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giovedì 18 settembre 2014

A Day in the Life - Adrianno Annino/Silvia Argiolas a cura di Ivan Quaroni

A Sassari succede che...
 

 



A Day in the Life
Adrianno Annino - Silvia Argiolas
a cura di Ivan Quaroni

L.E.M.
Sassari, via Napoli 8


“L’esperienza non è ciò che accade a un uomo,
ma ciò che un uomo fa utilizzando ciò che gli accade.”
(Aldous Huxley, Testi e pretesti, 1932)


Jackson Pollock sosteneva che “dipingere è un’azione di autoscoperta e che ogni buon artista, in fondo, dipinge ciò che è”. Per Balthus, invece, “dipingere è uscire da se stessi, dimenticare se stessi, preferire l’anonimato e rischiare talvolta di non essere in accordo con il proprio secolo e con i contemporanei”. Naturalmente, hanno ragione entrambi. Quello che, però, i due maestri non dicono è che la pittura è una forma d’interpretazione della realtà e, dunque, l’affermazione di un punto di vista che riflette le peculiarità del soggetto.

In questo processo di definizione della propria personalità, l’artista deve necessariamente fare i conti con quell’agglomerato di esperienze, impressioni e pregiudizi scaturiti dall’urto con il mondo circostante. Come a dire che la pittura è il prodotto, e insieme la traduzione visiva, di una complicatissima trama di fattori, quali la psicologia e il vissuto personale dell’artista, le condizioni ambientali (favorevoli o avverse), il luogo (centrale o periferico), il tempo (propizio o meno) in cui egli opera. Supporre che l’artista possa dipingere esclusivamente con l’immaginazione significa, infatti, limitare la portata della sua azione. Invece, tutta l’arte davvero significativa intrattiene un rapporto con la realtà del proprio tempo, costituendo, per così dire, una sorta di parziale e opinabile testimonianza. Tuttavia, proprio il carattere soggettivo, e dunque fallibile, della pittura (e, in fondo, di tutte le arti) è il fattore che ci permette di entrare in contatto con il vissuto unico e autentico di ogni artista.

A Day in the Life - titolo mutuato dal brano finale di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, una delle vette artistiche della produzione di Lennon e McCartney, sorta di saggio del realismo psichedelico della band - mostra due differenti approcci visivi alla realtà, caratterizzati da una tendenza, quasi allucinata, verso la deformazione.

L’indagine pittorica di Adriano Annino è incentrata sulla rielaborazione di momenti di vita quotidiana o di vicende immaginarie, che l’artista rappresenta a posteriori, affidandosi a impressioni e memorie imperfette. Il suo è, infatti, un approccio che non documenta la realtà, ma letteralmente la rifonda, servendosi dei filtri percettivi e mentali come strumenti fondativi di una pittura diaristica, che annota in immagini mobili e dinamiche sensazioni e stati d’animo del proprio vissuto psicologico ed emotivo.

Nella pittura di Annino, caratterizzata da un intenso gusto bozzettistico, fatto di segni rapidi e fulminee sintesi grafiche, l’identità dell’artista, insieme soggetto partecipe e testimone distaccato, si esprime attraverso la relazione con ambienti, oggetti e situazioni quotidiane. Il mondo fenomenico, esteriore, diventa, quindi, il pretesto visivo per condurre una profonda disanima interiore, che l’artista registra, come un sensibilissimo sismografo, alternando linee sinuose e macchie di colore che ci restituiscono il senso di una trascrizione urgente e drammatica della realtà. Il suo è uno stile espressionista solo in parte debitore della tradizione delle avanguardie, perché riesce, con rinnovata sensibilità, a combinare le dissonanze cromatiche tipiche del Novecento, con un linearismo guizzante, a tratti aereo, che conferisce alle sue opere un impianto calligrafico di marca quasi orientale.

Il lavoro di Silvia Argiolas si configura, da sempre, come una metabolizzazione pittorica del suo vissuto psicologico ed emotivo, attraverso la reiterazione ossessiva di figure autoreferenziali e autobiografiche. Metamorfiche trasfigurazioni di un corpo martirizzato dalle vicende esistenziali, gli autoritratti dell’artista assumono, di volta in volta, le sembianze di personaggi archetipici, come madonne, madri, amanti, vittime e carnefici di una commedia di quotidiani orrori e infernali delizie.

Anche il paesaggio, costellato di striature dai colori chimici, e popolato d’alberi quasi liquidi e gocciolanti, contribuisce a esasperare la temperie emotiva dei suoi dipinti, enfatizzando il clima di strisciante inquietudine, che è, in fondo, uno dei marchi distintivi del suo stile.

Consapevole dell’impossibilità di pervenire a una chiara, oggettiva definizione della realtà, Silvia Argiolas costruisce la sua pittura come una sorta di personalissima e abbacinata trascrizione di sentimenti e stati d’animo irriducibili a ogni tentativo di razionalizzazione.

Nelle carte e nelle tele più recenti, dove il segno sembra pervenire a una sintesi grafica, se possibile, ancora più matura ed efficace, Silvia Argiolas ci fornisce una visione spontanea e istintiva del mondo, non edulcorata da filtri culturali, ma, piuttosto, radicata in una sensibilità indocile e insofferente a ogni forma d’ingiustizia e ipocrisia. Trasformando il proprio ritratto in una figura sacrificale, effige di martirio, ma anche di redenzione, Argiolas trasforma l’analisi psicologica in un atto di denuncia politica e sociale. Qualcosa che, nella storia recente, trova riscontro solo in rare isolate figure d’artista, come Carol Rama e Louise Bourgeois, capaci di assumersi tutto il peso e la responsabilità di una visione autenticamente anticonformista.

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