Continuo con la pubblicazione del lavoro svolto insieme a LaContemporanea di Torino nel 2009 (Vedi post precedenti "Prospettive Contemporanee").
Il terzo capitolo di questa rassegna è dedicato al bravo artista lombardo Andrea Gnocchi, raffinato iconografo del nostro tempo e non solo...
Introduzione e comunicato stampa a CAPITOLO 3
Sembra ieri che si mettevano a punto gli ultimi dettagli per l’inaugurazione di questo nuovo spazio ed invece siamo giunti al terzo capitolo di questa rassegna. Capitolo Tre, dedicato all’artista Andrea Gnocchi.
La Contemporanea Studio-Art Gallery, un nuovo spazio espositivo nel centro di Torino, un luogo d'incontro dove l’intento è quello di far convivere, in maniera armonica e sinergica arte, architettura e design.
Un percorso espositivo che prevede nell'arco dell'anno 5 mostre personali "cinque capitoli" ognuno dedicato ad un artista differente: Carlo Cane, Fabiano Parisi, Andrea Gnocchi, Stefano Fioresi, Karina Chechik.
Una grande avventura che l’ architetto Cristiana Pecile sta affrontando con grande impegno, unendo la sua passione per l’arte contemporanea alla sua attività professionale.
L’idea è vincente, presentare i suoi progetti nella cornice di una mostra d’arte, che ovviamente ha per tema l’architettura.
Ecco perché la scelta dei cinque artisti menzionati.
Cinque autori che occupano uno spazio importante nella proposta d’arte contemporanea ma che sono uniti dal soggetto e dal tema della loro ricerca: l’architettura della nostra attuale civiltà, affrontata e risolta con tecniche diverse e che vanno dalla fotografia alla pittura, dall’installazione alla scultura, focalizzando problematiche, aspetti e risvolti sociali differenti.
L’opera di Andrea Gnocchi, che avremo l’opportunità di ammirare in questa esposizione è frutto di una costante e continua ricerca, attuata dall’artista ormai da tempo su una serie di soggetti che appartengono all’immaginario e forse non solo tale, collettivo. Una attenta rilettura in chiave neo–pop di strutture industriali, piattaforme petrolifere e agglomerati produttivi che caratterizzano tante periferie delle nostre città.
Curiosa e particolare, per non dire unica, è proprio la chiave di lettura che offre Gnocchi di questi luoghi. Luoghi di lavoro, quello duro, spesso alienante, che si riempiono di colori, piani prospettici che si rincorrono e sovrappongono e luce, tanta luce. Un tentativo, ben riuscito, di eleggere a “icona-pop” questi ambienti che nella realtà contemporanea di popolare hanno solo la vita. Quella vissuta e non sempre.
Testi:
CAPITOLO 3 - ANDREA GNOCCHI
L’ultima luna,
la vide solo un bimbo appena nato
Aveva occhi tondi e neri e fondi
E non piangeva.
Con grandi ali prese la luna tra le mani
E volò via
E volò via.
Era l’uomo di domani
(Lucio Dalla)
L’uomo, dov’è l’uomo di oggi? E’ presente? Oppure fa parte di qualcosa che non vediamo in queste architetture compiute, ma ne è parte essenziale, è insito nelle loro strutture.
Non potrebbero esistere senza l’uomo, in questo caso Creatore, che le ha pensate, volute, immaginate nella loro realizzazione e poi, forse, abbandonate. Un uomo indifferente, forse poco attento, ma che ha dentro di se il seme della creatività.
In lontananza alcuni sembrano macchine, robot provenienti da un mondo lontano, con braccia di ferro, disarticolate, moderni “Alien” ripuliti dai sedimenti spaziali e antropomorfi. Altri invece contenitori, pieni di gas e di oli, sostanze industriali, che hanno un odore forte ed inebriante, l’odore della nostra realtà industriale.
Altri ancora piattaforme isolate in un mare senza confini, dove l’uomo, ancora non c’è.
L’arte, quasi mai è questione di DNA, ma il protagonista di questa mostra è l’eccezione che ne conferma la regola.
Andrea Gnocchi, Gallarate (Va) classe 1975, è un figlio d’arte. Nonno e padre artisti, pittori, che in maniera naturale gli hanno trasmesso i geni della creatività, la propensione al colore, l’amore per la pittura e la voglia della ricerca.
Con una rilettura del tutto personale, affronta in chiave contemporanea i concetti espressi dalla Pop-art per mezzo di alcuni temi a lui cari.
Il suo universo è fatto di immagini, di icone.
Icone che ci appartengono, che immediatamente, attraverso il potere evocativo delle stesse, ci consentono di fare un tuffo nel passato, nel mondo dei ricordi, in questa caso però, rigenerati e rinvigoriti dalla sapiente mano dell’artista.
Tutto questo nella sua “normale” produzione, dove pone l’attenzione su vecchi modelli di automobili, motocicli o altri mezzi meccanici che tutti noi conosciamo bene, perché magari posseduti o sognati o ancora avuti come modellini giocattolo nella nostra infanzia.
Lavora sulla sovrapposizione di finti piani prospettici che di fatto annullano la prospettiva stessa, mettendo in luce il soggetto ritratto e combinando insieme, con giusto equilibrio grafico, superfici piene e campiture desertiche.
Bello l’utilizzo della carta velina nella preparazione della tavola unita a sabbie e sedimenti fluviali, che aiutano a dare vibrazione e movimento al tutto. Così come è intelligente l’uso disinvolto del nero (colore comunemente ostico a molti artisti usato qui per sottolineate “l’effetto fumetto” tipico corrente artistica anglo-americana) usato in contrapposizione ai bianchi utilizzati per rendere al meglio i vari effetti luminescenti.
I colori sembrano irreali, inaciditi ma di fatto suggeriscono in maniera subdola, nascosta, quasi subliminale una riconducibilità all’anima del soggetto stesso.
In questa mostra però, sempre in chiave pop, Andrea affronta un altro tema a lui caro, quello delle strutture.
La forza impressa, l’impronta personale e la tavolozza acida, sono quelle di sempre, che lo hanno proiettato nel giro di pochi anni ad essere un vero protagonista della giovane arte figurativa italiana, ma i soggetti, pur appartenendo anch’essi ad un ipotetico “paesaggio della memoria” sono diversi.
Vecchie fabbriche, piattaforme petrolifere, raffinerie sono i soggetti che già conosciamo ma che scopriamo ed impariamo a guardare con occhi differenti.
Come già sottolineato più volte in queste righe, la chiave di lettura fornita è quella della Pop-art, ovvero un’ arte fatta da soggetti “popolari”, noti a tutti (che essi siano oggetti, luoghi o persone non ha importanza), per la gente comune, quella della strada, senza riferimenti che possano in qualche maniera contestualizzarli o collocarli in un luogo o epoca ben precisi e definiti, ma solamente conosciuti e riconoscibili. Ma non solo.
Le opere in mostra assumono un aspetto quasi metafisico. Trasmettono un senso di attesa, una irreale e sospesa assenza fisica dell’uomo. Ma l’uomo c’è, è lui che ha creato tutto ciò, che lo ha vissuto, abitato e forse abbandonato.
Ho conosciuto Andrea Gnocchi qualche anno fa, quando mi sottopose proprio dei lavori che rappresentavano delle piattaforme petrolifere. Mi colpirono ma poi, non se ne conosce nemmeno il motivo, questi soggetti vennero accantonati per fare spazio ad altri, forse più “facili”. Poi nel giugno scorso la mostra, importantissima, al Castello di Rivara, “Architetture sensibili”, in occasione di Torino capitale mondiale dell’architettura e queste “strutture” sono tornate prepotentemente in vita, per uscire di nuovo dallo studio dell’artista. La mostra Capitolo Tre, all’interno dell’ambizioso progetto PROSPETTIVE CONTEMPORANEE, ne è il risultato.
Un anno di lavoro, di studio, di ricerca, portato a termine con lucida professionalità e forte carica emotiva dove nulla è lasciato al caso. Equilibri, masse, colori, sono la testimonianza visiva delle doti di questo artista che affronta la sua prima personale torinese con una mostra di grande livello.
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