Un altro bell'articolo di Nicoletta Pecile su "Mondo Rosa Shokking" (http://www.mondorosashokking.com/ ) a proposito del vincitore del Premio Celeste International, Fabiano Parisi. Complimenti a Nico e congratulazioni a Fabiano Parisi!
The Winner is... Fabiano Parisi!
Appena rientrato da New York Fabiano ci parla dell’emozione della vittoria alla II Edizione del Celeste Prize 2010 e della sua carriera artistica sempre in crescita
Il Premio Celeste decreta i suoi vincitori e tra questi c’è anche Fabiano Parisi, il quale si è aggiudicato il primo premio per la sezione “Fotografia ed arte digitale” con l’opera “Il mondo che non vedo”, la stessa che diede il nome all’ultima, apprezzatissima mostra organizzata al Museo di Roma in Trastevere, di cui abbiamo pubblicato, poco tempo, fa la recensione.
La premiazione è avvenuta lo scorso sabato 11 Dicembre presso lo spazio The Invisible Dog di Brooklyn - NYC , magnifico esempio di archeologia industriale e all’interno del quale Fabiano si deve essere sentito particolarmente a suo agio, dal momento che i suoi soggetti fotografici sono proprio i complessi urbani dismessi, in questo caso opportunamente riqualificati.
Ricordiamo che il Premio Celeste è un’importante riconoscimento volto a favorire l’emergere di nuovi talenti nell’ambito dell’Arte Contemporanea in un contesto che non è solo quello nazionale e rappresenta un’importante vetrina per tutti i ragguardevoli operatori del settore artistico.
La premiazione è avvenuta lo scorso sabato 11 Dicembre presso lo spazio The Invisible Dog di Brooklyn - NYC , magnifico esempio di archeologia industriale e all’interno del quale Fabiano si deve essere sentito particolarmente a suo agio, dal momento che i suoi soggetti fotografici sono proprio i complessi urbani dismessi, in questo caso opportunamente riqualificati.
Ricordiamo che il Premio Celeste è un’importante riconoscimento volto a favorire l’emergere di nuovi talenti nell’ambito dell’Arte Contemporanea in un contesto che non è solo quello nazionale e rappresenta un’importante vetrina per tutti i ragguardevoli operatori del settore artistico.
Di seguito l’intervista al giovane e talentuoso artista romano
Cosa significa per te essere artista?
Un’operazione di marketing e un’etichetta superflua. E’ una definizione, quella dell’artista, che rimane impressa più nell’immaginario collettivo, con fantasie di uno stile di vita bohémien annesse e connesse. Alla fine il mondo dell’arte è molto concreto: io mi alzo la mattina e faccio quello che c’è da fare.
Cos'è per te uno scatto fotografico?
Un momento sublime di solitudine e pensiero. Di “scatto” nelle mie fotografie c’è ben poco, c’è prima molto osservare e pensare. Poi pianto il cavalletto. Non riuscirei a lavorare con troppe persone intorno.
Che percorso hai fatto per arrivare dove sei?
Quando hai sentito di esser stato morso dal talento per la prima volta?
Ho studiato Psicologia qui a Roma, a La Sapienza, poi non molto tempo fa ho deciso di tentare nuove strade ed ho iniziato un nuovo percorso con la fotografia. Percorso in salita, da autodidatta, in cui mi sono messo a studiare e sono andato avanti. In effetti mi sono lasciato mordere.. io ho solo aperto la diga, ho seguito una cosa che sentivo e ho costruito un progetto, e non posso che esserne contento.
Fisso o precario (come stato mentale, non solo come dato di fatto)?
Precario, e fisso mentalmente, vado avanti per la mia strada.
3 aggettivi per definire L'Italia e gli italiani
Cosa manca secondo te al nostro paese per essere migliore?
“La terra dei cachi” di Elio e le Storie Tese è ancora molto attuale. Però noi italiani siamo molto lamentosi. Non prendiamoci troppo sul serio: la situazione è grave e pesante, rimbocchiamoci le maniche, con un po’ di ironia.
La foto o l’opera artistica della tua vita?
Quelle che hanno qualcosa da dire, una storia da raccontare. Il concetto di bellezza di un’opera d’arte viene superato, ed è come leggere un bel libro, capitolo dopo capitolo. Per questo mi piace la fotografia, ha la potenzialità di narrare un racconto, per immagini.
Tg, quotidiano o informazione su internet
Sempre su internet, e qualche volta il giornale. La carta stampata è in crisi perché su internet si trova tutto ed in tempo reale, a costo zero.
La donna del 2010 come la vedi?
La vedo bene, come quella del 2009 e come quella del 2011.
Preferisci lavorare con uomini o con donne?
Basta lavorare. E con le persone giuste. Odio le persone che non sono precise e che non hanno le idee chiare, e anche quelle apparentemente troppo impegnate, che quando ci parli sembra che hanno da fare solo loro. Nei miei progetti ci metto sempre grande entusiasmo, la fatica fa parte del gioco
Roma è la tua città: c’è un posto in Italia o all’estero dove ti trasferiresti?
Amo Berlino e New York, come molti. Sono città speciali dove tutto cambia in fretta e dove tutto può succedere, e le architetture testimoniano questa grande vivacità. Capisco molto più di una città girando le periferie. Vedere Manhattan da Red Hook a Brooklyn, attraverso l’area portuale ti fa vedere un’altra prospettiva.
Per fare fotografie giro molto e faccio tanti chilometri, quindi non sento l’esigenza di una fuga o di un trasferimento più o meno definitivo. Tornare a Roma tutte le volte non mi dispiace, è la mia città. E’ come affittare in un auto noleggio statunitense un SUV gigantesco e scintillante, per poi tornare a casa e girare con la propria vecchia carretta sputa fumo. Esperienza vissuta. Ci sono affezionato.
Un progetto per il futuro, Un sogno
Voglio continuare con quello che sto facendo, c’è ancora molto da fare. Una mostra all’estero, ed un libro fotografico.
Un consiglio a chi vuole seguire le tue orme
Il miglior consiglio che sento di dare è di non seguire consigli. E’ importantissimo confrontarsi con gli altri, ma poi l’ultima decisione è sempre la nostra. Costruire un progetto e portare avanti un’idea, metterla su carta o su tela poco importa poi. Prima della tecnica c’e’ sempre il pensiero.
Cosa significa per te essere artista?
Un’operazione di marketing e un’etichetta superflua. E’ una definizione, quella dell’artista, che rimane impressa più nell’immaginario collettivo, con fantasie di uno stile di vita bohémien annesse e connesse. Alla fine il mondo dell’arte è molto concreto: io mi alzo la mattina e faccio quello che c’è da fare.
Cos'è per te uno scatto fotografico?
Un momento sublime di solitudine e pensiero. Di “scatto” nelle mie fotografie c’è ben poco, c’è prima molto osservare e pensare. Poi pianto il cavalletto. Non riuscirei a lavorare con troppe persone intorno.
Che percorso hai fatto per arrivare dove sei?
Quando hai sentito di esser stato morso dal talento per la prima volta?
Ho studiato Psicologia qui a Roma, a La Sapienza, poi non molto tempo fa ho deciso di tentare nuove strade ed ho iniziato un nuovo percorso con la fotografia. Percorso in salita, da autodidatta, in cui mi sono messo a studiare e sono andato avanti. In effetti mi sono lasciato mordere.. io ho solo aperto la diga, ho seguito una cosa che sentivo e ho costruito un progetto, e non posso che esserne contento.
Fisso o precario (come stato mentale, non solo come dato di fatto)?
Precario, e fisso mentalmente, vado avanti per la mia strada.
3 aggettivi per definire L'Italia e gli italiani
Cosa manca secondo te al nostro paese per essere migliore?
“La terra dei cachi” di Elio e le Storie Tese è ancora molto attuale. Però noi italiani siamo molto lamentosi. Non prendiamoci troppo sul serio: la situazione è grave e pesante, rimbocchiamoci le maniche, con un po’ di ironia.
La foto o l’opera artistica della tua vita?
Quelle che hanno qualcosa da dire, una storia da raccontare. Il concetto di bellezza di un’opera d’arte viene superato, ed è come leggere un bel libro, capitolo dopo capitolo. Per questo mi piace la fotografia, ha la potenzialità di narrare un racconto, per immagini.
Tg, quotidiano o informazione su internet
Sempre su internet, e qualche volta il giornale. La carta stampata è in crisi perché su internet si trova tutto ed in tempo reale, a costo zero.
La donna del 2010 come la vedi?
La vedo bene, come quella del 2009 e come quella del 2011.
Preferisci lavorare con uomini o con donne?
Basta lavorare. E con le persone giuste. Odio le persone che non sono precise e che non hanno le idee chiare, e anche quelle apparentemente troppo impegnate, che quando ci parli sembra che hanno da fare solo loro. Nei miei progetti ci metto sempre grande entusiasmo, la fatica fa parte del gioco
Roma è la tua città: c’è un posto in Italia o all’estero dove ti trasferiresti?
Amo Berlino e New York, come molti. Sono città speciali dove tutto cambia in fretta e dove tutto può succedere, e le architetture testimoniano questa grande vivacità. Capisco molto più di una città girando le periferie. Vedere Manhattan da Red Hook a Brooklyn, attraverso l’area portuale ti fa vedere un’altra prospettiva.
Per fare fotografie giro molto e faccio tanti chilometri, quindi non sento l’esigenza di una fuga o di un trasferimento più o meno definitivo. Tornare a Roma tutte le volte non mi dispiace, è la mia città. E’ come affittare in un auto noleggio statunitense un SUV gigantesco e scintillante, per poi tornare a casa e girare con la propria vecchia carretta sputa fumo. Esperienza vissuta. Ci sono affezionato.
Un progetto per il futuro, Un sogno
Voglio continuare con quello che sto facendo, c’è ancora molto da fare. Una mostra all’estero, ed un libro fotografico.
Un consiglio a chi vuole seguire le tue orme
Il miglior consiglio che sento di dare è di non seguire consigli. E’ importantissimo confrontarsi con gli altri, ma poi l’ultima decisione è sempre la nostra. Costruire un progetto e portare avanti un’idea, metterla su carta o su tela poco importa poi. Prima della tecnica c’e’ sempre il pensiero.
E adesso qualche domanda più specifica:
Fabiano, preferisci essere “riconosciuto” come fotografo o come “artista”?
Poco importa, come dicevo prima. Se devo scegliere meglio fotografo, è più concreto.
Il concetto della fotografia come arte è ancora un po’ nebuloso, da parte del pubblico. Sarà forse per la riproducibilità, volendo all’infinito, di una fotografia, e anche per la larga diffusione delle tecniche digitali, che ci fa sentire tutti un po’ fotografi in erba. Io uso un corredo digitale, e curo in prima persona tutto il processo fino alla stampa della fotografia. Uso photoshop e tutte le tecniche che mi permettono di arrivare a quello che ho in mente. Non sono un nostalgico della pellicola e sto al passo coi tempi. Alle persone che storcono il naso dico sempre di pensare allora di lasciare a casa il cellulare e tornare ai vecchi tempi del telefono pubblico, con il gettone in tasca.
Oltre ad una serie puramente fotografica, faccio anche dei lavori in tecnica mista con resine, su ferro e legno, utilizzando la fotografia. La scelta dei materiali, e il desiderio di lavorare manualmente sulla foto sono complementari al racconto che sto portando avanti sui luoghi abbandonati. La fotografia è arte, la tecnica passa in secondo piano.
Le tue “modelle” sono fabbriche in disuso e luoghi abbandonati: cosa ti guida nella scelta di questi soggetti? Cosa trovi di particolarmente affascinante nello stato di degrado che poi tu ritrai?
Sono rimasto affascinato da questi luoghi, dall’atmosfera che si respira, è tutto sospeso, in un tempo passato. Quello che mi interessa non è fare una denuncia dello stato di abbandono, ma cercare la bellezza. Mi concentro sull’estetica di alcune architetture, non faccio assolutamente un lavoro di documentazione dei luoghi. Il focus non è sul degrado. Per dieci posti visitati in media riesco a tirar fuori una o due fotografie. Prima mi documento sui luoghi, faccio una vera e propria ricerca sui libri e su internet, poi vado a vedere di persona. Sto lavorando ad una serie di fotografie, quindi solo se c’e’ qualcosa che mi colpisce e che è funzionale al mio racconto apro il cavalletto, studio l’inquadratura, e scatto. Sono parsimonioso, faccio poche fotografie! E poi c’è la luce, che per me è essenziale: cerco di avere nelle mie inquadrature sempre molto contrasto tra luce e ombra e devo aspettare il momento giusto. E’ simbolico: in questi luoghi ci sono molte zone d’ombra, e la luce fa parte di quel che resta.
La società odierna combatte il trascorrere del tempo esaltando tutto ciò che è nuovo, “incorruttibile”, innovativo. In questo senso tu vai controcorrente. C’è un messaggio relativo al trascorrere del tempo che vuoi far emergere grazie alle tue opere?
Nessun messaggio particolare e nessuna denuncia. Il titolo della mia ultima mostra al Museo di Roma in Trastevere è “Il mondo che non vedo” , è qualcosa che abbiamo sotto gli occhi e che fa parte del nostro passato, ma anche del nostro presente. Questi luoghi e queste strutture resistono al passare del tempo, private delle presenza umana e quindi degli attori principali che gli facevano prendere vita. Rimangono in piedi e ci raccontano ancora qualcosa. In questi tempi di crisi economica credo sia una indagine non troppo nostalgica, ma al passo coi tempi. Quante fabbriche stanno chiudendo, quanti cinema di quartiere sono stati divorati dai multisala. Non sono comunque un nostalgico, mi piace l’innovazione.
Poco importa, come dicevo prima. Se devo scegliere meglio fotografo, è più concreto.
Il concetto della fotografia come arte è ancora un po’ nebuloso, da parte del pubblico. Sarà forse per la riproducibilità, volendo all’infinito, di una fotografia, e anche per la larga diffusione delle tecniche digitali, che ci fa sentire tutti un po’ fotografi in erba. Io uso un corredo digitale, e curo in prima persona tutto il processo fino alla stampa della fotografia. Uso photoshop e tutte le tecniche che mi permettono di arrivare a quello che ho in mente. Non sono un nostalgico della pellicola e sto al passo coi tempi. Alle persone che storcono il naso dico sempre di pensare allora di lasciare a casa il cellulare e tornare ai vecchi tempi del telefono pubblico, con il gettone in tasca.
Oltre ad una serie puramente fotografica, faccio anche dei lavori in tecnica mista con resine, su ferro e legno, utilizzando la fotografia. La scelta dei materiali, e il desiderio di lavorare manualmente sulla foto sono complementari al racconto che sto portando avanti sui luoghi abbandonati. La fotografia è arte, la tecnica passa in secondo piano.
Le tue “modelle” sono fabbriche in disuso e luoghi abbandonati: cosa ti guida nella scelta di questi soggetti? Cosa trovi di particolarmente affascinante nello stato di degrado che poi tu ritrai?
Sono rimasto affascinato da questi luoghi, dall’atmosfera che si respira, è tutto sospeso, in un tempo passato. Quello che mi interessa non è fare una denuncia dello stato di abbandono, ma cercare la bellezza. Mi concentro sull’estetica di alcune architetture, non faccio assolutamente un lavoro di documentazione dei luoghi. Il focus non è sul degrado. Per dieci posti visitati in media riesco a tirar fuori una o due fotografie. Prima mi documento sui luoghi, faccio una vera e propria ricerca sui libri e su internet, poi vado a vedere di persona. Sto lavorando ad una serie di fotografie, quindi solo se c’e’ qualcosa che mi colpisce e che è funzionale al mio racconto apro il cavalletto, studio l’inquadratura, e scatto. Sono parsimonioso, faccio poche fotografie! E poi c’è la luce, che per me è essenziale: cerco di avere nelle mie inquadrature sempre molto contrasto tra luce e ombra e devo aspettare il momento giusto. E’ simbolico: in questi luoghi ci sono molte zone d’ombra, e la luce fa parte di quel che resta.
La società odierna combatte il trascorrere del tempo esaltando tutto ciò che è nuovo, “incorruttibile”, innovativo. In questo senso tu vai controcorrente. C’è un messaggio relativo al trascorrere del tempo che vuoi far emergere grazie alle tue opere?
Nessun messaggio particolare e nessuna denuncia. Il titolo della mia ultima mostra al Museo di Roma in Trastevere è “Il mondo che non vedo” , è qualcosa che abbiamo sotto gli occhi e che fa parte del nostro passato, ma anche del nostro presente. Questi luoghi e queste strutture resistono al passare del tempo, private delle presenza umana e quindi degli attori principali che gli facevano prendere vita. Rimangono in piedi e ci raccontano ancora qualcosa. In questi tempi di crisi economica credo sia una indagine non troppo nostalgica, ma al passo coi tempi. Quante fabbriche stanno chiudendo, quanti cinema di quartiere sono stati divorati dai multisala. Non sono comunque un nostalgico, mi piace l’innovazione.
Adesso parliamo del tuo ultimo successo: Vincitore del Celeste Prize per la sezione “Fotografia”. Ci descrivi l’emozione dell’assegnazione del premio e più in generale l’esperienza del concorso?
E’ stato sinceramente inaspettato, perché il genere di fotografie che faccio non sono molto “commerciali” e di facile lettura. Una grande emozione, trovarsi a New York per la mostra e per l’annuncio in diretta dei vincitori. Tra l’altro scelti con un sistema molto democratico, i finalisti scelti da un comitato di curatori e critici, e il vincitore votato con la maggioranza dei voti dei finalisti partecipanti al premio. Non me lo aspettavo, è stata premiata una fotografia, ma anche tutto il progetto che ho portato avanti questi ultimi anni. Fantastico.
Quanto sono importanti iniziative come questa per la crescita di un giovane artista e quali sono in particolare le tue aspettative dopo questa vittoria?
Credo molto importanti. Si è a confronto con altri artisti, ci si mette in gioco di fronte a una grande vetrina. Io sono molto competitivo e per me ogni nuovo progetto è una sfida e ci credo profondamente. Ad una grande aspettativa corrisponde quasi sempre una grande delusione, questa volta è andata bene, sono positivo, e me la godo! Ora vediamo che succede, il giorno dopo la vittoria a New York ho affittato una macchina e mi sono rimesso al lavoro, bisogna spingere forte.
Ho in mente un libro fotografico. Sto lavorando anche ad un nuovo progetto di fotografie, ad una nuova serie.
C’è qualcuno a cui vuoi dedicare il premio?
A mio padre, alle persone che mi hanno sostenuto e mi sono state vicine. A me stesso, che ho tenuto duro.
E’ stato sinceramente inaspettato, perché il genere di fotografie che faccio non sono molto “commerciali” e di facile lettura. Una grande emozione, trovarsi a New York per la mostra e per l’annuncio in diretta dei vincitori. Tra l’altro scelti con un sistema molto democratico, i finalisti scelti da un comitato di curatori e critici, e il vincitore votato con la maggioranza dei voti dei finalisti partecipanti al premio. Non me lo aspettavo, è stata premiata una fotografia, ma anche tutto il progetto che ho portato avanti questi ultimi anni. Fantastico.
Quanto sono importanti iniziative come questa per la crescita di un giovane artista e quali sono in particolare le tue aspettative dopo questa vittoria?
Credo molto importanti. Si è a confronto con altri artisti, ci si mette in gioco di fronte a una grande vetrina. Io sono molto competitivo e per me ogni nuovo progetto è una sfida e ci credo profondamente. Ad una grande aspettativa corrisponde quasi sempre una grande delusione, questa volta è andata bene, sono positivo, e me la godo! Ora vediamo che succede, il giorno dopo la vittoria a New York ho affittato una macchina e mi sono rimesso al lavoro, bisogna spingere forte.
Ho in mente un libro fotografico. Sto lavorando anche ad un nuovo progetto di fotografie, ad una nuova serie.
C’è qualcuno a cui vuoi dedicare il premio?
A mio padre, alle persone che mi hanno sostenuto e mi sono state vicine. A me stesso, che ho tenuto duro.
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