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domenica 7 settembre 2014

A proposito di "POLLINE" personale di Massimo Barlettani a cura di Filippo Lotti e Roberto Milani

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Della mostra personale dell'amico Massimo Barlettani "Polline" curata dallo scrivente e da Filippo Lotti al UOLL di Firenze ( http://www.uoll.it/ ) ed organizzata in collaborazione con Casa d'Arte San Lorenzo ed il C.R.A. che si terrà il prossimo 19 ottobre, vi ho già dato una breve anteprima qualche giorno fa... 
Ora per chi ne avesse voglia, il breve testo che ho scritto per il catalogo che accompagnerà l'evento...

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Quasi presenze, un po’ apparizioni.
Polline come metafora della vita

Premetto che scrivere dell’amico Massimo è stata per me cosa assai più difficile che farlo per chiunque altro.
Proprio perché amico, socio e spesso confidente.

Riuscire a distaccarmi dal sentimento umano, calarmi nei panni professionali, per cercare di mettere in risalto le sue peculiarità artistiche mi è costato non poca fatica, ma senza peccare di presunzione, penso di esserci riuscito e in queste poche righe, che potranno essere utili a chi ne fruirà, emerge in tutta la sua prepotente presenza, la cifra stilistica di questo singolare personaggio che da sempre ha fatto della creatività e dell’estetica il proprio credo.

Innanzi tutto perché “Polline”? Troppo facile sarebbe ricondurre il titolo di questa rassegna ai temi trattati sulle tele qui presentate.
“Polline”, invece, come metafora della vita che, come avviene sempre nel mondo vegetale, necessita di nuova energia, nuova linfa, nuovo polline appunto, per poter rigenerarsi ed andare avanti.

Una mostra monotematica, tutta risolta attraverso l’indagine di un unico soggetto. Fiori, trattati ed indagati come totali ed assoluti protagonisti di una ricerca pittorica perpetuata da anni ma mai esposta.
Si tratta, infatti, di una grande prima. Quasi un nuovo inizio.
Una sorta di festa dove gli attori principali sono i dipinti e gli intervenuti sono semplici comparse.

Un modo speciale per raccontare e raccontarsi, attraverso un gesto creativo che esula dall’attività professionale di comunicatore e pubblicitario, ma che, di fatto, ne è la sintesi e l’essenza.

Per Massimo dipingere è sempre stata un’esigenza, uno sfogo, un ritrovarsi. Fin da adolescente.
Un luogo, quello dell’arte, dove porsi domande e cercare risposte.

Anche chi pensa di conoscerlo profondamente, scoprirà una nuova bellezza del suo carattere, quasi femmineo, di pura sintesi estetica.
E’ lì che questi fiori diventano un universo immaginario ed immaginifico, una sorta di scenografia dell’anima.

Ma torniamo per un attimo all’artista e lasciamo da parte l’uomo.
Come tale, è evidente la sua profonda cultura nell’arte. Il senso ed il gusto estetico forgiato in anni e anni di frequentazione e studio di questo ambiente, gli permettono di cogliere e fare proprie citazioni colte, già appartenute a chi l’ha preceduto. Segnali che arrivano dalla grande pittura impressionista, passando attraverso l’arte giapponese fino ai geni della fotografia contemporanea. Ma la sua è pittura, quella vera fatta di velature e luce, masse e vuoti, forme e dettagli.

Quasi presenze, un po’ apparizioni, questi protagonisti sembrano animarsi, muoversi, danzare in un’estatica sinfonia di colori.
Colori a volte vibranti, a volte acidi e tremuli, ma tutti assolutamente ricercati, pensati, meditati. Una ricerca spasmodica della perfezione visiva. Un pensiero volto alla natura ed alla sua incommensurabile bellezza, risolto con la maestria di pittore navigato ed affermato ma con l’animo gentile di chi affronta un ennesimo esame che la vita gli propone.

Un’esposizione che mostra un tourbillon di immagini pronte per essere colte come i fiori su di esse raccontati.

La dimostrazione scritta che l’arte non ha anagrafe ed anche quando non si è più fanciulli si può mettere in atto il miracolo della creazione. Quella ad utilizzo esclusivo delle divinità e degli artisti.

Poche righe fa ho parlato di esami. A Massimo, la vita, di esami ne ha presentati tanti. Tutti superati. Anche a costo di portare per sempre nel proprio esistere insanabili cicatrici.
Che l’arte e l’amore ne siano la medicina.

                                                                          Roberto Milani



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