Ero presente la sera della proclamazione del vincitore del Premio Cairo, quando a vincerlo fu proprio Matteo Bergamasco, se non sbaglio era il 2003.
Il mio pensiero fu subito indirizzato al peso che questa vittoria potesse avere su di un ragazzo, allora solo ventunenne (se non ricordo male).
Infatti se la memoria non mi inganna, una volta spenti i riflettori della kermesse, per un po' di tempo non si senti più parlare di lui. Maturando è cresciuto e pur mantenendo uno stile molto personale, oserei dire anche quasi imitato, ora con un po' più di maturità è diventato un ottimo pittore. Mille auguri per questa mostra "made in Sicily".
Il 25 Febbraio 2011 alle 18:30 la galleria Bianca Arte Contemporanea di Palermo è lieta di annunciare la prima personale palermitana dell’artista milanese Matteo Bergamasco, vincitore del premio Lissone 2002, del premio Cairo 2003 e reduce dalle ultime personali di San Francisco, Los Angeles e Amsterdam, dal titolo “Limpidezza senza nome”, a cura di Andrea Bruciati. Un percorso in immagini e sensazioni. Interni defraudati dall’anima di chi li ha vissuti, dove oggetti e luoghi abbandonati appena dall’esistenza, accolgono lo spettatore in un viaggio di ricordi e percezioni. Matteo Bergamasco dipinge per l’occasione dieci tele inedite, raffigurazioni intime di spazi privati, sguardi verso l’anima delle cose, spiragli visivi nelle realtà altrui. Una descrizione sensibile di ciò che resta della vita degli altri.
Il titolo della mostra "Limpidezza senza nome" tenta di indicare un sentire, uno stato dell'essere, un particolare modo di partecipare alla Vita inesprimibile a parole, inscindibile dall'esperienza e incomunicabile senza di essa ...per questo "senza nome". Perché nessuna parola e nessun concetto può bastare a circoscrivere ciò che è per sua natura non circoscrivibile e ineffabile. Saranno infatti i dipinti e il sacro silenzio che l'autentica fruizione di un dipinto crea a tentare di comunicare questa sensazione quasi tattile, questa emozione densa e sospesa ma imbevuta di chiarezza. I dipinti esposti raffigurano degli interni privi di presenze umane, costituiscono quindi uno spazio vuoto pronto ad accogliere, uno spazio che dona la possibilità di immergersi in esso quasi fosse un grembo per la percezione; così facendo lo spettatore potrà anche, dimentico di tutto e muovendosi con lo sguardo tra le forme: Sentire. Questo Sentimento una volta raggiunto è il bene più prezioso per l'uomo, un gioiello che può essere vissuto in ogni istante della vita nelle situazioni reali quotidiane, in quella infinita opera d'arte che è il Creato. Per sottolineare questo stretto legame tra il reale e il dipinto le situazioni raffigurate sono tra le più comuni: un letto abbandonato al mattino, una luce soffusa che entra dalla finestra, il riflesso del sole su un vaso di porcellana. Proprio ciò che è più vicino e più intimo è il velo che separa dalla comprensione ma qualsiasi cosa può divenire una meravigliosa porta d’accesso per chi ne ha ritrovata la chiave. Questa porta si apre su un sapere senza tempo e comune alle grandi civiltà che hanno profondamente indagato il mondo. Vari oggetti raffigurati nei dipinti in mostra quali utensili rituali, maschere o sculture di saggi e divinità sottolineano il ponte che unisce i molteplici saperi tradizionali. Oltre a ciò all’interno delle opere esposte compaiono spesso dei dipinti con soggetti canonici ( ritratti, paesaggi e nature morte). Il gioco degli specchi che si crea alla presenza "del dipinto nel dipinto" spinge a interrogarsi sulle leggi della realtà, della rappresentazione e dei loro livelli...profondi e sconfinati ben oltre la più fervida delle immaginazioni.
Il titolo della mostra "Limpidezza senza nome" tenta di indicare un sentire, uno stato dell'essere, un particolare modo di partecipare alla Vita inesprimibile a parole, inscindibile dall'esperienza e incomunicabile senza di essa ...per questo "senza nome". Perché nessuna parola e nessun concetto può bastare a circoscrivere ciò che è per sua natura non circoscrivibile e ineffabile. Saranno infatti i dipinti e il sacro silenzio che l'autentica fruizione di un dipinto crea a tentare di comunicare questa sensazione quasi tattile, questa emozione densa e sospesa ma imbevuta di chiarezza. I dipinti esposti raffigurano degli interni privi di presenze umane, costituiscono quindi uno spazio vuoto pronto ad accogliere, uno spazio che dona la possibilità di immergersi in esso quasi fosse un grembo per la percezione; così facendo lo spettatore potrà anche, dimentico di tutto e muovendosi con lo sguardo tra le forme: Sentire. Questo Sentimento una volta raggiunto è il bene più prezioso per l'uomo, un gioiello che può essere vissuto in ogni istante della vita nelle situazioni reali quotidiane, in quella infinita opera d'arte che è il Creato. Per sottolineare questo stretto legame tra il reale e il dipinto le situazioni raffigurate sono tra le più comuni: un letto abbandonato al mattino, una luce soffusa che entra dalla finestra, il riflesso del sole su un vaso di porcellana. Proprio ciò che è più vicino e più intimo è il velo che separa dalla comprensione ma qualsiasi cosa può divenire una meravigliosa porta d’accesso per chi ne ha ritrovata la chiave. Questa porta si apre su un sapere senza tempo e comune alle grandi civiltà che hanno profondamente indagato il mondo. Vari oggetti raffigurati nei dipinti in mostra quali utensili rituali, maschere o sculture di saggi e divinità sottolineano il ponte che unisce i molteplici saperi tradizionali. Oltre a ciò all’interno delle opere esposte compaiono spesso dei dipinti con soggetti canonici ( ritratti, paesaggi e nature morte). Il gioco degli specchi che si crea alla presenza "del dipinto nel dipinto" spinge a interrogarsi sulle leggi della realtà, della rappresentazione e dei loro livelli...profondi e sconfinati ben oltre la più fervida delle immaginazioni.
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