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lunedì 15 febbraio 2010

Prospettive Contemporanee - Capitolo 2

Il secondo capitolo della rassegna Prospettive contemporanee è stato dedicato al giovane e bravo fotografo romano Stefano Parisi (vedi post precedente "Prospettive Contemporanee").

Introduzione e comunicato stampa a CAPITOLO 2


Con "CAPITOLO DUE” prosegue la serie di mostre organizzate nei locali de LA CONTEMPORANEA,
un nuovo spazio espositivo nel centro di Torino, un luogo d'incontro dove l’intento è quello di far convivere, in maniera armonica e sinergica arte, architettura e design.
Un percorso espositivo che prevede nell'arco dell'anno 5 mostre personali "cinque capitoli" ognuno dedicato ad un artista differente: Carlo Cane, Fabiano Parisi, Andrea Gnocchi, Stefano Fioresi, Karina Chechik.
Una grande avventura che l’ architetto Cristiana Pecile sta affrontando con grande impegno, unendo la sua passione per l’arte contemporanea alla sua attività professionale.
L’idea è vincente, presentare i suoi progetti nella cornice di una mostra d’arte, che ovviamente ha per tema l’architettura.
Ecco perché la scelta dei cinque artisti menzionati.
Cinque autori che occupano uno spazio importante nella proposta d’arte contemporanea ma che sono uniti dal soggetto e dal tema della loro ricerca: l’architettura della nostra attuale civiltà, affrontata e risolta con tecniche diverse e che vanno dalla fotografia alla pittura, dall’installazione alla scultura, focalizzando problematiche, aspetti e risvolti sociali differenti.


Il secondo evento "Capitolo DUE" si inaugurerà martedì 28 alle ore 18.00 e si concluderà il 14 di Giugno.
La ricerca di Fabiano Parisi è rivolta alle strutture abbandonate, strutture incredibili ma ugualmente vuote, sole, che l’artista sente comunque piene e pulsanti di vita trascorsa in un passato antico e recente. La sua esplorazione è a volte inquietante, accompagnata come in un rito dalla macchina fotografica. Fabiano si avventura all’interno di strutture industriali abbandonate, di edifici ancora pieni dell’anima delle persone che ci sono vissute e con la sua macchina fotografica cerca di cogliere le sensazioni fortissime che sente trapelare da quei residui dell’uomo.
La fotografia si integra con la pittura, i supporti sono spesso particolari, in grado di sopportare il bagaglio di sensazioni di cui dovrà caricarli. Spesso sceglie il ferro, perché è un materiale solido, che resiste ma ugualmente cambia nel tempo, si arrugginisce, diventa esso stesso un residuo.


Testi:

Capitolo 2 - Fabiano Parisi

cerco costantemente di essere dentro
un mondo, la sua idea, la sua domanda
i punti interrogativi di questa società non si aggrappano a me
sono emarginato, faccio confine, guardo da dentro con occhio di fuori

mi dicono che non ho un vero lavoro, eppure mi sporco le mani
rimangono residui di giornate su me.
sento la desolazione di alcuni spazi, mi fermo a guardare, rifiuti,
quelli per cui neanche il riciclo è stato pensato
parole ne trovo diverse, lavoro di traduzione,
come vocabolario ho uno scatto e qualche colore
c’è poco ascolto, forse manca un megafono.

penso a questi spazi, a queste persone che incontro.
svuotati di sguardi, di visibile ai più
eppure fanno eco, inciampo nelle loro rovine, sono stati. oggi non più.
parlano di solitudine,questo dice il passante di fretta, il cancello chiuso
dal tempo.

eppure residuo è cosa a due, tra chi lascia e chi rimane.
Ilaria Marchetti


Il protagonista di “Capitolo Due” del ciclo di mostre all’interno della rassegna Prospettive Contemporanee è Fabiano Parisi.
Giovane artista romano, fotografo ed “inventore” di immagini.

La condizione dell’uomo, anzi dell’artista contemporaneo Fabiano Parisi è ancora fuori dalla storia. Storia che si svolge sotto i nostri occhi e muta con il nostro stesso mutare.
Fatto sta che lui ne è protagonista e narratore nel medesimo istante.

Di recente si è visto attore principale dell’esposizione “istituzionale” STILL LIFE presso la Fabbrica Borroni a Bollate (MI) e prima ancora a Roma e a Verona. Ora Torino, città che forse si sposa meglio con l’artista per i temi trattati nelle sue opere: le strutture architettoniche legate alle produttività industriali.
Di fatto Fabiano Parisi racconta i fatti della vita dell’uomo, analizza ed indaga sul divenire della società attraverso i suoi scatti.

Poco più di un secolo fa, la società di allora, visse un fenomeno economico, culturale e di costume che da lì a poco avrebbe modificato radicalmente il proprio futuro: l’abbandono delle campagne a favore dei grandi centri industriali, dimenticando e forse perdendo per sempre, quel mondo fatto di usi e tradizioni secolari che sembravano inattaccabili.
Oggi la civiltà occidentale ha subito l’ennesimo cambiamento. Un cambiamento radicale, del tutto simile a quello poco fa descritto. Assistiamo inermi alla trasformazione in atto, che ha portato al mutamento da società produttiva a società fornitrice di servizi, vivendo di conseguenza l’abbandono delle fabbriche.
Questo è il “fatto di cronaca e di costume” che interessa fermare all’artista.
Queste fabbriche, queste strutture, questi edifici che fino a pochi momenti fa erano popolati da persone con il loro essere, le loro certezze, le loro proteste e le loro fragilità, ora sono contenitori vuoti. Come scrigni contengono l’essenza delle vite vissute nel loro interno. La presenza di uomini, figli di una modernità annunciata, accettata ma spesso mal gestita.
Luoghi dove in un istante di silenzio è ancora udibile il frastuono di catene di montaggio e maccanismi avanguardistici assordanti. Dove in alcuni casi è ancora visibile la presenza dell’uomo, attraverso segnaletiche, cartelli o addirittura oggetti personali dimenticati o lasciati volutamente come testimoni del proprio passaggio, del proprio vissuto e senso di appropriazione del luogo stesso.
Quell’uomo che ora non abita questo luogo da tempo.

Osservando queste “Cattedrali Moderne” fermate e fissate per sempre da Fabiano, sembra quasi di essere assaliti da un senso di malinconia, il tempo ha bloccato lo scandire dei propri secondi. Tutto è immobile, fermo, in attesa. Quasi metafisico. Questi luoghi vissuti dai nostri padri, ed ora resi immortali dai lavori di Fabiano ci appartengono.
Sono luoghi “nostri”, anche se magari edificati e poi abbandonati a centinaia di chilometri dalla nostra realtà.

È bravo questo artista capitolino. Lavora a 360° sull’immagine e la costruzione dei suoi lavori. Fissa quest’ultimi su lamiere di ferro ed ultimamente anche di plexiglass, a sottolineare anche con la materia di supporto l’origine del soggetto ritratto. Le scritte, le citazioni e le resine trasparenti, utilizzate come fissante, attribuiscono valore allo scatto, che ricordiamo è frutto di esplorazioni, ricerca e incursioni: il risultato è un arte di contaminazione: fotografia, pittura, installazione e concetto, si fondono insieme grazie alla sensibilità dell’artista. E rimangono. Rimangono utili soprattutto a noi, per aiutarci a non dimenticare che l’uomo è in perenne mutazione. Ciò che rimane del passato sono la storia e i racconti. Fabiano è un bravo narratore, esalta i luoghi e non gli orrori.

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