RITENGO CHE SIA DOVERE DI CHIUNQUE E A MAGGIOR RAGIONE DI NOI ITALIANI, FARE DI TUTTO PER PROMUOVERE, SALVAGUARDARE E DIVULGARE L'ARTE IN TUTTE LE SUE ESPRESSIONI.
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domenica 10 febbraio 2013

Salvatore Settis scrive a L'Espresso


Caro pre­mier, salva l’arte . Di Sal­va­tore Set­tis — l’Espresso, 25.01.2013.
Un grande sto­rico e ar­cheo­logo scrive al capo del go­verno che verrà. Per­ché nella sua agenda metta al primo po­sto la di­fesa di am­biente e cultura


Al pros­simo pre­si­dente del Con­si­glio (chiun­que sia). Si­gnor Pre­si­dente, ne­gli ul­timi anni, prin­cipi co­sti­tu­zio­nali e pra­ti­che po­li­ti­che con­so­li­date hanno su­bito una con­ti­nua ero­sione. Sotto il peso (o con l’alibi) della crisi eco­no­mica, ta­gli spie­tati hanno col­pito la spesa so­ciale: scuola, cul­tura, uni­ver­sità, tu­tela del pa­tri­mo­nio e dell’ambiente, ri­cerca, tea­tro e mu­sica, sa­nità. An­che quando i “ta­gli li­neari” (cioè cie­chi) dei go­verni di de­stra sono stati ri­bat­tez­zati spen­ding re­view, in nulla hanno gio­vato al pub­blico in­te­resse: al con­tra­rio, h anno ri­dotto il li­vello dei ser­vizi ai cit­ta­dini, fa­vo­rito la re­ces­sione, in­cre­men­tato la di­soc­cu­pa­zione. Col­pendo la di­gnità di chi (non) la­vora e l’equità, que­sta po­li­tica mina alla ra­dice de­mo­cra­zia e libertà.
La nuova le­gi­sla­tura può se­gnare una svolta, rein­ne­scando quel che da tempo manca al no­stro Paese: crea­zione di com­pe­tenze, crea­ti­vità, in­no­va­zione, oc­cu­pa­zione. Al ver­tice delle prio­rità del go­verno de­vono es­sere la cura dell’ambiente e la messa in si­cu­rezza del ter­ri­to­rio. E un com­pito im­mane, per­ché que­sti temi sono stati tra­scu­rati per de­cenni. Ma è un tra­guardo es­sen­ziale, che me­rita in­ve­sti­menti so­stan­ziosi e può as­sor­bire più forza la­voro di quella per “grandi opere”, spesso in­vec­chiate prima di na­scere. Cura dell’ambiente vuoi dire tu­tela della sa­lute, ma an­che tu­tela del pae­sag­gio, a co­min­ciare dal pae­sag­gio agra­rio; vuol dire pro­mo­zione dell’agricoltura di qua­lità, con po­tenti ri­ca­dute eco­no­mi­che. Vuol dire pro­te­zione del pa­tri­mo­nio cul­tu­rale, e sal­tato a pa­role come mag­gior ric­chezza d’Italia, ma di fatto ab­ban­do­nato al de­grado. Que­sti temi sono for­te­mente le­gati fra loro. È per­ciò ur­gente agire sulle isti­tu­zioni, po­nendo fine alla con­di­zione re­si­duale del mi­ni­stero dei Beni cul­tu­rali e alla scelta di mi­ni­stri in­ca­paci. Esso può es­sere ac­cor­pato al mi­ni­stero dell’Ambiente, per una nuova po­li­tica fon­data sulla cul­tura della pre­ven­zione, dal con­trollo del ri­schio idro­geo­lo­gico alla con­ser­va­zione pro­gram­mata del pa­tri­mo­nio cul­tu­rale. Ma an­che que­sta “mossa” sa­rebbe inef­fi­cace, se non si ac­com­pa­gnasse a un torte rein­ve­sti­mento sui Beni cul­tu­rali, che quanto meno ri­medi al ci­nico ta­glio di ol­tre un mi­liardo per­pe­trato da Ber­lu­sconi nel 2008. È inol­tre ne­ces­sa­rio il rin­novo del per­so­nale, iber­nato dal blocco del turn-over, me­diante una sana po­li­tica di as­sun­zioni per me­rito, aperta a esperti non solo italiani.
Il fu­turo di un Paese di­pende da tre fat­tori: lun­gi­mi­ranza de­gli obiet­tivi, for­ma­zione dei gio­vani, in­ne­sco di ener­gie crea­tive. In Ita­lia da de­cenni ac­cade il con­tra­rio: le ri­forme della scuola e dell’universirà sono ispi­rate non da un qual­si­vo­glia pro­getto cul­tu­rale, ma dalla de­ci­sione di ta­gliare a ogni co­sto i bi­lanci nel se­gno di un miope neo­li­be­ri­smo. La ri­cerca di base (la sola che pro­duca esiti, an­che eco­no­mici, di lungo pe­riodo) è ac­can­to­nata in fa­vore di uno “sguardo corto” che pre­tende ri­sul­tati mi­su­ra­bili in tempi brevi; la qua­lità viene esi­liata in fa­vore della quan­tità. Ri­por­tare il fu­turo al cen­tro della po­li­tica ri­lan­ciando scuola, uni­ver­sità e ri­cerca me­diante ac­corti in­ve­sti­menti sulla qua­lità e nuove as­sun­zioni in base al me­rito: ecco un’altra prio­ri­tà­del go­verno. Al­tri Paesi, da­gli Stati Uniti alla Ger­ma­nia alla Fran­cia, stanno in­ve­stendo in istru­zione e ri­cerca come mezzi per com­bat­tere la crisi eco­no­mica; in Ita­lia si fa l’opposto. E tempo di rom­pere que­sto iso­la­mento, re­cu­pe­rando l’alta tra­di­zione ita­liana e ri­col­lo­cando al cen­tro il si­stema pub­blico di istru­zione an­zi­ché, come si è fatto ne­gli ul­timi anni, de­po­ten­ziarlo in fa­vore del set­tore pri­vato.
Que­sti obiet­tivi mi­nimi non sono de­gli op­tio­nal. Essi cor­ri­spon­dono all’orizzonte dei di­ritti pre­scritto dalla Co­sti­tu­zione. La Co­sti­tu­zione, per in­ten­derci, a cui il nuovo go­verno pre­sterà giu­ra­mento, e non una pre­tesa “Co­sti­tu­zione ma­te­riale”. La cen­tra­lità della cul­tura è scol­pita nell’art.9: «La Re­pub­blica pro­muove lo svi­luppo della cul­tura e la ri­cerca scien­ti­fica e tec­nica. Tu­tela il pae­sag­gio e il pa­tri­mo­nio sto­rico e ar­ti­stico della Na­zione». Au­to­no­mia delle uni­ver­sità, cen­tra­lità della scuola pub­blica, di­ritto allo stu­dio (art. 33–34), li­bertà di pen­siero (art. 21) sono aspetti del di­ritto alla cul­tura, es­sen­ziale allo svi­luppo della per­so­na­lità in­di­vi­duale (art. 3) e al «pro­gresso spi­ri­tuale della società»(art.4).
Que­sti prin­cipi fon­da­men­tali dello Stato sono co­stan­te­mente di­sat­tesi con l’alibi di una “tec­ni­cità” che pro­duce ta­gli, ma non svi­luppo. De­vono tor­nare al cen­tro delle po­li­ti­che del go­verno, nel loro nesso con al­tri di­ritti es­sen­ziali san­citi dalla Co­sti­tu­zione: il di­ritto alla sa­lute (art. 32), il di­ritto al la­voro (art. 4), la «pari di­gnità so­ciale». (art. 3). La di­sgre­ga­zione, anzi la “ma­cel­le­ria so­ciale” che è sotto i no­stri oc­chi ha in que­sti prin­cipi il suo ri­me­dio: per­ché solo se i di­ritti sono ri­co­no­sciuti è pos­si­bile esi­gere «l’adempimento dei do­veri in­de­ro­ga­bili di so­li­da­rietà po­li­tica, eco­no­mica e so­ciale» (art. 2).
I pro­blemi glo­bali dell’economia e la pes­sima ge­stione dei bi­lanci hanno messo in om­bra que­sti prin­cipi, e il “go­verno tec­nico” ha in­ter­pre­tato il pro­prio man­dato alla luce di un pre­cetto che la Co­sti­tu­zione non con­tiene, anzi nega: la prio­rità dell’economia sui di­ritti. È tempo di met­tere sul ta­volo il con­tra­sto fra la ne­ces­sità (che tutti ri­co­no­scono) di ri­sa­na­mento dei bi­lanci e l’obbligo (che molti di­men­ti­cano) di ri­spet­tare la le­ga­lità co­sti­tu­zio­nale. La “ri­cetta tecni ca” di ta­gliare alla cieca la spesa so­ciale ha pro­dotto solo re­ces­sione, di­soc­cu­pa­zione, di­sor­dine. Per uscire da que­sto vi­colo cieco oc­corre re­pe­rire con ur­genza nuove ri­sorse, com­bat­tendo con fatti e non pa­role l’enorme eva­sione fi­scale: 142,47 mi­liardi di euro di tasse non pa­gare nel solo 201 l (dati Con­f­com­mer­cio). Re­cu­pe­ran­done al­meno la metà, si po­trebbe co­min­ciare a sa­nare il de­bito pub­blico e in­ve­stire in scuola, ri­cerca, pa­tri­mo­nio, sa­nità, in­ne­scando pro­cessi vir­tuosi di sti­molo della crea­ti­vità e dell’economia. Una sana spen­ding re­view do­vrebbe can­cel­lare spese vane o dan­nose, a co­min­ciare dal ponte sullo Stretto e da al­tre “grandi opere”, dall’acquisto in­sen­sato di ae­rei da guerra e som­mer­gi­bili, da in­ter­venti one­rosi e fal­li­men­tari come il “sal­va­tag­gio” Alitalia.
Qua­li­fi­care la spesa ca­po­vol­gendo le prio­rità dei go­verni di que­sta le­gi­sla­tura è il primo passo verso un rin­no­vato ruolo dell’Italia in Eu­ropa. Per non es­sere a ri­mor­chio de­gli gnomi delle Borse, l’Italia deve fare ap­pello alle enormi ener­gie crea­tive dei cit­ta­dini, che hanno nella no­stra sto­ria, arte, cul­tura il loro ine­sau­ri­bile te­soro. È un “conto in banca” che non è quo­tato in Borsa, ma vale più di qual­siasi spread. Di­men­ti­carlo è de­lit­tuoso, an­che per­ché con­danna l’Italia a un ruolo gre­ga­rio in­de­gno delle sue po­ten­zia­lità. Pro­muo­ver­loè ne­ces­sa­rio, per ri­lan­ciare un’idea di Stato-comunità che co­strui­sce e di­fende i di­ritti delle ge­ne­ra­zioni fu­ture. La Co­sti­tu­zione non va cam­biata, va ri­letta alla luce del pre­sente, come la Carta della no­stra iden­tità cul­tu­rale. Per­ché, molti eco­no­mi­sti oggi lo ri­co­no­scono, la di­stru­zione dell’identità sto­rica di­sgrega la so­cietà e ne ri­duce la pro­dut­ti­vità, men­tre ogni “cre­scita en­do­gena” si fonda sul pieno re­cu­pero dell’autocoscienza cul­tu­rale delle co­mu­nità. Uno sguardo lun­gi­mi­rante, una con­sa­pe­vole ca­pa­cità di fu­turo: que­sto, si­gnor pre­si­dente, gli ita­liani aspet­tano dal nuovo governo.

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