrore del vuoto assoluto in luogo di quel poco che si è trovato.
Meglio quel poco che il nulla.
Meglio farsi piccoli, lasciarsi minimizzare e stare nello spazio che l’altro ci concede, o che noi stessi ci concediamo,
piuttosto che tornare in uno stato di totale disorientamento.
Ma se ti chiedi dove sei... adesso sai risponderti?
Se ti chiedi chi sei... sai rispondere anche a questo?
Domandati davvero qual è la tua gabbia e immagina le chiavi utili ad aprirla."

[Feeling-Cage | Giovanna Lacedra]

Live Performance
Sabato 14 maggio ore 20.45
Musei Civici - Casa degli Umiliati - Via Teodolinda 4 - MONZA

lunedì 11 aprile 2016

FEELING-CAGE | Cattività di un Io minimizzato. Performance di Gio Lacedra per la rassegna Follow The Banana

"Ci sono sguardi che somigliano a crimini. Sguardi in cui accade di tutto..."
FEELING-CAGE | Cattività di un Io minimizzato.
Performance di Gio Lacedra su live soundscape dei Dolpo.
PARMA _ venerdi 15 aprile ore 22.00
Borgo Tommasini 37.
AlphaCentauri - Palazzo Pallavicino.
Per la rassegna Follow The Banana.



Follow the Banana



Follow the Banana è una manifestazione indipendente che a partire dal 9 aprile coinvolgerà un ensemble di artisti, musicisti e addetti al settore culturale, proponendo mostre ed esibizioni, in costante divenire, diffuse per il centro della città ducale ad
ingresso libero e gratuito.

Il tema ricorrente, nonché l'immagine simbolo, da cui prende nome l'intero progetto è quello della banana: l'ispirazione sorge dall'iniziativa, nata a Berlino nel 1986 da parte del writer Thomas Baumgärtel (a.k.a. Bananensprayer), di esibire il frutto all'esterno di negozi, garage, abitazioni e gallerie per segnalare la presenza di una esposizione degna di nota
all'interno del locale.  
 
Alpha Centauri, Borgo Giacomo Tommasini, 37, Parma

evento fb

giovedì 10 marzo 2016

Al C.R.A. arriva Giovanna Lacedra con "L'Aspirante"


Sabato 2 aprile, alle ore 18'00, il C.R.A. Centro Raccolta Arte (Ex torre degli stipendiari - via Conti, San Miniato), ospiterà l'artista Giovanna Lacedra, che proporrà a tutti gli intervenuti la sua performance liberamente tratta dalla poesia "L'Aspirante" dell'autrice americana Sylvia Plath.

Un evento eccezionale per l'Associazione di cui con orgoglio ricopro la carica di Presidente,  e che invita tutti sin da ora a segnare sulla propria agenda questo appuntamento... 

Ingresso libero
info centroraccoltaarte@libero.it 

----------------

L’ASPIRANTE





Un progetto di Giovanna Lacedra


Performers: Giovanna Lacedra e Roberto Milani








“Io sono legata a te indipendentemente dalla mia volontà, anche se


quando ho promesso a me stessa di vivere per te non sapevo


 che sarei stata ferita, ferita, ferita per l’eternità…”





[Sylvia Plath – DIARI – 6 marzo 1956]





Cosa accade se il cuore di porcellana che racchiude un amore perfetto, all’improvviso si frantuma?


Qualche volta sono grida. Altre volte è silenzio.


Perché nessuno. Nessuno deve sapere.
Si tace nella gioia. Si tace nel dolore. Si tace il dolore di non aver mai vissuto.





Alle privatissime pagine dei suoi Diari”, Sylvia Plath – poetessa americana del filone Confessional – confidava il timore di cadere nella trappola di una unione matrimoniale che, attraverso l’adempimento passivo ad un ruolo servile, avrebbe potuto costarle il caro prezzo delle proprie velleità, della propria identità e della propria dignità.


 “L’ASPIRANTE” Performance nasce da una riflessione sulla prevaricazione di genere – psicologica, intellettuale, economica, sessuale, fisica  – usata sulle donne e subita da queste ultime, a tutt’oggi, in fragilissimo silenzio. È frutto di una reinterpretazione in chiave contemporanea della omonima poesia, scritta dalla Plath nell’autunno del 1962, subito dopo il fallimento del suo matrimonio con il poeta Ted Hughes. Sylvia lo adorava ma si sentiva in qualche modo a lui inferiore. Senza Ted non riusciva a vivere, lo amava follemente e ne era soggiogata. Lui infedele, lei profondamente gelosa. Non sapeva separarsene, eppure sentiva che la sua dedizione e il successo di lui la bloccavano nella sua attività di scrittrice: non riusciva a creare, strappava, appallottolava pagine e annullava idee. Mentre lui creava e pubblicava, lei rallentava. Invece di dedicarsi alla scrittura si occupava della casa, dei bambini, di fare dolci, pulire la cucina, riordinare la casa, portargli la posta, battere a macchina i suoi versi, iscriverlo a concorsi di poesia. Lo aiutava a brillare, spegnendo se stessa ogni giorno di più. Poi lui la lasciò. E fu buio. Fu silenzio. Fu tagliente poesia.


Quel blocco creativo e quella perdita di identità che l'avevano asserragliata e indotta ad una sorta di apnea depressiva, si tramutarono, in seguito alla separazione, in un getto inaspettato di versi e liriche. Quasi come se l’abbandono fosse stato una sorta di emancipazione. Quell'autunno, infatti Sylvia partorì la sua più celebre raccolta di poesie, “Ariel”, di cui L’Aspirante fa parte. "Sono una scrittrice geniale, ora lo so. Me lo sento, sto scrivendo le poesie più belle di tutta la mia vita, mi renderanno famosa...", scrisse a sua madre il 16 ottobre 1962. Sentiva di essersi liberata da una violenza molto più sottile e affilata delle percosse. Una violenza intima, psicologica, emotiva e incessante. Quella di una quotidianità fatta di parole smarrite o acuminate. E in cui viveva una condizione di passiva sudditanza. Nonostante questo, l'11 febbraio 1963 Sylvia Plath si suicidò. Aveva appena trentun anni.


I versi della poesia da cui prende il nome questa performance raccontano di una donna funzionale all'uomo, una donna manichino, una donna comoda, che sa fare ciò che serve, che ha i requisiti per essere in quel ruolo che Sylvia aveva sempre temuto e del quale alla fine era diventata prigioniera. L'aspirante è una donna schiava di un sogno infranto, una donna tutta devota all'uomo, a lui funzionale, da lui dipendente, incastonata in un ruolo di sudditanza che la rende servile, nullificandola in pieno.


Nessuna donna deve dipendere da un uomo. Mai.



L’aspirante
Prima di tutto ce li hai i requisiti?
Ce l’hai?
Un occhio di vetro, denti finti o una gruccia.
Un tirante o un uncino,
Seni di gomma, inguine di gomma,

Rattoppi o qualcosa che manca? Ah
No? E allora che mai possiamo darti?
Smetti di piangere
Apri la mano.
Vuota? Vuota. Ma ecco una mano

Che la riempie, disposta
A porgere tazze di tè e sgominare emicranie,
E a fare ogni cosa che gli dirai,
La vorresti sposare?
E’ garantita,

Ti tapperà gli occhi alla fine della vita
E del dolore,
Con quel sale ci rinnoviamo le scorte.
Vedo che sei nuda come un verme –

Un po’ rigido e nero, ma niente male,
Lo vorresti sposare?

E’ impensabile, in frantumabile, abile
Contro il fuoco e imbombardabile
Credi a me, ti ci farai sotterrare.

E adesso, scusa, hai vuota la testa
Ho la cosa che fa per te.
Su, su, carina, esci fuori dal guscio.
Ecco, ti piace questa?
Nuda per cominciare come una pagina bianca.

Ma in venticinque anni d’argento,
D’oro in cinquanta, potrà diventare,
Una bambola viva, sotto ogni aspetto.
Sa cucire, sa cucinare,
Sa parlare, parlare, parlare.

E funziona, non ha una magagna,
Qua c’è un buco, che è una manna.
Qua un occhio, una vera visione.
Ragazzo mio, è l’ultima occasione.
La vorresti sposare, sposare, sposare?

Sylvia Plath 

martedì 8 marzo 2016

IMPRINT per Studi Festival

Rieccomi a parlare di Studi Festival Milano...
E questa volta a proposito di un progetto che vede fra gli altri l'amica Giovanna Lacedra che a breve sarà ospite al C.R.A. a San Miniato...




Il titolo Imprint vuole suggerire un significato proposto dall'artista francese Yves Klein che proponeva L'impronta della sentimentalità dell'uomo, quell'impronta che segna l'esistenza dell'uomo e della società in cui vive. Le tracce e gli stati-momenti che possono segnare intera esistenza dell'uomo che essendo connesso con intero l'universo va ad avere un effetto cosmico.

L'opera d'arte non è altro che la traccia della comunicazione dell'artista con il mondo come dice Yves Klein “I miei dipinti non sono altro che il cenere del mio arte”

Attualizzando questa concezione dello stato dell'arte suggeriamo di creare opere che vanno a indicare questi stati sensibili dell'artista in contatto con il mondo che vuole in qualche modo connettere l'uomo con l'indefinibile.

Allora solo con questo modo di concepire il mondo sensibile è che anche ad esempio il silenzio può diventare una traccia e segnare in profondità e avere un impatto immediato nell'uomo e creare una impronta.

IMPRINT
presso
Con-Temporary Art Circle | Studio di Saba Najafi
Dal 15 al 19 marzo 2016, per Studi Festival – il Festival degli Studi d’artista milanesi, lo Studio di Saba Najafi artista iraniana classe 1979, si apre al pubblico per una rassegna collettiva d’impronta femminile con opere di pittura, grafica, video e performance.

In mostra: 

Sevil Amini
Mandra Stella Cerrone
Loredana Galante
Giò Lacedra
Saba Najafi
Angela Trapani
Guido Nosari

Con-Temporary Art Circle | Studio di Saba Najafi
Via Ruggiero Di Lauria n. 15 – Milano
Info: 3271767707 | 02 39443696
Appuntamenti dal 15 al 19 marzo 2016:
15-18 marzo dalle ore 14.00 alle ore 17.00 .
16 marzo doppio appuntamento con doppia sede,
presso LAB7 di Angela Trapani - via Stilicone n. 21

FOCUS: Sabato 19 marzo dalle ore 18.00 alle ore 21.00
E sempre sabato 19 alle ore 19.00 la nuova Performance di Giovanna Lacedra:
EMOTIONAL REVOLUTION [LE MANI IN PASTA AL CUORE]

martedì 1 marzo 2016

"QUESTO è IL MIO CORPO" Incontro con gli artisti GIOVANNA LACEDRA e NICOLA FORNONI a cura di Mona Lisa Tina e Stefano Ferrari



VENERDI 4 MARZO ALLE ore 16.00 
Università degli Studi di Bologna 
presso l'Aula 6 del Dipartimento delle Arti, Complesso di Santa Cristina, 
Piazzetta Morandi 2, BOLOGNA

"QUESTO è IL MIO CORPO"

Incontro con gli artisti 
GIOVANNA LACEDRA e NICOLA FORNONI  
che presenteranno il proprio percorso artistico-performativo
agli studenti e al pubblico che vorrà liberamente partecipare.
Ingresso gratuito.

 L'appuntamento è all'interno del QUARTO CICLO DEGLI INCONTRI SUL CONTEMPORANEO organizzati e curati da Mona Lisa Tina e Stefano Ferrari
in collaborazione con PsicoArt e il Gruppo di Psicologia e Arte Contemporanea della
International Association for Art and Psychology - Sezione di Bologna.


QUESTO E’ IL MIO CORPO: L’ESTETICA DEL DONO NELL’AZIONE PERFORMATIVA.

“Prendete, questo è il mio corpo”

Giovanna Lacedra (Venosa [PZ], 1977) e Nicola Fornoni (Brescia, 1990) sono due artisti visivi che hanno scelto il corpo come strumento e linguaggio, come mezzo espressivo e narrazione. Il corpo come voce, capace di veicolare più messaggi attraverso l’azione comportamentale e la performance. Per entrambi l’azione performativa – seppur studiata, progettata, organizzata, pianificata e provata – è sempre esperienza autentica. Secondo Giovanna Lacedra la performance non è mai finzione, è  piuttosto un momento di verità donata attraverso l’azione. Similmente, Nicola Fornoni  considera la performance come un evento della vita; un minuto, un secondo, un attimo che può essere la vita stessa. Partendo da questa comune visione, il corpo non può che essere sentito, vissuto, donato come vero e reale, nella carne e nelle emozioni. Durante un’azione il corpo è tutto ciò che l’artista è ed è tutto ciò che l’artista ha da offrire. L’azione è quindi il solo modo che l’artista ha per donarsi all’altro, mettersi in relazione con l’altro, arrivare all’altro, ed infine, diventare “l’altro”. Un corpo che entra in connessione, che diventa corpo del fruitore, quando questo è empatico. Un corpo che diventa innumerevoli corpi dal momento che esplicita, denuncia, confessa questioni che, pur avendo una radice autobiografica, riguardano la collettività. Il vissuto personale viene esposto e universalizzato. Diventa anche esperienza dell’altro. Il corpo agisce spogliando una verità dal silenzio in cui era relegata. Si offre come materia di quella verità.
“Questo è il mio corpo” è certo una nota frase liturgica. Nel Vangelo secondo Matteo, Cristo la pronuncia mentre spezza il pane per “offrirlo”. E quel pane allora non è più semplice cibo: è dono, sacrificio, è offerta di sé. “Prendete, questo è il mio corpo”. Prendetemi. Prendete la parte di me che vi offro. Il corpo che sacrifico per voi. Ma “questo è il mio corpo” può anche essere un’affermazione di sé. L’attestazione della propria presenza, della propria consistenza, della possibilità di essere e di esserci nel modo in cui si è, nella carne di cui si è fatti, nell’apparenza che ci rende visibili, nella sostanza che ci restituisce all’altro come toccabili e appetibili. Nella forma, appunto, in cui si sta. Ti mostro il mio corpo, per mezzo di lui ti racconto chi sono. Per mezzo di lui riceverai un po’ di me e scoprirai un po’ di te. Come un testo, espongo il mio corpo e il suo agire perché tu possa comprendere e scoprire ciò che ti attraversa, mediante ciò che ha attraversato me. Perché il corpo è un bicchiere che contiene il mare. E lo confina per poi poterlo, goccia a goccia, elargire.

Giovanna Lacedra, partita da una formazione artistica accademica, grafica e pittorica,  ha iniziato ad usare il corpo come linguaggio nel 2011, partecipando a progetti performativi di altri artisti, fino al giorno in cui ha considerato la propria personale esperienza come serbatoio al quale attingere. L’autobiografismo si è fatto partenza di un percorso intimo, spirituale e artistico. Ma anche tattile e corporeo, dal momento che da un corpo – il suo – che aveva per anni martirizzato, è poi ripartita, per creare. Perché alla fine di ogni storia, è nella ferita che si va a cercare la vita più profondamente, per trasformare in risorsa ciò che ci aveva nientificati. Il corpo risorge e dimostra di essere “questo corpo” ovvero “questa vita”. È cosi che nasce Io Sottraggo, la prima performance ideata, scritta e portata in scena da Giovanna Lacedra in musei, gallerie d’arte, fiere e spazi espositivi per ben 14 tappe sino a giugno 2015. Una performance-confessional completamente autobiografica sulla patologia anoressico-bulimica, sull’ossessività autistica che inquina e nullifica la vita, l’anima, le relazioni di chi ne è vittima, portando il corpo all’autoannientamento, ad un’invisibilità che in troppi casi porta alla morte. E tutto questo per gridare e presentificare il vuoto che ci divora da dentro. “Questo è il mio corpo” sibila l’artista all’orecchio di ogni visitatore, quando gli si avvicina con una forma di pane sbrandellata e scavata. Quella forma di pane rotta, svuotata della sua mollica, è ciò che resta di una feroce crisi bulimica inscenata pochi minuti prima durante la performance. Perché il corpo di un’anoressica-bulimica è il risultato di una devastazione, ed è spaccato, svuotato, lacerato, esattamente come il pane che divora e poi rifiuta. Il pane è il corpo dell’anoressica-bulimica affamato d’amore ma sbranato dalla sua stessa fame. E allora prendete, prendete e mangiatene tutti. Prendete e mangiatemi tutti. Questo è il mio corpo: ciò che resta di me. Io Sottraggo è una performance completamente autobiografica, in cui uno specchio, una bilancia (la vera bilancia sulla quale l’artista ha per lunghissimo tempo pesato il valore della propria vita) le foto del suo corpo nudo nel periodo più grave dell’anoressia e le 100 pagine dei suoi diari personali, costituiscono l’istallazione-scenario in cui avviene l’azione, per una durata di circa 30 minuti. Giovanna Lacedra ha usato il proprio corpo, esposto in carne viva e nuda verità, per narrare di una patologia che l’ha personalmente riguardata, ma anche per presentificare una fame più grande e che non attanaglia soltanto chi cade nella trappola dei disturbi alimentari. La fame d’amore, di contatto, di autentica accettazione di sé e dell’altro è infatti il fil rouge che lega tutti i suoi progetti performativi, dall’Aspirante, in cui il corpo presentifica l’alienazione dettata da una sudditanza in luogo di una relazione amorosa, a Come il mare in un bicchiere in cui il corpo somatizzante è la gabbia stessa di un’anima incapace di fluire verso la vita.

Nicola Fornoni parte dal presupposto che ciò che siamo dipenda dal rapporto che instauriamo con noi stessi e con l’altro. Da tre anni lavora in ambito performativo e visivo e durante questo periodo ha vissuto una forte evoluzione nella percezione di sé e del proprio corpo, sia da un punto di vista concettuale che estetico, esperendo una sorta di  trasformazione da bozzolo in farfalla. Non a caso la sua prima performance si intitolava “Rinascita”. Rinascere per Nicola è un passaggio fondamentale della sua evoluzione spirituale e umana. La sua particolare condizione lo ha più volte portato a rasentare la morte per cause diverse. Ha dovuto sentire il proprio corpo in maniera particolarmente intensa. E certamente, dopo il frangente più nero e spaventoso, le ceneri hanno visto riaffiorare una fenice. “Questo è il mio corpo”  è allora la dichiarazione di un corpo che vuole ri-manifestarsi e rinascere, anche allo sguardo dell’altro. Non è quindi casuale l'introduzione, nelle azioni performative, di materiale ospedaliero, test clinici, sostanze organiche. Ad esempio, in Aritmia la variazione dei battiti cardiaci viene vissuta come variazione all'interno di una composizione e segnalata dal monitoraggio di elettrocardiogrammi. La macchina legge ciò che il corpo dice, ma può decifrarne le emozioni?
 Tutti questi elementi introdotti vanno, però, letti ad un altro livello: sono metafore che vogliono ricondurre il fruitore a vibrazioni spirituali, più intime. Nicola è consapevole del fatto che il suo corpo ha un'estetica piuttosto definita. Visivamente, questa estetica potrebbe essere riconducibile all’idea di stigma. È un’estetica che rischia di essere stimmatizzata. E per questa ragione, nelle sue azioni c'è sempre la volontà di ricerca di un perfetto equilibrio tra diversità e bellezza, particolarità e dolcezza, durezza e delicatezza. Le tematiche del desiderio, del bisogno, della necessità di godimento si intrecciano con quelle della sofferenza, del dolore, del limite e della barriera. Il nostro corpo è sacrificio per l'altro e per noi stessi. “Questo è il mio corpo” , ovvero, tutto ciò che posso donarti. Questo corpo è tutto me stesso. È portatore del mio vissuto ingombrante. E lo offro con sacrificio e passione. Nicola utilizza anche il sangue nelle sue performance. Ma il suo utilizzo non è sempre ricondotto alla sofferenza, così come gli aghi, che non sono da lui concepiti come strumenti masochistici bensì come simboli di un passaggio – trasfusione – tra esterno ed interno o interno ed esterno. Nella performance In vino veritas, ad esempio, un prelievo di sangue fatto a Nicola e alla sua partner sancisce un legame indissolubile nel tempo, un dono vitale. Il passato non si dimentica. Rimane ci turba, ci segna, ci schiaccia. Eppure l’arte – e il corpo nell’arte – è li per raccontarlo e sublimarlo
Sia Giovanna Lacedra che Nicola Fornoni, partono dal proprio corpo e dal proprio vissuto per giungere ad elaborare le azioni performative che portano in scena. Le tracce mnemoniche incise nella carne sono il solo percorso da seguire per arrivare all’altro e parimenti a se stessi.

Testo di Giovanna Lacedra e Nicola Fornoni


lunedì 15 febbraio 2016

4° edizione del progetto CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE del CORRIERE DELLA SERA: One Billion Rising 2016 " IL CUORE CALDO DELL'ARTE CONTRO LA VIOLENZA"

 
 
Giovanna Lacedra fa parte degli artisti della 4° edizione del progetto CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE del CORRIERE DELLA SERA: 
One Billion Rising 2016 " IL CUORE CALDO DELL'ARTE CONTRO LA VIOLENZA". 

La 27esimaora con la voce di Roberta Scorranese ha contribuito all'iniziativa. 
Nella galleria di opere a tema, il video della sua performance "L'ASPIRANTE" ispirata all'omonima poesia di Sylvia Plath, con la partecipazione performativa del sottoscritto. Un ringraziamento ad Antonio Delluzio, per questa iniziativa del Corriere e per aver realizzato nel settembre 2013, questo video!

L'aspirante è una donna tutta devota all'uomo, a lui funzionale, da lui dipendente, incastonata in un ruolo di sudditanza che la rende servile, nullificandola in pieno. Anche questa è prevaricazione di genere. E accade.
Nessuna donna deve dipendere da un uomo.
Mai

Grazie Gio!

sabato 6 febbraio 2016

UMBRA ET IMAGO | Roberto Messina e Giovanna Lacedra

-->


UMBRA ET IMAGO | Roberto Messina e Giovanna Lacedra





Sabato 27 febbraio 2016 presso  lo spazio espositivo InStudio di Brescia,

inaugurerà la mostra personale di Roberto Messina, artista la cui ricerca  pittorica ha un sapore misterioso e di raffinata indagine psicologica. Scenari notturni, intimi, desolati. Luoghi del silenzio e della rivelazione in cui presenze aleggiano come memorie tangibili e consistenti. Apparizioni di verità. I suoi corpi scarni, approssimativi e poco colorati, affiorano da superfici buie, lontane da possibili chiarificazioni di luogo e identità, seppur tangibili. In ogni caso, non è mai possibile avere una certa e definitiva analisi dell’accadimento, proprio perché i suoi sono corpi-metafora, ombre ed immagini appunto. E le loro gesta si svolgono in una sorta di palcoscenico sociale.


Durante la serata del vernissage, Giovanna Lacedra, performer e artista visiva, realizzerà la performance  “NONSONOMAISTATAUNABAMBINA” – curata nelle due precedenti tappe da Alessandra Redaelli –  in una nuova versione rivisitata e questa volta in “assolo . Un’azione sul tema dell’infanzia abusata e male amata, liberamente ispirata alla lettura dei “Quaderni delle Bambine” di Maria Rita Parsi. Una creatura che pare provenire da uno dei Kinder Garden dipinto da Messina, raccoglie e dona tracce, dalle orme del trauma, alla rinascita..



Vernissage e Live Performance:

Sabato 27 febbraio 2016 -  ore 18:00

Luogo: InStudio

Via Calatafimi 20/c

25122 Brescia



La mostra sarà visitabile sino al 19 marzo su appuntamento.


Info-press

venerdì 23 ottobre 2015

TREDICIDICIOTTO dal 1.XI.2015 al 29.XI.2015

Tanti amici in questa bella collettiva!





TREDICIDICIOTTO

Dal 1.XI.2015 al 29.XI.2015
La Casa di Schiele, Benevento
a Casa di Schiele, associazione culturale di Sara Cancellieri e Igor Verrilli, festeggia il secondo anno di attività con la nuova edizione di Tredicidiciotto. La collettiva, a cura di Mario Francesco Simeone, sarà inaugurata domenica 1 novembre, alle ore 18.00, nella sede di via San Gaetano 16, a Benevento, e sarà visitabile fino al 29 novembre 2015.

LAlla collettiva parteciperanno Giovanni Alfano, Veridiana Altieri Cebotari, Elisa Anfuso, Gianmarco Biele, Giuseppe Bombaci, Antonio Calabrese, Loredana Catania, Mary Cinque, Fabio Della Ratta, Luca Di Bernardo, Stefano Di Stasio, Paolo Dongu, Alessandra Donnarumma, Flaviano Esposito, Stefania Fabrizi, Moira Franco, Illen Aria, Giovanna Lacedra, Selena Leardini, Andrea lelario, Ugo Levita, Federico Lombardo, Ilaria Margutti, Constantin Migliorini, Italo Mustone, Francesco Paolicchi, Daria Petrilli, Eliana Petrizzi, Alfredo Pini, Carlo Alberto Rastelli, Mariarita Renatti, Roxy in the box, Lena Savic, Adrian Setterfield, Ninì Sgambati, Angela Smyth, Alan Stefanato, Silvia Trappa, Marie Van Praag, Igor Verrilli, Helena Wadsley.

Per Tredicidiciotto, artisti italiani e stranieri sono stati invitati a lasciarsi ispirare dal piccolo formato, 13 x 18 cm, la misura della stampa fotografica tradizionale e della cartolina per la corrispondenza. Assecondando l’inclinazione della Casa di Schiele a proporsi come luogo di confronto tra conoscenze, la mostra, libera per tecnica e stile, sarà scandita da linguaggi eterogenei per contesti, generazioni e ispirazioni. Una sequenza visiva, ritmicamente diffusa sulle pareti, articolerà momenti di confronto, tra tradizione e sperimentazione, richiami e resistenze, giocati entro i limiti della cornice. Il supporto diventa un dispositivo di indagare nelle sue più recondite possibilità narrative, un codice da svelare. Così, la misura racchiude lo spazio sia fisico che ideale dell’opera, configurando un contesto di interdipendenza, l’ambito di un dialogo aperto tra artisti distanti per ricerche ed esiti ma accomunati dalla condivisione di un segno minimale.
Dal testo critico:
Lo spazio del supporto impone un taglio visivo e concettuale all’immagine. I cicli che decorano le cattedrali raccontano una storia imponente e dai contorni ben definiti, entro i quali l’atto dell’interpretazione è annullato in favore di una visione statica, dettata da un’autorità totalizzante. Al contrario, la rappresentazione estesa su una superficie estremamente concentrata, ha le forme di un processo costante, perché crea un moto percettivo perpetuo tra apertura e chiusura. Infatti, le informazioni veicolate dalla superficie minima, suscitano, con naturalezza e discrezione, la curiosità del fruitore che è chiamato ad agire nella profondità dell’immagine, oltre ciò che si vede, per completarne il senso.”

lunedì 5 ottobre 2015

EDGE | Ultimo Ritr-Atto Dall’ultima poesia di Sylvia Plath una performance scritta ed interpretata da Giovanna Lacedra

L'amica Giovanna Lacedra, alla MAG di Como... da non perdere!

 


 
La Galleria MAG presenta:

 

ARTE PERFORMATIVA
PER LA GIORNATA DEL CONTEMPORANEO

Dopo il successo delle passate edizioni, anche quest’anno la Galleria MAG partecipa alla Giornata del Contemporaneo, organizzata da AMACI, evento finalizzato a promuovere la diffusione dell’arte contemporanea in Italia.
Insieme a 26 musei AMACI e 1000 realtà in tutta Italia, la Galleria MAG propone quest’anno un evento di arte performativa:

EDGE | Ultimo Ritr-Atto
Dall’ultima poesia di Sylvia Plath
una performance scritta ed interpretata da
Giovanna Lacedra


Sylvia Plath, celebre poetessa del filone Confessional americano, si tolse la vita all’alba dell'11 febbraio 1963, nel suo appartamento di Londra. Preparò la colazione per i suoi due bambini, Frieda e Nicholas, ancora addormentati. Depose per loro, sul comodino, un vassoio con del pane e del latte. Spalancò la finestra della loro stanza. Poi si recò in cucina, sigillò la porta, infilò la testa nel forno, aprì il gas e si ammazzò. Aveva solo 31 anni e non poteva immaginare che, dopo la sua morte, sarebbe stata considerata una delle voci poetiche più potenti del Novecento.
Il suicidio della Plath fu un disperato tentativo di regressione ad una condizione di quiete ancestrale. Un illusorio ritorno al grembo materno.
Sylvia era molto legata a sua madre, ed era ossessionata dalla morte del padre, scomparso prematuramente quando lei aveva otto anni. Nel grembo di lei, donna forte, colta, aperta, Sylvia sentiva di dover depositare il meglio di sé, qualcosa che somigliasse alla perfezione: successi scolastici, successi letterari, una vita perfetta da figlia americana perfetta.
Ma, come scrisse in una sua celebre lirica titolata “I manichini di Monaco”, quattordici giorni prima di morire…

“La perfezione è terribile, non può aver figli.
Fredda come respiro di neve, occlude il grembo
Dove arbusti di tasso spuntano come idre"

La poesia titolata EDGE, invece, fu scritta sei giorni prima del suicidio, e non fu altro che un annuncio di quanto sarebbe accaduto. Fu il suo "addio".
Per questa ragione la definisco il suo "Ultimo Atto". E il suo "Ultimo Autoritratto". EDGE è in effetti l'ultimo ritratto che Sylvia ha lasciato di sé, al mondo. L'ultimo atto poetico e parimenti l'ultimo "Auto-Ritratto" lirico. L'ultima traccia densamente autobiografica e oltretutto conclusiva. Sono versi che dipingono il percorso dal dolore alla fine.
Per questa ragione EDGE non può considerarsi soltanto una poesia. È molto di più: è un ritratto totale, è l'ultimo lembo al quale Sylvia si è aggrappata per annunciare la propria caduta, è quell'orlo che si affaccia sul precipizio, quando il precipizio appare accogliente; è l'oltre-limite che, con meticolosa descrizione, preannuncia il suicidio. Ma il lascito di lei, della sua vita, della sua luce, della sua memoria dopo la morte, è tutto nelle sue poesie.
Ogni verso, una traccia del suo volto.
Ogni verso un ritratto.

In “EDGE | Ultimo Ritr-Atto” Sylvia se ne andrà spogliandosi dei suoi infiniti volti come un fiore che perda i propri petali o come un albero che lasci cadere le sue foglie quando l'autunno è ormai giunto. Offrendo quel che resta del suo latte ad un figlio assente. E riavvolgendosii poi, come bianco serpente, nel suo stesso grembo.

"Il pensiero che potrei suicidarmi si forma freddamente nella mia mente
come un albero o un fiore."
(S.Plath)

Giovanna Lacedra in
EDGE | Ultimo Ritr-Atto
performance-drawing-poetry

sabato 10 ottobre 2015 – h.18.00
Galleria MAG di Salvatore Marsiglione
Via Vitani, 31 – COMO.
info-press: +39 328 7521463
info@marsiglioneartsgallery.com


Durante tutto il giorno la galleria manterrà i normali orari di apertura: dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 19:30.

mercoledì 27 maggio 2015

“IO SOTTRAGGO. LA TRIANGOLAZIONE CIBO-CORPO-PESO”

 "IO SOTTRAGGO. La triangolazione cibo-corpo-peso"
dopo la tappa Veneziana in concomitanza con l'apertura della 56a Biennale - arriva a SASSUOLO (MO) per la 13^ tappa. 
Con il Patrocinio del Comune di Sassuolo, presso i Magazzini Criminali | Paggeria Arte
in Piazzale della Rosa, di fronte al Palazzo Ducale.
Sabato 30 maggio - ore 19,00

Un evento a cura di Carlo Alberto Zini

“IO SOTTRAGGO. LA TRIANGOLAZIONE CIBO-CORPO-PESO”

Performance Confessional sulla patologia anoressico-bulimica
di Giovanna Lacedra


Foto di Massimo Prizzon


COMUNICATO STAMPA:

4 Luglio 2005
“Lasciarsi morire di fame. Sottrarsi al mondo.
 Farlo con coscienza. Sceglierlo, ogni giorno, con vocazione.
Oggi: 475 Kilocalorie.”

Trasformare in arte la patologia.
Fare in modo che il corpo – per anni ostaggio di rituali ossessivi, per anni contenitore di vuoti affettivi, di assenze e di mancanze –, diventi racconto espressivo di una tra le più paradossali malattie: il disturbo anoressico-bulimico.
Mangiare niente come mangiare tutto. Svuotarsi come ingombrarsi.
Mettere dentro il mondo intero, o il mondo intero rifiutare.
Sbranare pulsionalmente l’amore che non si ha o scegliere stoicamente la rinuncia.
Controllare il corpo per illudersi di controllare la vita intera.
Operare calcoli minuziosi, e istituire una vera e propria aritmetica del desiderio.
Sottrarsi chili per sottrarsi ai desideri. Scarnificarsi per rendersi visibili.
E tutto questo per sopravvivere ad altro.

Donne che si sfondano di cibo e vomitano infilandosi due dita in gola,
al fine di espiare una colpa che si radica molto più in là di una folle orgia alimentare.
Donne che si sfondano di cibo e non vomitano, creando –  con un corpo in dilatazione –  
barriere con le quali difendersi dal mondo e da una dimensione dell'affettività, che genera in loro
inadeguatezza e panico.
Donne che non mangiano per dimostrare a se stesse e al mondo che le terrorizza,
quale alto dominio siano capaci di esercitare su sé stesse e sui propri appetiti.
Autocontrollo, perdita patologica di controllo.
Dispercezione, devastazione, perfezionismo e inibizione.
Donne che si riempiono di cibo. Donne che si svuotano di sé.
Perché il dolore che le fa agire è in verità un dolore profondissimo. Che a volte neppure loro conoscono.

Al di là della fame e della sua negazione, esiste un’altra fame. Più feroce, più legittima, più importante. Una fame del cuore. Che ha il diritto di essere ascoltata.

Il corpo di un’anoressica-bulimica, è un corpo rotto.
È corpo-contenitore di vuoti e di parole.  Troppi vuoti e troppe parole.
Tutto nasce da una frattura nella relazione, da una crepa tellurica nella comunicazione.
Digiunare e divorare sono prese di posizione estreme. Punizioni. Penitenze.
Il corpo si trasforma in una conca sgombra o una pattumiera. E il cibo-non-cibo diventa il solo strumento capace di mettere a tacere ciò che si agita dentro.
L’anoressia è una fame infinita, tenuta in catene. La bulimia è invece, una legione di appetiti che sconfina. Attacca la roccaforte dell’ipercontrollo, l’abbatte, e disintegra ogni impalcatura scenica.
Cibo negato. Cibo abusato. Cibo-veleno. Cibo-eroina. Cibo non-più-cibo.
È la paura che ci allontana dal cibo. È la paura che ci spinge verso il cibo.
È la paura di quel vuoto d’amore che ci impone di dilatarlo, per abituarci ad esso.
Anoressia, Bulimia, Binge Eating e Obesità sono espedienti autodistruttivi, ricercati per sopravvivere a tutto il resto. Per tentare di governare il vuoto. Per provare a non sprofondare.
Presto però diventano vere e proprie dipendenze. Fino a trasformarsi in mortali patologie.

IO SOTTRAGGO è un grido contro il silenzio di chi non sa e non vuole vedere, di chi ignora e superficializza. Di chi sceglie di non capire. IO SOTTRAGGO vi costringe a guardare nel perimetro triangolare di questa verità. IO SOTTRAGGO è un atto di coraggio che mira a combattere la vergogna e  l’omertà. In nome di una verità che vive rovesciata dall’altra parte dello specchio.

(testo di Giovanna Lacedra)