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giovedì 6 gennaio 2011

"Side A – Side B" Sonia Ceccotti vs Costantin Migliorini

Seguo l'opera di Sonia Ceccotti da un po' di tempo. Pur non avendo mai trattato il suo lavoro ne rimango sempre coinvolto. Mi piace il suo modo di indagare e risolvere la "questione" figura. Certo, l'argomento, porta naturalmente a soluzioni poco innovative ma una cosa è certa: anche tracciando un percorso universalmente già trattato come la figura umana Sonia riesce con assoluta disinvoltura a renderlo personale e avvincente. 
Mi piace anche l'idea di un ipotetico scontro -uno contro uno-. Da vedere!


SONIA CECCOTTI  vs  CONSTANTIN MIGLIORINI
Side A – Side B
“Visioni diverse di uno stesso mondo”
giovedì 20 gennaio alle ore 18.30 - 12 febbraio alle ore 19.30 
Spazio Anna Breda
Via san Francesco 35, Padova, Italy  

Uomini, donne, ragazze, corpi, nient’altro che corpi. Luoghi meravigliosi ed infiniti che sono comuni a tutti: soddisfatti o no, non si può negare di possederne uno che ci accompagnerà fino alla fine dei nostri giorni. Libri dalle pagine candide, ampie schiene su cui il mondo, come un artista virtuoso, depone le proprie esperienze come fossero granelli di polvere su di un mobile. A far da contrappunto a queste lombi lisci sono ancora corpi, busti e volti agghindati di modernità, forti di fisionomie e pose che lasciano intravedere la fragilità dell’imperfetto. Constantin e Sonia Ceccotti hanno scelto la pittura come mezzo ed il corpo umano come forma, luogo ed ambiente nel quale essa si manifesta, focalizzando l’attenzione rispettivamente sui due fianchi opposti della forma, per giungere a raccontare la stessa verità.
La mostra Side A-Side B,il cui titolo si riferisce alle vecchie musicassette, mostra due possibili letture della realtà, differenti eppure complementari. Già a partire dal titolo è evidente la presenza del doppio, che gioca un ruolo chiave: due pensieri che si completano nella pittura così come nel quotidiano; Constantin  Migliorini e Sonia Ceccotti sono una coppia nella vita, ma non un collettivo artistico. Questo li porta ad osservare e praticare esperienze comuni, che poi traducono in opere dallo stile personale ed inconfondibile. Entrambi vivono un rapporto particolare con l’arte, che rappresenta una necessità: ossigeno che allo stesso tempo è anche un gas tossico al quale è impossibile rinunciare.
Constantin Migliorini vive il corpo come una sorta di involucro limitante, di cui accentua la fisicità attraverso una pittura spessa, ricca di stratificazioni di altri materiali: olio ed acrilico con interventi di penna e pennarello su acetato che trasformano il “lato b” del corpo, il suo prediletto, in una sorta di grande pista da ballo per un turbinio di segni. Proprio ciò che l’artista considera limite dell’uomo, diviene sua caratteristica irrinunciabile e la pelle si trasforma in una specie di diario, le cui pagine necessitano di una nudità su cui sia possibile “scrivere” una storia dove i disegni sostituiscano le parole. Corpi magnificamente dipinti nei toni lividi del sogno notturno, fioriscono del fantasticheggiare del suo creatore.
Sonia Ceccotti focalizza l’attenzione dello spettatore sull’espressività delle pose, iconicamente fotografiche e colte nel loro “lato a”. Non solo le immagini dell’artista non hanno bisogno della pelle nuda per il proprio racconto, ma addirittura necessitano di abiti ed ammennicoli per sottolineare il bisogno di mascherare le proprie infinite fragilità. In questo caso è proprio l’abito a fare il monaco e a dichiararne le insicurezze che altrimenti resterebbero nascoste dietro ad un abbigliamento e ad un’espressione che ostentano sicurezza.
Per entrambi gli artisti si tratta di un atto doverosamente umano,in cui il dipinto diviene un’ ipotesi per capire e spiegare la materia di cui è fatto l’uomo; una sorta di indagine a partire da se stessi, per giungere all’analisi del branco, cioè la società, schiavizzata dalle proprie abitudini.
Tutti i lavori in mostra, che disegnano un vero e proprio percorso intellettuale, riflettono sul vecchio caro tema della realtà, tesa fra essere ed apparire, per svelare ciò che di solito lotta per restare nascosto, che non si può dire e non sta bene raccontare. Contrariamente a ciò che la materia pittorica lascerebbe supporre, le figure della Ceccotti si rivolgono ad una realtà più fisica ed apparente mentre quelle di Constantin si indirizzano maggiormente ad una dimensione psichica ed inconscia. In entrambi i casi soffitte polverose e vecchi mobili in cui vengono dimenticate porzioni di passato, hanno avuto un ruolo fondamentale. Constantin ha dato vita al proprio realismo personale, dopo aver trovato in un cassetto un plico di vecchi disegni da lui realizzati quando era ragazzo: dopo essere state ricalcate su carta trasparente, quelle figurette metamorfiche, mosse quasi da volontà propria, pare abbiano cominciato ad “aggredire” i corpi fluidi dipinti dall’artista, scrivendo sulle carni storie di tempo senza tempo, in una mescola selvaggia ed intuitiva come una danza tribale. Sonia Ceccotti, anch’essa avviata dalla propria formazione verso un’anatomia artistica di impianto classico, ha trovato ispirazione nei materiali abbandonati nella sua soffitta polverosa: cartoni ondulati e altri imballi lasciati riposare in attesa di essere riciclati si sono tramutati in supporti perfetti, ricchi delle stesse imperfezioni che l’uomo cerca di nascondere. Figure sorte sulle increspature del cartoncino, fra acrilico e carboncino e in cui il non finito - quella parte di pittura che non esiste per colpa di una graffetta resistente o di un adesivo preesistente - costringe lo spettatore a ricostruire le parti mancanti, trasformandolo così in parte inconscia dell’opera stessa.
Due nuclei di lavoro differenti, due sfaccettature di una pietra preziosa che si misurano con un medium antico, la pittura, che non è facile prendere in giro; una magnifica esplorazione dell’uomo a partire dal corpo, che in pochi hanno il coraggio di affrontare per non scadere nel banale. Sonia Ceccotti e Constantin sfidano tutti questi aspetti, riuscendo a far si che lo spettatore alla fine del percorso, si riappropri della dignità del proprio essere fisico (limiti e meraviglie compresi) contribuendo in modo sottile ma sferzante a sabotare quell’immagine di corpo per sempre giovane e bello, uno standard di perfezione che dimostra proprio la fragilità dell’uomo e tutto il suo abisso di paure.
Viviana Siviero

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